T2 - Il treno ha fischiato (L. Pirandello)

T2

Luigi Pirandello

Il treno ha fischiato

  • Tratto da La trappola, 1915
  • novella
L’autore

Luigi Pirandello nasce a Girgenti (oggi Agrigento), nel 1867. Avviato dal padre agli studi tecnici, si iscrive poi alla facoltà di Lettere di Palermo e si laurea nel 1891 a Bonn, in Germania. Tornato in Sicilia, nel 1894 sposa Maria Antonietta Portulano, e in seguito diventa insegnante di Lettere, avviando anche la carriera di scrittore con la pubblicazione di romanzi, versi e novelle. Nel 1903 si verifica un evento drammatico, che sconvolge la sua vita: l’allagamento di una miniera di zolfo compromette le finanze della famiglia e getta la moglie in uno stato di prostrazione psicologica da cui non si riprenderà mai. Nel 1904 Pirandello pubblica il suo primo grande romanzo, Il fu Mattia Pascal, e, nel 1908, il saggio L’umorismo, fondamentale esposizione delle sue teorie letterarie e filosofiche. Contemporaneamente intensifica la produzione di novelle (raccolte poi in Novelle per un anno) per ovviare alle cattive condizioni economiche e, nel 1910, intraprende la carriera di autore teatrale, che nel giro di un decennio lo porterà a ottenere fama mondiale grazie a opere come Così è (se vi pare) (1917), Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Enrico IV (1922). In tutta la sua produzione viene rappresentata la crisi dell’uomo moderno, privo di certezze, paralizzato da illusioni e autoinganni, costretto dai condizionamenti sociali a indossare una maschera esteriore che lo cristallizza in una «forma», salvo ritrovare talvolta, magari per un evento improvviso e casuale, la «vita» in un impulso imprevedibile che agita il fondo della sua anima. Aderente al fascismo e Accademico d’Italia, Pirandello viene insignito nel 1934 del premio Nobel per la Letteratura. Muore nel 1936 a Roma.

Il povero Belluca, ragioniere condannato a una vita d’inferno e alienazione, tutt’a un tratto pare impazzire inspiegabilmente. Medici e colleghi danno la colpa a una violenta malattia del cervello, tanto sembra loro strano il suo comportamento. L’uomo farnetica e reagisce con violenza ai soprusi del capoufficio, e per questo viene spedito in manicomio, addirittura costretto in una camicia di forza. Tuttavia, Belluca non è mai stato così sano… Preso di mira dalla crudeltà della sorte, ha semplicemente trovato una personale via verso la libertà e la rivalsa: volare sulle ali della fantasia, verso la vastità del mondo.

Farneticava.1 Principio di febbre cerebrale,2 avevano detto i medici; e lo ripetevano
tutti i compagni d’ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall’ospizio,3 ov’erano stati
a visitarlo. Pareva provassero un gusto particolare a darne l’annunzio4 coi termini
scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano 

5      per via:

«Frenesia,5 frenesia».

«Encefalite».6

«Infiammazione della membrana».7

«Febbre cerebrale».

10    E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere
compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo8 azzurro
della mattinata invernale.

«Morrà? Impazzirà?».

«Mah!».

15    «Morire, pare di no…».

«Ma che dice? che dice?».

«Sempre la stessa cosa. Farnetica…».

«Povero Belluca!».

E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui 

20    quell’infelice viveva da tant’anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e
che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia,
poteva anche essere la spiegazione più semplice di quel suo naturalissimo caso.
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s’era fieramente ribellato al suo capo-ufficio,
e che poi, all’aspra riprensione9 di questo, per poco non gli s’era scagliato 

25    addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse d’una vera e
propria alienazione mentale.10 Perché uomo più mansueto e sottomesso, più meto­dico
e paziente di Belluca non si sarebbe potuto immaginare. Circoscritto…11 sì, chi
l’aveva definito così? Uno dei suoi compagni d’ufficio. Circoscritto, povero Belluca,
entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista,12 senz’altra memoria 

30    che non fosse di partite aperte, di partite semplici o doppie o di storno, e di
defalchi e prelevamenti e impostazioni; note, librimastri, partitarii, stracciafogli13
e via dicendo. Casellario14 ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto
zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di
paraocchi.

35    Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza
pietà, così per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po’, a
fargli almeno almeno drizzare un po’ le orecchie abbattute, se non a dar segno che
volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S’era prese le frustate ingiuste
e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se gli 

40    toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo15 com’era da anni e anni
alle continue solenni bastonature della sorte.

Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto
d’una improvvisa alienazione mentale.

Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva 

45    il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s’era presentato, la mattina, con un’aria
insolita, nuova; e – cosa veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo d’una
montagna – era venuto con più di mezz’ora di ritardo. Pareva che il viso, tutt’a un
tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutt’a un tratto caduti,
e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso all’intorno lo spettacolo della vita. 

50    Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima
volta voci, suoni non avvertiti mai.

Così ilare, d’una ilarità vaga e piena di stordimento, s’era presentato all’ufficio. E,
tutto il giorno, non aveva combinato niente.

La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:

55    «E come mai? Che hai combinato tutt’oggi?».

Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza, aprendo le
mani.

«Che significa?», aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo
per una spalla e scrollandolo.

60    «Ohé, Belluca!».

«Niente», aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e
d’imbecillità16 su le labbra. «Il treno, signor Cavaliere».

«Il treno? Che treno?».

«Ha fischiato».

65    «Ma che diavolo dici?».

«Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare…».

«Il treno?».

«Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia… oppure oppure… nelle
foreste del Congo… Si fa in un attimo, signor Cavaliere!».

70    Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella
stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi.

Allora il capo-ufficio – che quella sera doveva essere di malumore – urtato da
quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di
tanti suoi scherzi crudeli.

75    Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, s’era
ribellata, aveva inveito,17 gridando sempre quella stramberia18 del treno che aveva
fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch’egli aveva sentito fischiare il treno, non
poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo.

Lo avevano a viva forza preso, imbracato19 e trascinato all’ospizio dei matti.

80    Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio
assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato.20 E, subito dopo, soggiungeva:

«Si parte, si parte… Signori, per dove? per dove?».

E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi,
senza lustro,21 aggrottati,22 ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d’un bambino 

85    o d’un uomo felice; e frasi senza costrutto23 gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite,
espressioni poetiche, immaginose, bislacche,24 che tanto più stupivano, in quanto
non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca
a lui, cioè a uno che finora non s’era mai occupato d’altro che di cifre e registri e
cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria.25 

90    Ora parlava di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi
cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola. Cose,
ripeto, inaudite.

Chi venne a riferirmele insieme con la notizia dell’improvvisa alienazione mentale
rimase però sconcertato, non notando in me, non che meraviglia, ma neppur 

95    una lieve sorpresa.

Difatti io accolsi in silenzio la notizia.

E il mio silenzio era pieno di dolore. Tentennai il capo, con gli angoli della bocca
contratti in giù, amaramente, e dissi:

«Belluca, signori, non è impazzito. State sicuri che non è impazzito. Qualche 

100 cosa dev’essergli accaduta; ma naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché
nessuno sa bene come quest’uomo ha vissuto finora. Io che lo so, son sicuro che mi
spiegherò tutto naturalissimamente, appena l’avrò veduto e avrò parlato con lui».

Cammin facendo verso l’ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a
riflettere per conto mio:

105 «A un uomo che viva come Belluca finora ha vissuto, cioè una vita “impossibile”,
la cosa più ovvia, l’incidente più comune, un qualunque lievissimo inciampo
impreveduto,26 che so io, d’un ciottolo per via, possono produrre effetti straordinarii,
di cui nessuno si può dar la spiegazione, se non pensa appunto che la vita di
quell’uomo è “impossibile”. Bisogna condurre la spiegazione là, riattaccandola a 

110 quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà allora semplice e chiara. Chi
veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà
stimarla per se stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà
più tale; ma quale dev’essere, appartenendo a quel mostro.

Una coda naturalissima».

115 Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca.

Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si
domandavano con me come mai quell’uomo potesse resistere in quelle condizioni
di vita.

Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste due, 

120 vecchissime, per cataratta;27 l’altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa;28 palpebre
murate.29

Tutt’e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno
le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti, l’una
con quattro, l’altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da badare 

125 ad esse; se mai, porgevano qualche ajuto alla madre soltanto.

Con lo scarso provento30 del suo impieguccio31 di computista poteva Belluca dar
da mangiare a tutte quelle bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte
da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei
sette ragazzi finché essi, tutt’e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa.

130 Letti ampii, matrimoniali; ma tre.

Zuffe furibonde, inseguimenti, mobili rovesciati, stoviglie rotte, pianti, urli, tonfi,
perché qualcuno dei ragazzi, al bujo, scappava e andava a cacciarsi fra le tre vecchie
cieche, che dormivano in un letto a parte, e che ogni sera litigavano anch’esse
tra loro, perché nessuna delle tre voleva stare in mezzo e si ribellava quando veniva 

135 la sua volta.32

Alla fine, si faceva silenzio, e Belluca seguitava a ricopiare fino a tarda notte, finché
la penna non gli cadeva di mano e gli occhi non gli si chiudevano da sé.

Andava allora a buttarsi, spesso vestito, su un divanaccio sgangherato, e subito
sprofondava in un sonno di piombo, da cui ogni mattina si levava a stento, più 

140 intontito che mai.

Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto
naturalissimo.

Quando andai a trovarlo all’ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno.
Era, sì, ancora esaltato un po’, ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. 

145 Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano
impazzito.

«Magari!», diceva. «Magari!».

Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni – ma proprio dimentica­to –
che il mondo esisteva.

150 Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il
giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia
bendata, aggiogata alla stanga d’una nòria33 o d’un molino,34 sissignori, s’era dimenticato
da anni e anni – ma proprio dimenticato – che il mondo esisteva.

Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per

155 l’eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d’addormentarsi subito. E, 

d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare
un treno.

Gli era parso che gli orecchi, dopo tant’anni, chi sa come, d’improvviso gli si
fossero sturati.35

160 Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di
tutte quelle sue orribili angustie,36 e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato
a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme
tutt’intorno.

S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era

165 corso col pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte.

C’era, ah! c’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c’era il
mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s’avviava… Firenze, Bologna,
Torino, Venezia… tante città, in cui egli da giovine37 era stato e che ancora, certo,
in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La 

170 vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava,38 quella vita; aveva sempre
seguitato, mentr’egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino.39
Non ci aveva pensato più! Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento della sua
casa, nell’arida, ispida40 angustia della sua computisteria…41 Ma ora, ecco, gli rientrava,
come per travaso violento, nello spirito. L’attimo, che scoccava per lui, qua, 

175 in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui
con l’immaginazione d’improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città
note e ignote, lande,42 montagne, foreste, mari… Questo stesso brivido, questo stesso
palpito del tempo. C’erano, mentr’egli qua viveva questa vita “impossibile”, tanti
e tanti milioni d’uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel 

180 medesimo attimo ch’egli qua soffriva, c’erano le montagne solitarie nevose che levavano
al cielo notturno le azzurre fronti… Sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così…
c’erano gli oceani… le foreste…

E, dunque, lui – ora che il mondo gli era rientrato nello spirito – poteva in qualche
modo consolarsi! Sì, levandosi43 ogni tanto dal suo tormento, per prendere con 

185 l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo.

Gli bastava!

Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo,
dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora
ebro44 della troppa troppa aria, lo sentiva.

190 Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto,45 a chiedere scusa al capo-ufficio,
e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai
non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di
tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in
Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo:

195 «Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…».


Luigi Pirandello, Novelle, a cura di L. Lugnani, Einaudi, Torino 1994

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a TU per TU con il testo

Quante volte la nostra vita ci appare monotona e grigia? Colazione, scuola, pranzo, compiti, sport, cena, giorno dopo giorno. Perfino i nostri momenti di svago sembrano sempre gli stessi e finiscono per annoiarci! Figuriamoci allora che cosa potrebbe provare un uomo come Belluca, che lavora a ciclo continuo sommerso dai libri contabili, e a casa ha dodici bocche da sfamare, di cui sette appartengono a monelli e tre a vecchie cieche…

Eppure, anche a chi sembra più incastrato nelle maglie della routine può capitare di udire il “fischio del treno” e di mettere a soqquadro il proprio modo di vivere. A scatenarlo può essere, come nel caso del protagonista del racconto, un normale evento della realtà che ci circonda, un ritardo, un impercettibile strappo. Teniamo gli occhi ben aperti, laviamoci bene le orecchie allora: sarebbe un peccato non cogliere il segnale…

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Analisi

Lungi dal coincidere con il semplice divertimento del comico, l’umorismo pirandelliano ha un profondo valore filosofico. L’umorista – secondo Pirandello – è colui che sa affinare il suo sguardo sulla vita, smascherandone le finzioni, affrontandone apertamente la durezza e, talvolta, la tragicità. Ciò che differenzia l’umorismo dal comico è infatti la componente riflessiva: se il comico è un «avvertimento del contrario» – cioè la registrazione del fatto che le cose non vanno come dovrebbero, secondo quanto stabilito dalle convenzioni sociali –, l’umorismo implica invece un «sentimento del contrario», cioè una riflessione sui motivi profondi dell’anomalia che ha, inizialmente, scatenato il riso. Il treno ha fischiato è un perfetto esempio di novella umoristica pirandelliana: una situazione comica viene scoperchiata, mostrando l’elemento doloroso che la genera. All’ilarità subentrano così la pena e la compassione.

L’originale concezione di Pirandello ha delle precise conseguenze stilistiche. Cominciamo a soffermarci sul titolo: invece di riferirsi al nome del protagonista, o di introdurre il tema principale (per esempio, “La follia di Belluca”), come avviene di norma nella tradizione dei racconti ottocenteschi, Il treno ha fischiato mette in primo piano un dettaglio in apparenza marginale, che però si rivela essere, inaspettatamente, al centro della narrazione. Prima di iniziare a leggere è impossibile prevedere il contenuto della novella attraverso il titolo: anche questo depistaggio fa parte dello spiazzamento necessario a far cadere i paraocchi (r. 34) e interpretare il mondo in modo “umoristico”.

Il povero contabile Belluca – antenato del più moderno ragionier Fantozzi, partorito dalla crea­tività di Paolo Villaggio – è un perdente completo, un fallito, un grande sconfitto dalla vita. Le novelle di Pirandello sono piene di personaggi simili: mariti traditi, affaristi in bancarotta, preti senza più vocazione, anziani dimenticati e soli, contadini senza terra… Una galleria di vinti per cui non c’è più soluzione: il tempo dell’agire è finito, la disfatta si è già consumata, e il loro destino sventurato li incatena senza scampo all’infelicità e alla solitudine.

L’iperbole, uno dei meccanismi fondamentali del comico, enfatizza spesso la loro mortificante condanna alla sofferenza: in questo caso Belluca vive con tre (non una!) vecchie cieche, due figlie vedove con nipoti a carico, e mantiene tutti con il suo misero stipendio da impiegato, arrotondando in notturna con un lavoro di copiatura. Inoltre, sopporta remissivo le angherie dei colleghi e del capoufficio, che godono a infierire su di lui.

A un tratto, la monotonia della vita di Belluca viene rotta da un fatto a prima vista insignificante. L’insonnia – forse dovuta al troppo lavoro – tiene sveglio lo sfortunato ragioniere, che così finisce per udire il fischio di un treno notturno di passaggio nelle vicinanze. Tale evento innesca una sorta di esplosione interiore: Belluca scopre improvvisamente una dimensione diversa, una realtà “oltre” che si estende al di là della sua angusta vita da vecchio somaro (r. 32), da bestia bendata che gira la stanga del molino (r. 171). Il ragioniere si ricorda, d’un colpo, che esistono altre città, e poi inizia a visitarle con il pensiero, evadendo, tramite il potere sconfinato della fantasia, dalla sua vita gretta e avvilente. Ma attenzione, ciò che più conta dei viaggi immaginari di Belluca è l’allargamento del suo sguardo: non soltanto l’immaginazione, dunque, ma anche e soprattutto l’improvvisa consapevolezza che frantuma le apparenze cristallizzate e apre una prospettiva nuova sulle cose.

C’era, ah! c’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s’avviava… (rr. 166-167): in questi passaggi, in cui il discorso indiretto libero rende gli accorati pensieri del protagonista, il velo dell’abitudine viene squarciato e si dissolve, portando via con sé la ristrettezza di vedute e l’ottusa passività alle quali si era assuefatto. Il fischio del treno rompe la routine mentale di Belluca, e gli procura un punto di vista ribelle che gli restituisce l’umanità perduta: ora può guardare il mondo (e soprattutto se stesso) con altri occhi, sapendo che è possibile proiettarsi oltre il tormento della sua casa e l’angustia della sua computisteria (rr. 172-173) per riappropriarsi della libertà e della dignità.

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Anche la struttura dell’intreccio, quanto mai disarticolata e non lineare, è una delle strategie dell’umorismo per spiazzare e far riflettere. La novella inizia in medias res, con la scena corale nella quale i compagni d’ufficio (r. 2), reduci dal manicomio dove è ricoverato Belluca, dialogano tra loro con corte battute di sapore teatrale.

La vicenda ci viene raccontata attraverso una serie di flashback, divisibili in due gruppi fondamentali. Nella prima parte del racconto, i flashback propongono il punto di vista dei colleghi, che non riescono a spiegarsi la follia del ragioniere e ipotizzano l’azione di una malattia psichica (Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d’una improvvisa alienazione mentale, rr. 42-43), e quello della voce narrante, che giudica il caso naturalissimo (rr. 20 e 22). Nella seconda parte del racconto (da Chi venne a riferirmele, r. 93), la voce narrante esce allo scoperto, e quello che sembrava un narratore esterno in terza persona si rivela in realtà interno e testimone, un vicino di casa del protagonista. È a questo punto che troviamo l’analessi riguardante l’insostenibile vita di Belluca, e quindi il conseguente meccanismo umoristico: il comportamento del protagonista, inspiegabile agli occhi costernati dei colleghi, diventa per noi comprensibile grazie al narratore che ci fa conoscere la situazione familiare che l’ha determinato. Altro che follia! L’accaduto non è stato il risultato di una perdita di senno: che cosa c’è infatti di più “normale” e giustificabile che prendere con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo (rr. 184-185), fuggendo via dalle molte prigioni della vita?

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. La vicenda di Belluca non è raccontata in ordine cronologico, ma presenta numerosi flashback. Riordina i momenti della narrazione prima secondo l’ordine dell’intreccio, poi secondo quello della fabula.


INTRECCIO

  • a) Belluca si presenta al lavoro in ritardo e si ribella ai rimproveri del capoufficio.
  • b) Presentazione della situazione familiare di Belluca.
  • c) Il vicino di casa va a trovare Belluca.
  • d) Belluca si ripropone di scusarsi con il capoufficio.
  • e) I colleghi vanno a trovare Belluca al manicomio.
  • f) Presentazione della condizione di Belluca sul posto di lavoro.
  • g) Belluca, insonne, sente il fischio del treno.
  • h) Belluca viene portato al manicomio.


FABULA

  • a) Belluca si presenta al lavoro in ritardo e si ribella ai rimproveri del capoufficio.
  • b) Presentazione della situazione familiare di Belluca.
  • c) Il vicino di casa va a trovare Belluca.
  • d) Belluca si ripropone di scusarsi con il capoufficio.
  • e) I colleghi vanno a trovare Belluca al manicomio.
  • f) Presentazione della condizione di Belluca sul posto di lavoro.
  • g) Belluca, insonne, sente il fischio del treno.
  • h) Belluca viene portato al manicomio.

2. Che cosa fa Belluca la mattina dopo che ha sentito fischiare il treno?


3. Individua nel testo tutti i luoghi in cui Belluca immagina di andare.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Individua nel testo i passi in cui il narratore espone le proprie considerazioni su ciò che è accaduto a Belluca. Qual è il suo atteggiamento nei confronti di Belluca? Che ruolo ha nei confronti del lettore?


5. Che significato e che funzione ha la lunga metafora del somaro?


6. L’aver sentito il fischio del treno porta quasi a una trasformazione fisica del protagonista. Individua nel testo le espressioni che indicano questo cambiamento. Che cosa succede ai sensi e alle percezioni di Belluca?


7. Individua almeno tre esempi di stile indiretto libero, indicando a quali personaggi si riferiscono.

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COMPETENZE LINGUISTICHE

8. Il lessico. Nella novella vengono utilizzati molti termini tipici di lessici settoriali, come quello medico e burocratico. Dopo aver individuato nel testo almeno tre esempi di questi gerghi, stabilisci a quale lessico settoriale appartengono le parole inserite nella tabella (puoi usare il dizionario). Attenzione: alcuni termini afferiscono a più di un registro lessicale (in tal caso, specificane il significato).


  Lessico medico Lessico legale Lessico nautico Lessico economico Lessico matematico
a) somministrare          
b) bolina          
c) inflazione          
d) fattore          
e) contraente          
f) cima          
g) tangente          
h) auscultare          
i) detraibile          
j) assistito (sost.)          


9. Il linguaggio figurato. La metafora. Nella novella che hai letto, la pazienza e la sopportazione di Belluca vengono sottolineate da una metafora animale, quella con l’asino, che rappresenta al massimo grado tali caratteristiche. Questo tipo di metafora è spesso usato per indicare pregi e difetti di qualcuno. Spiega il significato di quelle che seguono.


a) Essere un leone  

 


b) Essere un serpente  

 


c) Fare lo struzzo 

 


d) Essere un elefante 

 


e) Essere un merlo 

 


f) Fare la formica 

 


g) Fare il pappagallo

 



Ne conosci altre? Scrivile e spiegane il significato.

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PRODURRE

10. Scrivere per persuadere. Immagina che Belluca, uscito dal manicomio, vada dal capoufficio per scusarsi e chiedere di tornare al proprio lavoro…

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

CITTADINANZA E COSTITUZIONE

In Italia i manicomi non esistono più: sono stati chiusi grazie alla legge 180 del 1978, detta “Legge Basaglia”, dal nome del medico psichiatra che ne fu il promotore. Fai una breve ricerca su questa legge e sulla sua importanza nell’aver reso più umano e dignitoso il trattamento di coloro che sono affetti da gravi disturbi psichiatrici. Prepara un’esposizione orale di circa cinque minuti.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

  • Alcune persone, come Belluca, si rifugiano nella fantasia e nell’immaginazione per sfuggire alla realtà quotidiana: è un atteggiamento che condividi? Ti sembra positivo o negativo? 
  • Quali sono i tuoi sogni a occhi aperti?

Se ti è piaciuto…

Un Belluca, tanti Belluca

L’impiegato, e chiunque lavori in ufficio, è una figura che la narrativa ha trattato essenzialmente in due modi: secondo la chiave del patetico o secondo quella del comico. Spesso, anzi, le due dimensioni so­no strettamente intrecciate, come dimostra già uno dei capostipiti di questo filone, ovvero Il cappotto, racconto dello scrittore russo Nikolaj Gogol’ (1809-1852). La storia delle traversie patite dal misero impiegato Akakij Akakievič per procurarsi un cappotto, che gli viene prontamente rubato, riecheggia in tanti racconti di Pirandello.

Nel secondo Novecento la sua più fortunata reincarnazione italiana è senz’altro quella nel ragionier Ugo Fantozzi, protagonista di numerosi libri scritti da Paolo Villaggio (1932-2017), che lo ha impersonato al cinema in ben dieci pellicole, girate fra il 1975 e il 1999. Fantozzi volge in grottesco un tipo umano diffuso nel secondo Novecento: l’impiegato mediocre e servile, vessato da colleghi e superiori, che si trova a subire umiliazioni talmente clamorose da scatenare l’ilarità.

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa