T2 - L’uccello d’oro (G. Deledda)

T2

Grazia Deledda
(Nuoro 1871-Roma 1936)

L’uccello d’oro

  • Tratto da Il cedro del Libano, 1939
  • racconto

In un giorno di bufera un emigrato ritorna nel paese natale, in condizioni pietose. La gente lo osserva con diffidenza. All’albergo gli chiudono la porta in faccia. Cerca allora ospitalità da un cugino, proprio quando la moglie nella casa minaccia i bambini dicendo loro che il vento porterà il lupo mannaro. E invece…

Fu visto l’emigrato ritornare peggio di come era partito, con una vecchia valigia legata
con una corda, e vestito di una grande giacca povera tutta abbottonata: per di più,
sotto il berretto a quadretti, anch’esso in cattivo stato, aveva la testa e metà del viso
fasciati di garza e di bende nere: il resto delle guance azzurrognolo di barba non rasa 

5      da più giorni; mentre le mani erano bianche come quelle di un malato. Qualcuno
che credeva di riconoscerlo lo scansò, ricordandosi che il mese avanti una donna era
tornata dall’estero con la lebbra: e poi anche perché soffiava un vento furibondo,
uno di quei classici aquiloni1 speciali del luogo, che pareva volesse davvero, come
fa l’aquila affamata con gli agnelli, portarsi via la gente che si azzardava a uscire con 

10    quel tempo.

L’uomo quindi, solo, con la sua pietosa valigia strangolata,2 le vesti gonfie di
vento, si fermò, come per orizzontarsi, nella piazzetta che strapiombava, a guisa di3
bastione, sopra la valle. Bellissima era la valle, nei tempi buoni; adesso, sotto la luce
spettrale del crepuscolo, cascate di olivi e i boschi di castagni si agitavano tumultuosi 

15    con un rombo metallico di mare in tempesta. L’albergo per villeggianti che
spadroneggiava solo in questa piazzetta tutta sfarfallante4 di alberelli rossi e gialli,
era in parte chiuso; ma la porta a vetri, sotto la pensilina di cristalli scuri, brillava di
luce come un camino.

L’uomo esitò, prima di decidersi a suonare; non intimorito, e nemmeno timido, 

20    ma perché sapeva che il proprietario dell’albergo era adesso un suo parente, al quale
un tempo egli aveva prestato denari, solo in parte restituiti: e non voleva far pesare
una presenza interessata; anzi egli tornava con buoni propositi, con desiderio di
simpatia e di pace.

Solo dopo qualche momento, dopo aver guardato in su verso il paesetto ammucchiato 

25    in una specie di forra,5 e tutto terroso e fumoso con qualche scintilla di
lume, come una carbonaia in funzione, premette il bottone del campanello. Aprì
una donna grassa, vestita di rosso, con un gran viso ridanciano6 che però, alla vista
della valigia e della testa fasciata del forestiero, si fece subito ostile e inospitale.

Egli domandò del proprietario.

30    «È fuori del paese», ella rispose pronta, già decisa a non lasciarlo neppure entrare.
«Io sono la moglie. L’albergo è chiuso per restauri».

Egli capisce che non c’è da far niente: e non protesta, non insiste; solo, con un
sorriso che sembra idiota, dice il suo nome. La donna lo guarda meglio; forse sa del
debito del marito, e quella valigia, quella testa fasciata, quelle scarpe che portano 

35    ancora le rughe e la polvere di un esilio poco fortunato, la induriscono nella necessità
di difendersi. Per non sembrare del tutto inumana, disse:

«Torni quando c’è lui. C’è, sa, in cima al paese, un’osteria con alloggio».

E spinge, spinge la vetrata, perché il vento pare voglia aiutare l’uomo a penetrare
nella casa. Ma non l’aiuta a salire l’erta strada che come una scalinata pietrosa si 

40    inerpica su per il paesotto e pare vada a perdersi sul cocuzzolo del monte già tutto
nero sotto un cielo glaciale. E come da un ghiacciaio il vento vien giù con una ferocia
di tormenta: è un piombare selvaggio, non di una ma di stormi di aquile, con
fischi, sibili, beccate che penetrano fino al petto del viandante e lo costringono a
chiudere gli occhi, a difendere la sua valigia che tende a seguire la rapina del vento;7 

45    a ricordare che nella città donde8 veniva c’era almeno, nei giorni di forte bufera, una
corda legata da un punto all’altro dei grandi viali perché i pedoni potessero afferrarsi
e procedere senza cadere.

Qui, nel suo paesetto, del quale conosceva ogni pietra, ogni porta, si sentiva più
malfermo e strapazzato che nella metropoli sconosciuta. Tutto era chiuso e scuro, e 

50    in cima all’erta non appariva neppure il lume dell’osteria. Ma a metà strada egli riconobbe
una porticina, riparata dall’arco di una scaletta esterna; vi abitava un tempo
suo cugino, calzolaio, molto povero: e gli venne in mente di bussare, pensando che
spesso il povero è più ospitale del ricco. Anche lì, tuttavia, esitò. Dalle fessure della
porta uscivano fili di luce e voci e strida di bambini. Non sono graziose né beneducate, 

55    le creature della povera gente, ed egli non credeva d’intenerirsi nel sentire le
querele9 di questi suoi piccoli parenti, ma pensava che la sua apparizione li avrebbe
forse divertiti, e nello stesso tempo fatto piacere ai grandi. Avrebbe detto, sedendosi
all’umile focolare:

«Adesso vi racconterò le storie del mondo lontano».

60    Ma questi erano pensieri suoi, di campagnuolo che, nonostante l’esperienza e la
furberia acquistate appunto nel girare il mondo, ha conservato un fondo di semplicità
biblica.

Dentro, intanto, i ragazzini litigano, si dicono parole ingiuriose, ridono e piangono,
finché una voce alquanto rauca, di donna raffreddata, che deve essere la madre, 

65    non li minaccia di bastonarli, e non ottenendo l’effetto desiderato, aggiunge
esasperata:

«Adesso, il vento fa venir giù il lupo mannaro».

In questo momento l’uomo bussava; e un silenzio fulmineo soffocò le piccole
querele. Nella strada il vento urlò più forte, assecondando la minaccia della madre. 

70    Ma la prima ad avere qualche paurosa reminiscenza10 era lei; e quando ai replicati
colpi alla porta si decise ad aprire nel veder l’uomo quasi mascherato, con quella valigia
poco rassicurante, indietreggiò e parve gonfiarsi nei suoi stracci come la gallina
che vede minacciati i suoi pulcini. Subito però riconobbe l’emigrato: lo riconobbe
agli occhi, ancora dolci e mansueti, del colore delle castagne del luogo: e il suo viso 

75    scarno si contrasse in una sofferenza quasi fisica.

«Tu», disse con impeto. «Ti credevamo laggiù… ricco. Come sei tornato! Sembri
davvero il lupo mannaro».

«Tuo marito dov’è?».

Ella si piegò fin quasi a terra: scoppiò a piangere e non rispose. Era un pianto 

80    d’indignazione, più che altro: poiché il marito era morto ed ella credeva che tutto il
mondo fosse in obbligo di saperlo.

Ancora più spaventati i bambini si nascosero l’uno contro l’altro, chiudendo gli
occhi per non vedere l’uomo nero. Egli entrò, si mise a sedere, si guardò attorno:
però non parlava e lasciò che la donna si calmasse. Ella non si calmava; pareva anzi 

85    impaurita anche lei dal ritorno, dalla visita di lui, e volesse a sua volta spaventarlo
col racconto delle sue disgrazie.

Oh, sì, ella lo sapeva bene; dappertutto c’è grande miseria, disoccupazione, bisogno;
ma nelle città si ottiene almeno una minestra, un asilo per gli orfani; qui,
invece, la gente è dura; qui i poveri devono vivere come bestie selvatiche, nutrendosi 

90    d’erba e di radici.

L’uomo ascoltava, buio in viso, senza farle osservare che intanto sul fuoco davanti
a loro bolliva una pentola dalla quale usciva odore di legumi e di grasso: poi, d’un
tratto, parve cambiare umore e parve divertirsi alla scena. Si volse verso i bambini,
domandò come si chiamavano, li invitò ad avvicinarsi: ma al suono della sua voce, 

95    li vedeva sempre più annodarsi fra loro, sordi e muti ad ogni richiamo.

«Bene», disse infine, come fra sé; «sono proprio il lupo».

«Sì», proseguiva la donna con una tosse un po’ vera, un po’ forzata; «i tempi sono
terribili; la gente è cattiva, l’uccello d’oro è volato via dai monti del paese e non
tornerà mai più».

100 «L’uccello d’oro…».

Nel mucchio dei bambini si vide allora qualche viso volgersi in qua, qualche occhio
brillare come al riflesso di un lampo: oh, in compenso alle credenze del lupo
che si traveste da uomo e penetra nelle case dei bambini cattivi fingendosi magari,
come questo straniero, un loro parente, essi conoscevano la storia del grande uccello 

105 d’oro che dagli antichi tempi viveva nelle grotte dei monti, e quando la buona
gente lo invocava di cuore, volava sul paese e disperdeva ogni male. Era più fulgido
del sole, potente come lo Spirito Santo: ma bisognava esser buoni per farlo uscire.

Come ossessionato dalla sua idea, l’uomo però ripeté:

«Adesso dai monti scendono solo i lupi».

110 E gli occhi dei bambini tornarono a chiudersi, i visi a nascondersi. La madre
pareva avesse piacere che facessero così, per allontanarli dal malcapitato, dalla sua
miseria e soprattutto dal suo male: e frugava nella pentola aspettando, per tirarla
giù, che egli se ne andasse.

Egli lo capiva benissimo: un sorriso, questa volta un po’ crudele, gli balenò negli 

115 occhi. Si alzò, prese la valigia, fu per uscire: la porticina stessa, col suo battere e il
suo stridere, lo invitava ad andarsene. Ma quando la donna corse premurosa ad
aprirgliela accadde una cosa che solo più tardi i bambini dovevano capire: l’uomo
aveva aperto la giacca, e sotto vi apparve un bel corpetto di lana a maglia, di quelli
che usano i signori: una catena d’oro lo decorava: una catena che, tirandola, pescò 

120 dal taschino profondo un grosso cronometro d’oro con la calotta incisa e sparsa di
piccole perle. Guardare l’ora fu certamente un pretesto per metterlo in mostra, e
così pure l’indugiarsi dell’uomo ad aprire un portafoglio tratto dalla tasca interna, e
leggervi dentro come in un libro.

La donna aveva occhi buoni; e vide che i fogli del libro erano larghi biglietti di 

125 banca.11 L’uomo ne tirò fuori uno, dei più piccoli, e glielo porse: ella lo prese, esitando,
poi con un riso chiaro di gioia, di sorpresa, d’ingenua furberia, disse:

«Ma perché te ne vai? Resta a prendere un boccone con noi. Dove vuoi andare,
con questo tempo, malato come sei?». Egli s’inumidì le labbra, gustando la sua
vendetta.

130 «Oh, non è nulla: ho gli orecchioni».

Poi si buttò nel vento; e come l’uccello d’oro non si fece più vedere.


Grazia Deledda, Novelle, vol. 6, a cura di G. Cerina, Ilisso, Nuoro 1996

 >> pagina 159 

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) L’uomo protagonista del racconto non ha nome.

  •   V       F   

b) L’uomo torna al paese dopo una breve vacanza.

  •   V       F   

c) L’uomo ha un aspetto povero e trascurato.

  •   V       F   

d) L’uomo torna al paese in una giornata fredda e ventosa.

  •   V       F   

e) L’uomo entra nell’albergo del paese per chiedere una stanza per la notte.

  •   V       F   

f) La proprietaria dell’albergo accoglie l’uomo con cortesia.

  •   V       F   

g) L’uomo decide di bussare alla porta del calzolaio, suo cugino.

  •   V       F   

h) Prima di entrare, l’uomo sente dei ragazzini litigare e la madre minacciare l’arrivo del lupo mannaro.

  •   V       F   

i) La donna riconosce il visitatore nonostante il suo aspetto.

  •   V       F   

j) I bambini e la donna accolgono il parente con gioia e lo invitano a restare a cena.

  •   V       F   

k) La donna sostiene che al paese si stia molto meglio che nella grande città.

  •   V       F   

l) Un’antica leggenda diceva che un uccello d’oro sarebbe sceso dai monti ad allontanare le disgrazie se i buoni di cuore lo avessero invocato.

  •   V       F   

m) L’uomo non comprende di essere un ospite poco gradito.

  •   V       F   

n) L’uomo, prima di andarsene, fa in modo di mostrare denaro e oggetti preziosi.

  •   V       F   

o) Dopo aver visto il denaro, la donna invita l’uomo a restare.

  •   V       F   

p) L’uomo resta nella casa con la donna e i bambini.

  •   V       F   


2. Individua nel testo 7 sequenze principali e assegna a ciascuna un titolo.


3. Quale delle sequenze che hai individuato nell’esercizio 2 è prevalentemente descrittiva? Perché?


4. Raccogli nella tabella gli elementi che contribuiscono alla descrizione fisica del protagonista.


Abbigliamento  
Aspetto fisico  

5. La vicenda si svolge

  •     in un paese reale di cui però non viene detto il nome. 
  •     in un paese immaginario, ma descritto in modo realistico. 
  •     in un luogo fantastico: le montagne su cui abita l’uccello d’oro. 
  •     in Sardegna, nel paese natale dell’autrice, Grazia Deledda. 

 >> pagina 160 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Il narratore (sono possibili più risposte)

  •     è interno.  
  •     è esterno. 
  •     è onnisciente. 
  •     adotta una focalizzazione interna. 
  •     è palese. 
  •     è nascosto. 


7. Individua nel testo tre flashback e un’anticipazione, e indica da chi è fornita.


8. Come viene condotta la caratterizzazione fisica del protagonista? E quella psicologica? Esponi a voce le tue considerazioni facendo riferimento ai passaggi del testo che secondo te sono significativi (circa cinque minuti).


9. Il racconto è ambientato nel paese natale dell’uomo, ma un altro luogo viene spesso evocato: la città dove egli è emigrato. Quale relazione si crea tra questi due luoghi? Esponi le tue considerazioni facendo riferimento ai passi del testo.


10. Oh sì, ella lo sapeva bene; dappertutto c’è grande miseria, disoccupazione, bisogno; ma nelle città si ottiene almeno una minestra, un asilo per gli orfani; qui, invece, la gente è dura; qui i poveri devono vivere come bestie selvatiche, nutrendosi d’erba e di radici (rr. 87-90). Questi pensieri della vedova del calzolaio sono riportati in

  •     discorso diretto. 
  •     discorso indiretto. 
  •     discorso indiretto libero. 
  •     soliloquio. 


11. Come si chiamano le seguenti figure retoriche usate nel testo?


a) con la sua pietosa valigia strangolata

 


b) non intimorito, e nemmeno timido

 


c) questa piazzetta tutta sfarfallante di alberelli

 


d) ingenua furberia

 


12. Nel testo sono presenti numerose similitudini. Rintraccia quelle usate per descrivere

a) il vento furibondo che soffia all’arrivo dell’uomo; b) i colori del paese; c) la strada che conduce alla cima del paese; d) la vedova del cugino che apre la porta.

 >> pagina 161 

COMPETENZE LINGUISTICHE

13. Lessico. Con l’aiuto del dizionario, trova un sinonimo per i seguenti aggettivi usati nel testo. Fai attenzione che il sinonimo si adatti al nome a cui si riferisce.


a) i boschi di castagni si agitavano tumultuosi

 


b) non voleva far pesare una presenza interessata

 


c) un gran viso ridanciano

 


d) si sentiva più malfermo e strapazzato

 


e) si dicono parole ingiuriose

 


f) un silenzio fulmineo

 


g) Era più fulgido del sole

 


14. Lessico. Associa a ogni verbo un sinonimo, scelto tra quelli elencati (non tutti devono essere utilizzati):


• aggrapparsi • schiacciare • girarsi • rivoltarsi • cigolare • avanzare • restare • evitare • scacciare • salire • arrivare • entrare • attendere • perdere • sostenere.


a) Qualcuno che credeva di riconoscerlo lo scansò

 


b) L’uomo esitò, prima di decidersi a suonare

 


c) premette il bottone del campanello

 


d) il vento pare voglia aiutare l’uomo a penetrare nella casa

 


e) come una scalinata pietrosa si inerpica su per il paesotto

 


 f) perché i pedoni potessero afferrarsi e procedere senza cadere

 


g) il vento urlò più forte, assecondando la minaccia della madre

 


h) Si volse verso i bambini

 


i) volava sul paese e disperdeva ogni male

 


j) la porticina stessa, col suo battere e il suo stridere, lo invitava ad andarsene

 

PRODURRE

15. Scrivere per riassumere. Sintetizza il racconto in massimo 15 righe (circa 2 righe per ciascuna sequenza individuata nell’esercizio 2).


16. Scrivere per raccontare. Che cosa avrebbe detto l’uomo al suo parente proprietario dell’albergo, se avesse potuto parlargli? E il parente come lo avrebbe trattato? Scrivi il dialogo del loro incontro (massimo 20 righe).


17. Scrivere per raccontare. Che cosa è successo all’uomo durante gli anni trascorsi lontano dal paese? In che modo ha fatto fortuna? Immagina che sia l’uomo a raccontarlo alla moglie del cugino (massimo 15 righe).

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa