Ridere è una cosa seria?

1. Ridere è una cosa seria?

Presi dalle molte incombenze della routine quotidiana, di rado ci capita di riflettere su una cosa tanto semplice quanto connaturata nell’essere umano: il riso. Ridere è un’attività che occupa larga parte della nostra esistenza, lo si voglia o meno: pensiamo a che cosa accade se, per errore, innaffiamo il cane accucciato tra i fiori; alla reazione degli amici quando scivoliamo, magari sulla proverbiale buccia di banana; o alla figuraccia se, parlando in pubblico o scrivendo su Facebook, infiliamo uno strafalcione che scombina il senso della nostra frase, suscitando battute divertite.

Ridere non è – come potrebbe sembrare a prima vista – soltanto un incidente casuale o un passatempo frivolo o superfluo, una specie di decorazione, di condimento che rende più saporita la vita di tutti i giorni. Al contrario, non c’è nulla di più prezioso del riso, che svolge una serie di funzioni insostituibili, a livello fisiologico, psicologico e sociale. Se la nostra vita fosse paragonabile a un pianeta, il riso sarebbe l’atmosfera: ciò che la rende respirabile e abitabile. Chi, affrontando le mille traversie dell’esperienza, riesce nella difficile arte di coltivare la risata, diventa quasi invincibile; qualunque cosa capiti, sarà sempre a suo agio e pronto ad affrontare anche l’assurdo con il sorriso sulle labbra e la calma nel cuore.

I generi comici hanno fatto molta strada, attraversando i secoli e le diverse civiltà, dalle gag più grossolane e persino crudeli fino all’umorismo più sottile e raffinato. Tuttavia, le funzioni fondamentali del riso rimangono invariate, perché rispondono a bisogni e meccanismi radicati a fondo nella natura umana.

Per il filosofo francese Henri Bergson (1859-1941) si ride quando i movimenti delle persone ricordano quelli di cose inanimate e viceversa: pensiamo all’incedere a scatti di Charlot, personaggio inventato dal grande comico Charlie Chaplin (1889-1977), oppure alle marionette o a una scatola a molla da cui salta fuori un pupazzo. Per Bergson ridere di tali situazioni è, per l’essere

umano, un modo di esorcizzare la paura della morte, incarnata da tutto ciò che è statico e lontano dal flusso dinamico della vita.

Secondo il padre della psicanalisi, Sigmund Freud (1856-1939), il riso suscitato dai motti di spirito permette di gestire meglio le molteplici tensioni che attraversano la mente. Infatti, una battuta detta al momento giusto stempera i nostri conflitti interiori e ci libera da una serie di inibizioni che la società ci impone e che, a livello inconscio, rappresentano un freno ai nostri desideri.

Per altri pensatori invece il riso implica sempre un distacco, sia pure momentaneo, dalle passioni umane: ridiamo quando siamo spettatori di un evento che rompe il flusso della normalità e scatena in noi una reazione gioiosa e incontrollata. In questa deviazione dall’ordinario risiede il valore conoscitivo e creativo del comico, la sua capacità di arricchire in maniera imprevedibile ciò che diamo per scontato e pensiamo di conoscere “una volta per tutte”. Ridere, anche di noi stessi, può invece aiutarci a relativizzare il nostro punto di vista sul mondo e a confrontarci con la realtà senza timori, assicurandoci una sana distanza da cui osservare le cose, insieme a una più acuta percezione degli altri, dei loro bisogni e delle loro esigenze. Non a caso il riso svolge una funzione molto importante nel modo in cui ci poniamo in rapporto con il prossimo: se da un lato cementa le relazioni umane, attraverso momenti di intrattenimento ludico, gratuito e giocoso, dall’altro può perfino diventare uno strumento di violenza. Ridere degli altri infatti serve, a volte, a consolidare la nostra presunta superiorità, scaricando le nostre paure o i nostri bisogni su un “capro espiatorio” a portata di mano, che sia – o appaia – più debole di noi oppure che sembri ai nostri occhi inadeguato a vivere in società.

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2. Tipologie del comico

A un’estrema varietà di funzioni corrisponde un assortito campionario di modalità e stili comico-umoristici. Gli autori dispongono di numerose strategie per suscitare il divertimento dei lettori, e tali espedienti si appellano a idee e meccanismi anche molto diversi tra loro. Troviamo di seguito le principali tecniche in cui possiamo imbatterci mentre siamo alle prese con opere umoristiche; ricordiamo, però, che in molti autori esse si trovano spesso utilizzate in combinazione, e dunque non sempre è corretto separarle in modo automatico.

Parliamo innanzitutto di “comico di situazione” [#1] quando l’autore crea una circostanza palesemente assurda e in contrasto con le attese dei personaggi e del lettore. Abbiamo così equivoci, scambi di persona, beffe magistrali, inseguimenti rocamboleschi compiuti in condizioni anomale (per esempio, in mutande), figuracce e complicati intrichi per cui il personaggio finisce dritto dritto proprio dove voleva evitare di finire. Nel Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375), il giovane Andreuccio da Perugia, inesperto mercante appena giunto a Napoli, viene ingannato da una prostituta siciliana che si spaccia per sua sorella e lo invita nella propria casa con l’intenzione di derubarlo. Poco prima di coricarsi, l’ingenuo Andreuccio deve andare al bagno, dove scatta un’umiliante trappola: grazie a un’asse debitamente schiodata, il giovane cade in una latrina a cielo aperto e si ricopre di liquami, mentre la donna ha via libera per sottrargli in tutta calma il denaro.

Un altro espediente tipico del comico di situazione consiste nel rovesciamento o nella coesistenza degli opposti: il povero diventa ricco o viceversa, oppure l’incallito peccatore viene scambiato per un uomo altruista e in odore di santità, come accade a un altro personaggio del Decameron, ser Ciappelletto.

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Il “comico di carattere” si ottiene prevalentemente con la costruzione di personaggi esilaranti, vere e proprie macchiette, spesso tratteggiate con uno spiccato gusto per il grottesco o per la deformazione caricaturale. Alcuni comici del Novecento, come lo stesso Chaplin, Totò (pseudonimo di Antonio De Curtis, 1898-1967) o, ai giorni nostri, Aldo, Giovanni e Giacomo, hanno costruito la loro fortuna interpretando personaggi bislacchi, pieni di tic comportamentali o linguistici.

Il comico di carattere si basa dunque sull’iperbole, per ottenere un effetto anomalo e spassoso attraverso l’esagerazione del consueto o l’accentuazione anche irrealistica di alcuni tratti dell’individuo. La letteratura abbonda infatti di figure strambe e sproporzionate: giganti impacciati che camminano dinoccolati, disadattati di vario genere destinati a suscitare l’ilarità del pubblico, e così via. In altri casi, gli effetti comici si ottengono costruendo veri e propri prototipi di qualità psicologiche, nei quali cioè una singola caratteristica si concentra al massimo grado: avremo così uomini avarissimi, attaccabrighe patentati, mangiapane a ufo, vanitosi, sbruffoni o vittime inermi sopraffatte dalla società. A quest’ultima categoria appartiene per esempio la leggendaria figura del ragionier Ugo Fantozzi, creata dallo scrittore e attore cinematografico Paolo Villaggio (1932-2017). Fantozzi incarna la quintessenza del mediocre vessato dal mondo, inevitabilmente condannato alla sconfitta: attraverso le sue sgangherate vicende, Villaggio propone un amarissimo e divertente affresco del ceto impiegatizio e dell’Italia negli anni Settanta del secolo scorso.

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Un’altra strategia comica è ottenuta tramite l’uso di motti di spirito e giochi linguistici che, oltre a creare divertenti gag, possono aiutare i protagonisti a primeggiare o a trarre d’impaccio in situazioni difficili.

Il “comico di parola” non riguarda soltanto l’invenzione di personaggi particolarmente bravi a motteggiare: certi autori, come Achille Campanile (1899-1977), fondano la propria comicità sugli equivoci nati dall’uso di parole simili ma di diverso significato, come nel calembour (una freddura ottenuta attraverso l’accostamento di parole simili) «Mi spezzo ma non m’impiego», che stravolge ironicamente il tradizionale «Mi piego ma non mi spezzo». Nel Decameron di Boccaccio la parola costituisce un’arma potente: può essere un mezzo per uscire indenni da situazioni svantaggiose, uno strumento di mistificazione, una formidabile risorsa per ottenere un tornaconto personale o per ingannare il prossimo sprovveduto e ingenuo, come accade nella novella di Calandrino lapidato ( T1, p. 358).

Altri scrittori – come Lewis Carroll (1832-1898), Carlo Emilio Gadda (1893-1973) e Stefano Benni (n. 1947) – devono parte della loro forza comica al modo in cui usano la lingua. Infatti, nel romanzo fantastico Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, Carroll costruisce un mondo basato sul nonsense, in rotta con la logica che guida il nostro modo di pensare; Gadda impiega un linguaggio complicatissimo e altisonante per parlare di argomenti quotidiani o di poco conto, suscitando un effetto divertente, come nel caso delle fantasmagoriche e articolatissime descrizioni del formaggio gorgonzola o della caduta di un fulmine; Benni, infine, inventa nomi bislacchi, assurdi e creativi, e inoltre mescola registri diversi, potenziando gli effetti comici dei suoi racconti, come nella Storia di Pronto Soccorso e Beauty Case ( T4, p. 386), in cui, oltre a scegliere improbabili nomi per i suoi protagonisti, l’autore dispiega il suo talento per l’invenzione e la mescolanza dei linguaggi.

3. Il riso amaro dell’umorismo

Mentre la comicità provoca una risata spontanea, l’umorismo presenta e analizza la realtà in modo più sofisticato, spesso rivelandone e denunciandone la tragicità: esso illumina e smonta le convenzioni e le credenze che a volte usiamo per “indorare la pillola”, rendendo la vita meno amara. A questa funzione di smascheramento si rifà la celebre distinzione operata da Luigi Pirandello (1867-1936) nel suo saggio L’umorismo del 1908: a differenza del comico che si limita a registrare ciò che è strano e incongruente rispetto ai dettami sociali, l’umorismo indaga le dolorose verità che hanno provocato tale anomalia, come possiamo vedere nello stravagante comportamento di Belluca, protagonista della novella Il treno ha fischiato ( T2, p. 367). Per spiegare il concetto, Pirandello fornisce un celebre esempio: si immagini una vecchia signora, con capelli tinti, abiti giovanili e un trucco pesantissimo. Se inizialmente ridiamo del suo aspetto, in un secondo momento siamo indotti a riflettere: ci chiediamo perché la donna si sia acconciata così (forse vuole ravvivare l’amore del marito più giovane?), e assaporiamo tutta l’amarezza tragicomica della situazione.

L’umorismo, dunque, da un lato ci rende più saggi, e dall’altro aumenta il disincanto con cui guardiamo ai casi della vita. Per Pirandello, l’umorismo svela le maschere che nascondono i meccanismi dell’esistenza sociale e psichica dell’individuo. Una volta squarciato il velo, i nostri occhi non torneranno mai più come prima:

Tutte le finzioni dell’anima, tutte le creazioni del sentimento vedremo esser materia dell’umorismo, vedremo cioè la riflessione diventar come un demonietto che smonta il congegno d’ogni immagine, d’ogni fantasma1 messo su dal sentimento; smontarlo per veder com’è fatto; scaricarne la molla, e tutto il congegno striderne, convulso.

Luigi Pirandello, L’umorismo, Mondadori, Milano 2014

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Due strumenti, in particolare, sono utili per mettere a nudo inganni e autoinganni. Attraverso l’ironia è possibile andare oltre il significato letterale delle parole, per esprimere qualcosa di diverso o talvolta contrario: per esempio, trovandoci a mangiare cotechino e lenticchie a ferragosto, potremmo commentare: «Leggero questo cotechino, davvero perfetto per la giornata!», con l’intenzione di sottolineare esattamente l’opposto, essendo il cotechino un piatto cucinato tradizionalmente nel periodo natalizio. L’ironia serve a prendere le distanze dall’oggetto del discorso, mettendolo sotto un’altra luce, spesso in base a un pensiero scettico, critico o anticonformista, in ogni caso teso a rovesciare gli stereotipi.

Si parla di sarcasmo, invece, quando l’ironia è impiegata in modo affilato, per denunciare con parole acri e pungenti atteggiamenti ritenuti sbagliati, retrogradi o controproducenti. Leggiamo, per esempio, questo aforisma dello scrittore irlandese Oscar Wilde (1854-1900), diretto contro la frequente abitudine di parlare a vanvera: «A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio!».

4. Ridere per castigare: parodia e satira

Tra i più rilevanti sottogeneri dell’umorismo troviamo la parodia, che consiste nell’imitazione ironica, divertente e spiazzante di un testo o di un personaggio. L’oggetto della parodia può coincidere con un’opera in particolare, con un genere letterario o con uno specifico registro stilistico: per funzionare, è necessario che i lettori conoscano il modello di riferimento o le convenzioni del genere che si intende rovesciare e mettere in caricatura. Per esempio, il romanzo Don Chisciotte di Miguel de Cervantes (1547-1616) gioca con le caratteristiche tradizionali del romanzo cavalleresco: un uomo di mezza età ha letto troppi libri e inizia a credersi un impavido cavaliere errante; partito su un malconcio destriero, immagina di vivere le avventure tipiche dei cavalieri – come la lotta contro perfidi maghi o la devozione per avvenenti e leggiadre fanciulle – quando in verità si scontra con la trita e realistica quotidianità della Spagna del Cinque-Seicento. Persino il suo linguaggio, spesso ampolloso e letterario, stride con gli episodi comici di cui si rende inconsapevolmente protagonista, come quando attacca dei mulini a vento scambiandoli per crudeli giganti.

Più un’opera è famosa e incensata dalla critica, più si espone alla costruzione di esilaranti e beffarde parodie: per esempio, lo scrittore Guido da Verona (1881-1939) è autore di una parodia dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni (1785-1873), il più celebre romanzo italiano dell’Ottocento. La storia, trasposta all’epoca del ventennio fascista, vede protagonista una Lucia provocante e ambiziosa, mentre il povero Renzo, che viaggia con un vecchio trabiccolo, non ha speranze di competere con il bolide americano di don Rodrigo. L’Ulisse omerico, invece, diventa oggetto di parodia nella Nascita dell’Odissea di Jean Giono (1895-1970), in cui è dipinto come un ubriacone perdigiorno che è stato buttato fuori casa dalla moglie Penelope; grazie alla sua fervida fantasia, il nostro “antieroe” costruisce la sua leggenda raccontando panzane da taverna. Sullo stesso meccanismo fa leva anche una serie di comici falsi account sorti sui social network, dedicati alla parodia di grandi autori letterari, come “Giacomo Mainagioia Leopardi”, che gioca sul pessimismo del poeta dell’Infinito.

Il cinema e la televisione, inoltre, sono da sempre un terreno fertile per la satira. Ricordiamo, su tutte, le magistrali parodie del regista statunitense Mel Brooks (n. 1926), che ribalta comicamente opere e personaggi appartenenti ai generi fantastico, fantascientifico e d’avventura, tra cui Frankenstein (Frankenstein Junior, 1974), Star Wars (Balle spaziali, 1987) e Robin Hood (Robin Hood – Un uomo in calzamaglia, 1993).

Altro genere umoristico è la satira [#2], una creazione degli antichi Romani che mira a ritrarre i costumi sociali in modo spiritoso e tagliente. Il nome latino satura aveva diversi significati: poteva indicare sia un tipo di ripieno cucinato con molteplici ingredienti, sia una raccolta di leggi composta da numerose parti slegate tra loro (lex satura); inoltre, il termine può essere messo in relazione con i satiri, creature mitologiche dagli attributi animali, famose per essere lascive e scurrili. Fin dall’etimologia, il genere satirico si presenta dunque sotto l’insegna della varietà e del carattere salace e burlesco.

La letteratura latina ha prodotto grandi capolavori satirici, in cui tipi umani, tendenze sociali e soprusi politici vengono presi di mira e messi alla berlina, con stili anche molto diversi tra loro, dall’elegante compostezza di Orazio (65-8 a.C.) all’oscuro moralismo di Persio (34-62 d.C.), fino alla violenta indignazione di Giovenale (ca 50-127 d.C.).

Lungo i secoli, la satira si è sviluppata nella letteratura occidentale dando vita a veri e propri capolavori. Nella Francia del Settecento il padre dell’Illuminismo Voltaire (1694-1778) scrive Candido, romanzo satirico diretto contro l’ottimismo ingenuo e acritico e la convenzione di vivere “nel migliore dei mondi possibili”. Nello stesso secolo, l’inglese Jonathan Swift (1667-1745) pubblica I viaggi di Gulliver, che attraverso viaggi “meravigliosi” in paesi immaginari – dove gli uomini sono giganteschi o piccolissimi – nasconde feroci attacchi alla società e alla politica del tempo. Per quanto riguarda il panorama italiano, ricordiamo i due maggiori poeti dialettali dell’Ottocento, il milanese Carlo Porta (1775-1821) e il romano Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863), che dipingono con impareggiabile genio comico le tare della vita popolare e borghese. Nel Novecento, Giovannino Guareschi (1908-1968) ha invece tracciato un divertente affresco delle contraddizioni sociopolitiche del secondo dopoguerra, trasportando i grandi conflitti politici in un piccolo paese della Bassa emiliana, animato dallo scontro tra un parroco, don Camillo, e un sindaco comunista, Peppone ( T3, p. 377).

EmozionArti
Sorrisi provocatori

La Gioconda e il suo sorriso… una vera e propria ossessione, per i turisti di oggi e di ieri! Nell’agosto del 1911 il celebre quadro di Leonardo (1452-1519) viene rubato: un furto destinato a entrare nella storia. Il ladro è un decoratore italiano, Vincenzo Peruggia, ex impiegato del Louvre. Sostenitore della paternità italiana dell’opera, sottrae il quadro e, dopo averlo tenuto nascosto per circa due anni nella sua stanza, lo porta con sé nel suo paese d’origine, dove tenta di rivenderla, mossa che però gli costerà processo e condanna. Il dipinto, finalmente recuperato, viene ricondotto in pompa magna in Francia. Qui ad attenderlo è il direttore del museo, che l’illustratore Adrien Barrère immagina tormentato dall’incubo di tante diverse “Gioconde” dallo sguardo severo e indignato.
Anche Andy Warhol (1928-1987) negli anni Sessanta gioca con Monna Lisa: per lui il dipinto diventa uno dei simboli della società del consumo e la riproduce con tecniche a stampa. In una delle opere a lei dedicate userà il titolo Thirty Are Better Than One (Trenta sono meglio di una), suggerendoci che le riproduzioni sono migliori dell’originale perché questo è unico, mentre le copie possono essere infinite.

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chi ben comincia

Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca (per non parlare del cane), 1889

“Eravamo in quattro – George, e William Samuel Harris, e io, e Montmorency. Eravamo seduti in camera mia a fumare e discorrere di quanto stessimo male – male da un punto di vista sanitario, intendo, si capisce.
Ci sentivamo tutti depressi, il che incominciava a innervosirci. Harris disse che a momenti lo coglievano degli spaventosi attacchi di vertigini, tali da fargli perdere la cognizione di quel che stava facendo; allora George disse che anche lui aveva degli attacchi di vertigini che gli facevano perdere la cognizione di quel che stava facendo. Dal canto mio, era il fegato a darmi dei dispiaceri. Sapevo di avere il fegato in disordine perché avevo appena letto le avvertenze di certe pillole per il fegato, in cui erano descritti nel dettaglio svariati sintomi in base ai quali uno poteva stabilire quando avesse il fegato fuori posto. Io li avevo tutti.”


Paolo Villaggio, Fantozzi, 1971

“Fantozzi per sfuggire alle tagliole dell’organizzazione ha pensato di vivere una libera vacanza in campeggio a contatto con la natura, lontano da alberghi e itinerari consigliati. Si è comperato allora una tenda.
Mai decisione fu più tragica.”


Andrea Vitali, La signorina Tecla Manzi, 2004

“Mercede Vitali, dell’omonima merceria sita a Bellano in via Balbiani numero 27, era una smortina tuttaossa.
Nubile.
Vergine.
Vegetariana.
Aveva quarant’anni.
Da venti non si perdeva la prima messa del mattino.
Pregava, poi andava a vendere mutande.”

Verifica delle conoscenze

1. Spiega almeno tre motivi per cui il riso – all’interno dell’esperienza di vita – gioca un ruolo ben più importante del semplice intrattenimento.

2. L’umorismo ha anche delle funzioni sociali? Se sì, quali?

3. Definisci il comico di situazione.

4. Che differenza c’è tra il comico di parola e il comico di carattere?

5. Quale tipologia umana viene incarnata da Fantozzi, il comico personaggio creato da Paolo Villaggio?

6. Qual è la differenza tra il comico e l’umorismo secondo Luigi Pirandello? Quale, tra i due, è dotato di maggior valore conoscitivo?

7. Che cos’è la parodia? Fornisci almeno tre esempi, ciascuno appartenente a un diverso linguaggio artistico (letteratura, cinema, fumetto, teatro, musica ecc.).

8. Dove e quando è nato il genere satirico? Quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa