Rispetto per chi sa (V. Parrella)

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Analizza tu

Valeria Parrella

(n. Torre del Greco 1974)

Rispetto per chi sa

  • Tratto da Troppa importanza all’amore, 2015
  • racconto

Durante una gita in barca sul mare di Napoli, una donna apprende il segreto per riconoscere il pesce fresco. Da lì in poi, le sue esigenze culinarie non saranno più le stesse…

«No: che schifezza, veramente... non ce la faccio».

Non sono una donna difficile, non urlo se trovo un pipistrello in casa, e uccido
le zanzare a colpo sicuro battendo le mani come in un applauso. Solo che eravamo
stati così bene in barca, senza sentire freddo, appena un poco sulle braccia, 

5      nel tempo che serviva al sole per sorgere dietro al Monte Somma.1 E nemmeno ci
eravamo abbrustoliti, più tardi, mentre Gianni tirava la rete e Ciro liberava i pesci
dal groviglio di maglie senza ferirli, sfilandoli come un uncinetto dal disegno della
coperta.

Eravamo stati così bene che mi ero rilassata, e neppure mi era venuto in mente 

10    di buttarmi a mare. Avevo dovuto reggere il timone seguendo una legge invisibile:
quando la prua disegnava il vertice di un triangolo con la punta del molo e il campanile
del Carmine, li c’erano le reti.

I pesci avevano guizzato nel purgatorio del secchio a fondo barca, una seppia si
era difesa con tutto l’inchiostro a disposizione, un guarracino2 si era salvato. Per 

15    buon augurio, rispedito al mittente. Poi nel ritorno ero stata destinata agli sconcigli:3
staccarli dalla rete salvando la rete.

Era stato solo all’attracco, tra i motoscafi tirati in secco, i pini, le giostrine ferme
di molo Siglio,4 un custode del circolo canottieri che giocava a fare il padrone, solo
là Ciro aveva preso dal secchio una triglia, le aveva staccato la testa morbida mentre 

20    ancora si dibatteva, e con la mano macchiata di sangue me l’aveva offerta da
mangiare.

«No: che schifezza, veramente... non ce la faccio».

Intanto da mare cominciavano a rientrare altri operai, e ferrovieri, e qualche impiegato
delle poste: tutti quelli che calavano la barca in acqua, da aprile a settembre, 

25    per arrotondare lo stipendio. Ma anche per nostalgia. E da terra cominciavano ad
arrivare i cuochi dei ristoranti, quelli che non aspettano l’apertura del mercato di
Porta Nolana,5 perché sanno. E comprano una cosa da qua e una cosa da là.

Insomma adesso c’era da vendere. A me toccava una seppia che avrei tenuto a
bada nel vaso dei fiori sulla scrivania, mentre combattevo contro una contabilità 

30    irritante, arrovellata.6 Quattro ore la mattina, quattro il pomeriggio.

«Ciro, madonna mia e finitela: vi ho detto che non ce la faccio».

«E voi così vi volete imparare a mangiare il pesce?».

«Ma che significa? Perché non me lo mangio il pesce, io?».

«Sì, ma che pesce vi mangiate, voi lo sapete?».

35    Non era una domanda qualunque, che mi faceva: da tre settimane Lello, il magazziniere,
mi portava a cena fuori il venerdì sera. Qualche volta la domenica. Si sapeva
che stavamo bene insieme, lo sapevamo perfino noi, ce ne accorgevamo alzandoci
da tavola un poco barcollando, io che mi dovevo aggrappare al suo braccio fino a
che l’aria fresca mi riprendeva un po’.

40    Avevamo girato tutte le trattorie: partendo dalle scale dell’Orto Botanico eravamo
arrivati a Pozzuoli,7 e davanti c’erano passati baccalà con le patate, e alici in tortiera,8
e fragaglie.9 Era questo, il pesce che mangiavamo.

Non mi industriai10 neppure in una risposta. Capii che era meglio farlo e farlo
subito. In fondo, se mi tolleravano con loro in barca, dovevo accettare le loro leggi.

45    Staccai un pezzo piccolissimo di triglia. La pelle rosa restava incollata alla carne,
misi tutto in bocca, senza pensare. Buttai giù.

Mi rimase sulla lingua un sapore di frutta. Da sola, senza incoraggiamenti, mi
convinsi che il passaggio era stato troppo rapido, il disgusto troppo fuorviante.
Staccai ancora un pezzo, lo masticai piano, per riscaldarlo dalla temperatura del 

50    mare. Ancora sentii solo un sapore dolce di frutta. Guardai Ciro: «È delicato... e mo?».

Le incursioni domenicali nelle trattorie cominciavano a sentirsi in tasca. Era una
buona scusa, d’accordo, sedersi a tavola: il piatto portava con sé l’argomento della
conversazione, lo imponeva. Ma alla lunga si imponeva anche il conto. Io supplicavo: 

55    «Facciamo alla romana»,11 ma non la spuntavo mai.

Lello sapeva che avevo ragione, e anche che guadagnavo più di lui, però si limitava
a mortificarsi un poco e a darmi un contentino: «Tu mi offri il caffè...».

I nomi dei locali li recuperavamo nella memoria comune: quella nostra, di noi
due, e quella della fabbrica. Ciro e Gianni incalzavano con l’entroterra:12 «Se no vi 

60    fanno scemi... voi il pesce non sapete nemmeno dove sta di casa».

A casa mi misi d’impegno. Sacrificai subito la seppia. Ne tagliai una lamella sottile,13
la passai sotto l’acqua, l’assaggiai.

«Quello che vi resta in fondo alla bocca dopo che avete ingoiato. Quello è il sapore
del pesce».

65    Masticai la carne compatta, quasi elastica.

Quello che rimase dopo, fu per me l’essenza della seppia. Quel sapore se c’era,
c’era sempre. Alla fine di una frittura, dopo una terrina14 in umido con i piselli, se la
seppia era stata fresca in bocca mi tornava sempre quel sapore, quell’unico semplicissimo
principio che ciascuna seppia portava in sé per essere seppia.

70    Già quella domenica, al Granatello,15 quando Lello raccolse il fondo della zuppa
con il pane, io scossi la testa. Avevo cominciato a riconoscere il pesce, ma affogato
nel sugo denso non me la sentivo di giudicare con sicurezza. A casa ricominciai le
prove con uno scorfano.

Da allora al mercato non mi accontento più di andare a toccare le pance dei cefali 

75    per vedere che resistenza oppongono alla pressione. Non mi basta che l’occhio
sia trasparente, la spina dorsale incurvata. Entro come una furia nel retrobottega e
pretendo di scavare nelle cassette, gratto le squame con l’unghia. Dei pesci al taglio
chiedo la prova, come fossero meloni.

E nelle trattorie rispedisco le pepate16 nelle cucine, i moscardini17 ai cuochi. Non 

80    c’è compenso di seconde porzioni per il mio disappunto. Mi faccio chiamare i gestori
minacciando di alzare la voce, poi inevitabilmente la alzo. I commensali dei
tavoli accanto cominciano a guardare nei piatti con sospetto.

Allora Lello arrossisce fino alla radice dei capelli: «Che ci tieni»,18 dice trascinandomi
fuori.

85    Mentre il cuoco dalla soglia della cucina mi guarda, con il rispetto che si concede
a chi sa.


Valeria Parrella, Rispetto per chi sa, in Troppa importanza all’amore, Einaudi, Torino 2015

 >> pagina 149 

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) La protagonista prova ribrezzo alla visione del pesce appena pescato e ancora vivo.

  •   V       F   

b) Ciro vuole insegnare alla protagonista come poter valutare la qualità del pesce fresco.

  •   V       F   

c) Dopo un’iniziale resistenza, la donna assaggia la triglia cruda.

  •   V       F   

d) L’uomo con cui la narratrice esce regolarmente fa il pescatore.

  •   V       F   

e) Essendo piuttosto ricchi, Lello e la protagonista possono mangiare nelle trattorie senza alcuna preoccupazione economica.

  •   V       F   

f) Dopo l’esperienza in barca con Ciro e Gianni, la protagonista si arrabbia se non le viene servito del vero pesce fresco.

  •   V       F   

Analizzare e Interpretare

2. La frase con cui si apre il racconto, No: che schifezza, veramente… non ce la faccio, è un esempio di

  •     lessico basso. 
  •     registro alto. 
  •     registro medio. 
  •     registro colloquiale. 


Motiva la tua risposta.


3. Per descrivere la maestria di Ciro nel rimuovere i pesci dalla rete, la narratrice usa

  •     una metafora. 
  •     un’iperbole. 
  •     una similitudine. 
  •     un’anafora. 


4. Dopo aver letto la frase seguente, descrivine la sintassi, indicando che tipi di legame sussistono tra le proposizioni.


Si sapeva che stavamo bene insieme, lo sapevamo perfino noi, ce ne accorgevamo alzandoci da tavola un poco barcollando, io che mi dovevo aggrappare al suo braccio fino a che l’aria fresca mi riprendeva un po’  (rr. 36-39).


5. La figura retorica contenuta nella frase Le incursioni domenicali nelle trattorie cominciavano a sentirsi in tasca (r. 52) è

  •     una sineddoche, perché le tasche sono una parte di un tutto più grande, che coincide con il vestito. 
  •     una similitudine, perché le incursioni si sentono come si sentono le mani tenute in tasca. 
  •     una metonimia, perché le incursioni al ristorante si ripercuotono sulle finanze dei protagonisti: dal contenuto (i soldi) si passa al contenente (le tasche in cui solitamente stanno i portafogli). 
  •     un ossimoro, perché la domenica, giorno festivo e di riposo, non possono verificarsi “incursioni”, che, per definizione, richiedono molte energie fisiche e mentali. 


6. Qual è il registro stilistico adottato, nel complesso, all’interno del racconto? Per giustificare la tua risposta fornisci almeno tre esempi concreti tratti dal brano.

Produrre

7. Scrivere per raccontare. Racconta di un viaggio per mare compiuto su una nave (realmente effettuato o inventato), a scopo di vacanza o di lavoro (massimo 15 righe), utilizzando le seguenti parole: cavalloni, sughero, pontile, salato, scia.


8. Scrivere per argomentare. Mentre sei a cena in una trattoria con il tuo migliore amico, o la tua migliore amica, intraprendi un’animata discussione sulle vostre abitudini alimentari. Uno dei due non mangia pesce, mentre l’altro lo ritiene il cibo più sano e squisito possibile. Dopo aver scelto quale punto di vista adottare, scrivi un breve discorso (massimo 10 righe) portando argomenti a favore della tua tesi.


9. Scrivere per descrivere. Scegli una delle varietà di pesce presenti nel racconto di Valeria Parrella, cerca immagini e informazioni in rete, e dedica a ciascuna due brevi descrizioni (massimo 15 righe ciascuna):

a) la prima, scientifica e oggettiva, in cui descrivi le caratteristiche fisiche, l’habitat, il comportamento, le tecniche di pesca e gli impieghi in ambito alimentare;

b) la seconda, soggettiva, in cui (cercando di utilizzare uno stile volutamente basso o alto, e alcune figure retoriche come l’iperbole o il climax, per produrre effetti comici o tragici) tessi le lodi di quella varietà di pesce, la migliore del mondo, oppure la denigri in quanto terribile a vedersi e a mangiarsi.

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa