T5 - La bara di Dracula (B. Stoker)

Il tema: I mostri

T5

Bram Stoker

La bara di Dracula

  • Tratto da Dracula
  • Titolo originale Dracula, 1897
  • Lingua originale inglese
  • romanzo horror
L’autore

Abraham, detto Bram, Stoker nasce in Irlanda, nei pressi di Dublino, nel 1847. Terzo di sette fratelli, passa l’infanzia immobilizzato a letto per una malattia; una volta guarito si iscrive al Trinity College, dove si distingue come sportivo e consegue la laurea in Matematica. Lavora nell’amministrazione pubblica, coltivando nel tempo libero un’ardente passione per la letteratura. Sposatosi, si trasferisce a Londra: qui diventa impresario teatrale e scrive le sue opere più importanti, a cominciare dal romanzo Dracula, pubblicato nel 1897. Nonostante il successo dell’opera, negli anni successivi le condizioni economiche di Stoker peggiorano e lo portano a morire in povertà, a Londra, nel 1912, proprio nei giorni in cui il transatlantico Titanic naufraga nell’Atlantico. La sua scomparsa passa perciò del tutto inosservata.

Jonathan Harker, giovane agente immobiliare, è giunto in Transilvania dall’Inghilterra, incaricato di concludere un affare con il Conte Dracula. Arrivato al suo castello, in breve comprende di essere finito in una situazione ambigua e pericolosa. Il comportamento del proprietario, che non mangia mai e durante il giorno sparisce, aggrava i suoi sospetti, affidati a un diario. Quando Jonathan scopre in un sotterraneo il Conte dormiente in una bara, decide di andarsene. Ma non è così facile…

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Audiolettura

30 giugno, mattina. Queste sono forse le ultime parole che scrivo in questo diario.
Ho dormito fino a un istante prima dell’alba, e svegliandomi mi sono gettato in
ginocchio,1 poiché ho deciso che, se morte deve essere, deve trovarmi pronto.

Alla fine ho avvertito quell’infinitesimale mutamento nell’aria, e ho intuito che il 

5      mattino era giunto. Poi s’è fatto udire il benvenuto canto del gallo,2 e ho saputo di
essere salvo.3 Col cuore traboccante di gioia, ho aperto l’uscio, mi sono precipitato
giù, nell’atrio. Il portone, l’avevo visto, non era sbarrato, e ormai lo scampo m’era
dinnanzi. Con mani tremanti di brama,4 ho sciolto le catene, ho sfilato i massicci
chiavistelli.

10    Ma il battente non si è mosso. La disperazione mi ha colto. Ho tirato, tirato, l’ho
scosso finché, pesante com’era, ha vibrato sui cardini. E allora mi sono accorto che
la serratura era stata chiusa. Chiusa dopo che mi ero separato dal Conte!5

E allora, un selvaggio desiderio mi ha preso di procurarmi la chiave a ogni costo,
e seduta stante6 ho deciso di scalare nuovamente il muro e di raggiungere la camera 

15    del Conte. Poteva uccidermi, ma la morte adesso mi sembrava, tra tutti i mali, la
scelta migliore. Senza un attimo di sosta, mi sono precipitato alla finestra che dà a
est, mi sono calato lungo la muraglia e, come la prima volta, rieccomi nella stanza
del Conte. Vuota, ma era quanto m’aspettavo. Chiavi non se ne vedevano da nessuna
parte, ma il mucchio d’oro7 sì. Ho infilato la porta di fronte, e giù per la spirale 

20    della scala8 e lungo il buio corridoio, alla vecchia cappella. Ora lo sapevo bene, dove
trovare il mostro che cercavo.

La grande cassa era allo stesso punto, contro la parete, ma il coperchio era posato
su di essa, non sigillato ma con i chiodi già al posto loro, pronti per esservi conficcati.
Sapevo di dover frugare il corpo in cerca della chiave, per cui ho sollevato il 

25    coperchio, l’ho appoggiato alla parete: e allora ho visto qualcosa che mi ha riempito
d’orrore sino in fondo all’anima. Lì giaceva il Conte, ma si sarebbe detto che la giovinezza
in lui fosse rinata, ché i capelli e i baffi bianchi erano divenuti grigio ferro;
le guance erano più piene, la pelle sembrava soffusa di rosa;9 più rossa che mai la
bocca, poiché sulle labbra erano gocce di sangue fresco che ruscellavano10 dagli angoli, 

30    scivolando sul mento e il collo. Persino gli occhi incavati, ardenti, sembravano
incastonati in turgida11 carne, ché le palpebre e le borse sotto di essi sembravano
rigonfie. Si sarebbe detto che quell’immonda creatura fosse tutta repleta12 di sangue.
Giaceva lì, come un’oscena sanguisuga,13 esausta per essersene ingozzata. Rabbrividendo
mi sono chinato a toccarlo, e ogni mio senso si è rivoltato al contatto; ma 

35    cercare dovevo, o sarei stato perduto. La notte successiva avrebbe potuto vedere il
mio proprio corpo oggetto di un simile banchetto per le tre orribili.14 L’ho frugato
in tutto il corpo, ma non ho trovato traccia della chiave. Allora mi sono arrestato e
ho guardato il Conte. Sul suo volto congestionato aleggiava un sorriso beffardo che
m’ha fatto quasi impazzire. Quello era l’essere cui davo una mano per trasferirsi a 

40    Londra dove, forse per secoli e secoli, tra i milioni di abitanti della città brulicante, 

avrebbe saziato la sua brama di sangue e creato una nuova, sempre più vasta genia15
di mezzi demoni con cui dare addosso agli16 indifesi. Un pensiero che mi faceva
salire le fiamme al cervello, e sono stato colto dal violento desiderio di liberare il
mondo da siffatto mostro. Non avevo armi mortifere17 a portata di mano, ma ho 

45    dato di piglio a18 una vanga usata dagli operai per riempire le casse, e l’ho levata in
alto, menandola, con la lama di taglio, verso il volto odioso. Ma, in quel mentre,
la testa si è voltata, gli occhi mi si sono puntati addosso, quant’erano grandi, con
il loro ardore di orribile basilisco.19 E quella vista mi ha paralizzato, la vanga mi si
è girata in pugno e ha colpito di piatto, aprendo null’altro che uno squarcio sulla 

50    fronte. Poi l’arnese mi è caduto di mano, e, come ho fatto per riafferrarlo, l’orlo
della lama si è impigliato in quello del coperchio che è ricaduto, nascondendo al
mio sguardo quell’orribile cosa. L’ultima visione che ne ho avuto è stata del volto
rigonfio, macchiato di sangue, immobilizzato in un sorriso maligno che avrebbe
fatto la sua figura20 nel peggiore degli inferni.


Bram Stoker, Dracula, trad. di F. Saba Sardi, Mondadori, Milano 2007

 >> pagina 328 

Come continua

Dracula decide di partire per Londra, in cerca di nuove vittime. Fra esse c’è Lucy, la migliore amica di Mina, la fidanzata di Harker, che nel frattempo ha trovato rifugio in un convento, dove è in preda al delirio. Lucy, priva di forze, muore dopo una terribile agonia, ma si ripresenta in forma di vampiro. Il professor Van Helsing si incarica di risolvere la situazione. Il malefico Dracula, braccato, è costretto a rientrare in Transilvania, dove ingaggia una lotta all’ultimo sangue – è proprio il caso di dirlo – con i suoi nemici, decisi a estirpare a ogni costo il pericolo che rappresenta, armati di collane d’aglio e crocefissi.

a TU per TU con il testo

Questo brano di Dracula ci lascia in bocca un sapore strano: e non è quello del sangue. È come se nel castello ci fossimo già stati, come se sapessimo in anticipo cosa avrebbe trovato Jonathan Harker una volta giunto alla vecchia cappella. Non c’è da stupirsi. Probabilmente abbiamo già letto, visto o ascoltato una delle innumerevoli varianti di questa storia. Conosciamo già questo cupo castello della Transilvania, circondato da boschi infestati da lupi, così come conosciamo il Paese dei Balocchi senza avere mai letto Pinocchio. Il Conte ci aspetta sornione nella sua confortevole bara, sazio e riposato. E noi ci accostiamo a lui per l’ennesima volta, perché vedere il suo sorriso maligno è un’esperienza bellissima e tremenda, alla quale non sappiamo rinunciare.

Analisi

La vicenda si svolge all’alba di un giorno d’estate, il 30 giugno. Non si tratta di una gratuita precisazione cronologica, ma di un tocco che contribuisce ad accrescere l’effetto di realtà, per fare meglio esplodere l’assurdo della situazione in cui è capitato il protagonista. In tal senso l’espediente del diario e l’assenza di un narratore esterno hanno un ruolo fondamentale. Come il lettore, infatti, anche Harker – scrivendo di giorno in giorno – ignora quale piega prenderanno gli eventi. In questo modo la suspense aumenta, mentre accompagniamo passo passo l’agente immobiliare in un universo spaventoso del quale neppure sospettava l’esistenza, e vediamo il suo scetticismo tramutarsi prima in sospetto, poi in terrore.

Harker ha ormai capito che rischia una brutta fine. Nel castello di Dracula non è più un ospite, ma un prigioniero. Per andarsene ha bisogno della chiave del portone. Decide allora di calarsi lungo il muro esterno, rischiando l’osso del collo: ma che importa? Poteva uccidermi, ma la morte adesso mi sembrava, tra tutti i mali, la scelta migliore (rr. 15-16). Rien­tra così in una stanza visitata giorni addietro e di qui raggiunge la cappella diroccata dove il Conte durante il giorno si riposa, in una bara scoperchiata.

Quando Harker si accosta, nella vana ricerca della chiave, nota con sorpresa il ringiovanimento del vampiro, facilmente attribuibile a un pasto recente, visto che sulle labbra erano gocce di sangue fresco che ruscellavano dagli angoli, scivolando sul mento e il collo (rr. 29-30). Ne descrive le guance rosate, la carne gonfia, gli occhi ardenti e i baffi, divenuti grigio ferro (r. 27): sorprendentemente per noi lettori moderni, che abbiamo in mente le incarnazioni cinematografiche di Dracula, sempre perfettamente sbarbato.

Del resto, nel creare il suo eroe, Stoker si rifà a Vlad Tepes, un crudele principe vissuto nel XV secolo, soprannominato appunto Dracula (in romeno, “figlio del demonio”) ed effigiato sempre con un gran paio di baffi. Va aggiunto però che nella figura del vampiro convergono, insieme a fonti storiche e letterarie, elementi derivati dal folclore dell’Europa orientale, relativi a leggende su morti in grado di lasciare nottetempo le loro tombe per succhiare il sangue ai vivi. Questi “mostri” sono descritti come esseri dall’odore ripugnante, senza ombra e senz’anima, invisibili allo specchio e nelle fotografie, dalle orecchie appuntite, capaci di trasformarsi in lupi e pipistrelli.

 >> pagina 329 

In queste credenze popolari i vampiri non hanno nulla di signorile, a differenza di quanto accade nella letteratura sin dall’epoca romantica, quando l’inglese John William Polidori, nel racconto Il vampiro (1819), fece indossare le vesti del “non morto” a un ricco nobile dalle buone maniere, pallido, abile conversatore. Anche nel romanzo di Stoker Dracula si presenta come un colto aristocratico, elegante, raffinato, ma anche altezzoso e sarcastico. Sotto la patina dei modi cortesi, però, s’intravede qualcosa di selvaggio e indomabile, che brilla in una frase allusiva, in una mossa rapida delle mani dalle unghie lunghissime e affilate, nello sguardo che pietrifica. Quando Harker alza la vanga per rifilargli un colpo micidiale, e lui spalanca gli occhi a dismisura, non possiamo reprimere un sussulto. Poi subentra la logica. Ancora non sa, poveraccio, che per neutralizzare un vampiro ci vuole altro: serve un bel palo di frassino, piantato dritto nel cuore.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Perché Jonathan Harker è così sollevato dall’arrivo del mattino?


2. Perché Jonathan Harker tenta di uccidere Dracula?

  •     Perché teme di diventare una sua vittima.
  •     Per vendicare la propria fidanzata.
  •     Per poter fuggire dal suo castello.
  •     Perché sa che se il vampiro si trasferirà a Londra farà moltissime vittime.

3. Qual è, in concreto, il particolare che fa scattare l’ira di Jonathan e dunque il tentativo di uccidere Dracula?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Uno degli espedienti che contribuiscono ad aumentare la suspense è il pensiero ricorrente di Jonathan sulla propria imminente fine. Rintraccia e trascrivi i passi del testo che contengono queste riflessioni.


5. Jonathan Harker definisce “mostro” il Conte: quali aspetti della descrizione fisica lo rendono “mostruoso”? Fai riferimento a precisi passi del testo.


6. Il Conte Dracula è un essere demoniaco, che incarna l’essenza del male. Individua nel passo tutti i termini e le espressioni che fanno riferimento a questa sua caratteristica.

 >> pagina 330 

COMPETENZE LINGUISTICHE

7. Lessico. La formazione delle parole. Il termine “mortifero”, ovvero “portatore di morte”, è costruito con un suffissoide, -fero, corrispondente al verbo latino fero, che significa, appunto, “portare”. In italiano, sono piuttosto comuni i termini costruiti con questo e altri suffissoidi, come -ficio (da facio, “fare”) e -cida (da caedo, “uccidere”). Elencane almeno quattro per ciascuno dei suffissoidi indicati.


-fero  
-ficio  
-cida  

PRODURRE

8. Scrivere per descrivere. Il passo che hai letto si sofferma ampiamente sulla descrizione del vampiro, ma poco su quella della cappella in cui è conservata la sua cassa. Descrivila tu, usando i seguenti termini (massimo 10 righe):


• tetro • muffa • pesante • pietra • volta.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

LETTERATURA E…

Lo sguardo di Dracula è paragonato a quello del basilisco, animale fantastico, simile a un serpente, capace di pietrificare con lo sguardo. Animali del genere sono frequenti nella mitologia antica, ma anche nelle leggende medievali: la chimera, l’araba fenice, l’unicorno, l’ippogrifo, l’idra… quali di questi conosci? Come sono fatti e quali sono i loro poteri? Fai una breve ricerca insieme ai tuoi compagni, anche dividendovi il lavoro a gruppi.


CINEMA

Le trasposizioni cinematografiche del romanzo di Bram Stoker sono numerosissime, e in ciascuna di esse il Conte Dracula è rappresentato in modo differente, spesso da attori celebri. Ti proponiamo tre immagini tratte da famose pellicole: in che cosa sono differenti e in che cosa sono simili, tra loro e rispetto alla descrizione che hai appena letto? Esponi le tue considerazioni (massimo 20 righe).

 >> pagina 331 

Se ti è piaciuto…

Tra scrittori e vampiri corre buon sangue

«Astieniti decisamente dal mangiare il sangue; perché il sangue è la vita; e tu non devi mangiare la vita insieme con la carne». Nonostante questo ammonimento contenuto nella Bibbia (Deuteronomio, XII, 23-24), i vampiri turbano da secoli la mente degli uomini, che li sognano mentre scorrazzano, in cerca di sangue umano (il termine ungherese wampyr significa “succhiare”). Nell’Ottocento, in epoca romantica, la letteratura si appropriò di queste credenze, che riecheggiano per esempio nei racconti del tedesco E.T.A. Hoffmann (1776-1822) e di Edgar Allan Poe, e nei versi di Charles Baudelaire.

Da allora in poi la figura del vampiro è andata incontro a una fortuna ininterrotta, rilanciata nel XXI secolo dal successo strepitoso della quadrilogia Twilight, avviata nel 2005 da Stephenie Meyer (n. 1973). La scrittrice americana lo ha trasformato in un formidabile seduttore, che suscita un misto di attrazione e repulsione. A differenza di zombie e licantropi, in effetti, il suo aspetto non ha nulla di disgustoso. L’aggressività che lo scuote è stata letta come una distorsione del desiderio sessuale, al quale rimanderebbe l’impulso incontrollabile a insidiare e mordere femmine innocenti. Questa caratteristica è stata valorizzata in tanti romanzi recenti, in cui il vampiro – giovane e bellissimo – assume il ruolo di maschio predatore.

Ma non va sempre così. Nel 2015, a dieci anni dall’uscita del primo romanzo della saga Twilight, è comparso Life and Death, in cui Stephenie Meyer ha rovesciato la storia: a essere assetata di sangue è infatti la donna. Una novità? Non esattamente: un ritorno alle origini, piuttosto. Leggende di “vampire” esistevano sin dall’antichità. Prima ancora che Stoker creasse Dracula, un altro scrittore irlandese, Joseph Sheridan Le Fanu, aveva suscitato scandalo con il racconto gotico Carmilla (1872), morbosa storia di un’attrazione fra una nobildonna e una ragazza misteriosa che in una notte di luna piena viene accolta nel castello di famiglia.

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa