Tutto quello che esiste passa di qui. Qui dal porto di Napoli. Non v’è manufatto,
25 stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa, cacciavite, bullone, videogioco,
giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli è
una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci. Le navi arrivano,
si immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena come cuccioli a mammelle, solo
che loro non devono succhiare, ma al contrario essere munte. Il porto di Napoli è il
30 buco nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina, Estremo Oriente
come ancora i cronisti si divertono a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi
inimmaginabile. Chiudendo gli occhi appaiono kimono,6 la barba di Marco Polo
e un calcio a mezz’aria di Bruce Lee.7 In realtà quest’Oriente è allacciato al porto
di Napoli come nessun altro luogo. Qui l’Oriente non ha nulla di estremo. Il vicinissimo
35 Oriente, il minimo Oriente dovrebbe esser definito. Tutto quello che si
produce in Cina viene sversato qui. Come un secchiello pieno d’acqua girato in una
buca di sabbia che con il solo suo rovesciarsi erode ancor di più, allarga, scende in
profondità. Il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell’import
tessile dalla Cina, ma oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui.8
40 È una stranezza complicata da comprendere, però le merci portano con sé magie
rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere
costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al fisco pur essendo
preziose. Il fatto è che il tessile ha parecchie categorie merceologiche,9 e basta
un tratto di penna sulla bolletta d’accompagnamento per abbattere radicalmente i
45 costi e l’IVA.10 Nel silenzio del buco nero del porto la struttura molecolare delle cose
sembra scomporsi, per poi riaggregarsi una volta uscita dal perimetro della costa. La
merce dal porto deve uscire subito. Tutto avviene talmente velocemente che mentre
si sta svolgendo, scompare. Come se nulla fosse avvenuto, come se tutto fosse stato
solo un gesto. Un viaggio inesistente, un approdo falso, una nave fantasma, un carico
50 evanescente. Come se non ci fosse mai stato. Un’evaporazione. La merce deve
arrivare nelle mani del compratore senza lasciare la bava11 del percorso, deve arrivare
nel suo magazzino, subito, presto, prima che il tempo possa iniziare, il tempo
che potrebbe consentire un controllo. Quintali di merce si muovono come fossero
un pacco contrassegno che viene recapitato a mano dal postino a domicilio. Nel
55 porto di Napoli, nei suoi 1.336.000 metri quadri per 11,5 chilometri, il tempo ha
dilatazioni uniche. Ciò che fuori riuscirebbe a essere compiuto in un’ora, nel porto
di Napoli sembra accadere in poco più d’un minuto. La lentezza proverbiale che
nell’immaginario rende lentissimo ogni gesto di un napoletano qui è cassata, smentita,
negata. La dogana attiva il proprio controllo in una dimensione temporale che
60 le merci cinesi sforano. Spietatamente veloci. Qui ogni minuto sembra ammazzato.
Una strage di minuti, un massacro di secondi rapiti dalle documentazioni, rincorsi
dagli acceleratori dei camion, spinti dalle gru, accompagnati dai muletti12 che scompongono
le interiora dei container. […]