Il primo ballo (K. Mansfield)

Lavoriamo sui testi

Analizziamo insieme

Katherine Mansfield

(Wellington, Nuova Zelanda, 1888-Fontainebleau 1923)

Il primo ballo

  • Tratto da La festa in giardino
  • Titolo originale Her First Ball, in The Garden Party, 1922
  • Lingua originale inglese
  • racconto

Leila è una fanciulla al suo primo ballo serale. Fin dal viaggio in carrozza prova impazienza ed eccitazione al pensiero di ciò che la attende. Per la giovane, il ballo non è soltanto una festa, ma una sorta di cerimonia che segna l’ingresso nella vita adulta. Il suo sguardo, tuttavia, è ancora quello di una bambina: pieno di entusiasmo, di curiosità e di passione per la scoperta. Le parole di un vecchio ballerino disincantato – pur gettandole un’ombra nel cuore – non basteranno a spegnere la sua gioiosa e ignara voglia di vivere.

Per Leila sarebbe stato difficile dire quando esattamente
il ballo era cominciato. Forse il suo primo
vero cavaliere era stata la carrozza. Non importava
che ci fossero anche le ragazze Sheridan e il loro fratello, 

5      lei se ne stava nel suo angolino e il bracciolo
sul quale appoggiava la mano le pareva la manica di
un giovanotto sconosciuto, e i lampioni e le case e i
cancelli e gli alberi le sfrecciavano davanti a tempo
di valzer.

10    «Davvero non sei mai stata a un ballo, Leila? Ma
cara, che strano…», gridarono le ragazze Sheridan.
«La casa più vicina era a venticinque chilometri»,
disse Leila tranquilla, aprendo e chiudendo piano
il ventaglio. Mio Dio, com’era difficile sembrare indifferente 

15    come le altre! Cercava di non sorridere
troppo; cercava di pensare ad altro. Ma era tutto così
nuovo, emozionante…
[...]

La mano di qualcuno le premette la vita, e lei galleggiò
via come un fiore gettato in uno stagno.

20    «È un buon pavimento, vero?», le sussurrò all’orecchio
una voce affettata. «Mi pare che sia deliziosamente
scivoloso», disse Leila.

«Prego?». La voce sommessa sembrò sorpresa. Leila
lo disse di nuovo, e ci fu una minuscola pausa

25    prima che la voce rispondesse: «Oh, certo!», e poi
lui riprese a farla volteggiare. La guidava così bene!
Ecco la grande differenza tra ballare con gli uomini
e ballare con le ragazze, pensò Leila. Le ragazze si
scontravano e si pestavano i piedi, e quella che faceva 

30    da cavaliere stringeva sempre troppo forte. Le
azalee non erano più dei fiori isolati: erano bandiere
bianche e rosa che le ondeggiavano intorno.

«Era dai Beli la settimana scorsa?», disse di nuovo
la voce, che le parve stanca. Leila si chiese se doveva 

35    dirgli di fermarsi pure, se voleva.

«No, questo è il mio primo ballo», disse.

Il cavaliere fece una risatina affannata. «Oh, andiamo!»,
protestò.

«Sì, davvero, è il primo ballo a cui sia mai andata», 

40    insisté Leila con fervore. Era un tale sollievo poterlo
dire a qualcuno. «Vede, fino ad ora ho sempre vissuto
in campagna…». In quel momento la musica
cessò e loro andarono a sedersi su due sedie contro
il muro. Leila incrociò i piedi di satin1 rosa sotto la 

45    sedia e si fece vento, osservando beata le altre coppie
che uscivano dalle porte girevoli e sparivano.

«Ti diverti, Leila?», domandò Jose, facendole un
cenno con la testa dorata. Laura passò e le strizzò
impercettibilmente l’occhio; Leila si chiese per un 

50    attimo se era poi davvero un’adulta. Certo il suo
cavaliere non parlava molto: tossiva, metteva via il
fazzoletto, si tirava giù il panciotto,2 si toglieva un
minuscolo filo dalla manica. Ma non le importava.
Quasi immediatamente l’orchestra ricominciò a 

55    suonare e il suo secondo cavaliere parve sbucare dal
soffitto.

«Niente male, il pavimento», disse la nuova voce.
Si cominciava sempre col pavimento? E poi: «Era dai
Neaves, martedì?». E Leila spiegò di nuovo. Forse era 

60    un po’ strano che i suoi cavalieri non mostrassero
un maggiore interesse. Era così elettrizzata! Il suo
primo ballo! Non era che l’inizio di tutto. Le sembrava
di non aver mai saputo prima di allora che
cosa fosse la notte. Fino a quel momento era stata 

65    buia, silenziosa, spesso bellissima – oh sì – ma anche
triste. Solenne. E ora non sarebbe stata così mai
più: era diventata abbagliante di luce.

«Desidera un gelato?», disse il cavaliere. E uscirono
dalle porte a molla, percorsero il corridoio, entrarono

70    nella stanza dei rinfreschi.3 Le guance le bruciavano,
aveva una sete terribile. Com’erano belli i gelati sui
piattini di vetro e com’era freddo il cucchiaino sulle
labbra, gelato pure lui! E quando tornarono nel salone
c’era l’uomo grasso ad attenderla sulla porta. Fu di 

75    nuovo un colpo, per lei, vederlo così vecchio; avrebbe
dovuto stare sul palco con i padri e le madri.4 Confrontato
con gli altri suoi cavalieri, era anche male in
arnese.5 Il panciotto era grinzoso, un guanto mancava
di un bottone, la giacca sembrava spolverata di gesso.

80    «Venga, bella signorina», disse l’uomo grasso. La
sfiorava appena, mentre si muovevano adagio: più
che ballare sembrava che camminassero. Ma lui non
disse nulla del pavimento.

«È il suo primo ballo, vero?», mormorò.

85    «Come ha fatto a capirlo?».

«Ah», disse l’uomo grasso, «vede cosa vuol dire
es­sere vecchi?». Ansimava un poco mentre cercava
di scostarsi da una coppia un po’ maldestra. «Sono
trent’anni che faccio questo genere di cose».

90    «Trent’anni?», gridò Leila. Dodici anni prima che
lei nascesse!

«Sembra impossibile, vero?», disse l’uomo grasso
con aria abbattuta. Leila gli guardò la calvizie, e le
dispiacque per lui. «Penso che sia meraviglioso che 

95    lei continui a farlo», disse gentilmente.

«Che signorina gentile», disse l’uomo grasso, e la
strinse un po’ di più canticchiando qualche battuta
del valzer. «Certo», disse, «lei non può sperare di durare
così a lungo. No-o», disse l’uomo grasso, «lei si 

100 siederà molto prima su quel palco e starà a guardare,
col suo bel vestito di velluto nero. E queste braccia
così graziose saranno diventate corte e grassocce, e
batterà il tempo con un ventaglio molto diverso,
un ventaglio di ebano nero». L’uomo grasso parve 

105 rabbrividire. «E continuerà a sorridere come quelle
povere care lassù, e indicherà sua figlia, e dirà alla signora
anziana che le sta seduta vicina che un uomo
orribile ha cercato di baciarla al ballo del club. E
sentirà il cuore farle male, male», e l’uomo grasso 

110 la strinse un po’ di più, come se gli dispiacesse davvero
tanto per quel povero cuore, «perché nessuno
ormai vorrà più baciarla. E dirà che non le piacciono
questi pavimenti lucidi, sono così pericolosi. Eh,
Mademoiselle Piedini di Fata?», disse piano l’uomo 

115 grasso. Leila fece una risatina, ma non aveva
voglia di ridere. Era… poteva essere vero? Suonava
terribilmente vero. Allora, quel primo ballo, non era
che il principio dell’ultimo? Sembrò che la musica
cambiasse; adesso era triste, triste; si alzava sopra un 

120 grande sospiro. Oh, come tutto cambiava in fretta!
Perché la felicità non durava per sempre? Per sempre
non era affatto troppo.

«Voglio fermarmi», disse, senza fiato. L’uomo grasso
la condusse verso la porta.

125 «No», disse lei, «non voglio uscire. Non voglio
sedermi. Resto qui in piedi, grazie». Si appoggiò al
muro, battendo il tempo col piede, tirandosi su
i guanti e cercando di sorridere. Ma dentro di lei una
bambina si buttò il grembiulino sulla testa e si mise 

130 a singhiozzare. Perché le aveva sciupato6 tutto?

«Senta», disse l’uomo grasso, «non mi deve mica
prendere sul serio, mia giovane signorina».

«Oh, si figuri!», disse Leila, gettando indietro la testolina
bruna e mordendosi il labbro…

135 Le coppie sfilarono di nuovo. Le porte a molla
si aprirono e si richiusero, il direttore d’orchestra
distribuì della nuova musica. Ma Leila non aveva
più voglia di ballare. Avrebbe voluto andare a casa,
o sedersi in veranda ad ascoltare le piccole civette. 

140 Quando guardò attraverso le finestre buie vide che le
stelle avevano lunghi raggi che sembravano ali… Ma
subito si udì un motivo dolce, struggente, incantatore,
e un giovanotto ricciuto le s’inchinò davanti. Ormai
avrebbe dovuto ballare, per cortesia, finché non 

145 avesse trovato Meg. Rigida, camminò fino al centro
del salone; altezzosa, gli posò la mano sul braccio. 

Ma dopo un attimo solo, dopo un solo giro i suoi
piedi scivolavano veloci. Le luci, le azalee, gli abiti,
le facce rosee, le sedie di velluto, tutto divenne una 

150 splendida ruota volante. E quando il cavaliere successivo
si scontrò con l’uomo grasso e disse: «Pardon»,
lei gli sorrise più raggiante che mai. Non lo
riconobbe nemmeno.


Katherine Mansfield, Tutti i racconti, trad. di C. Campo, Adelphi, Milano 1994

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa