TEMA 9 Sviluppo e sottosviluppo

9.1 La geografia mondiale dello sviluppo

Il grande sviluppo economico e tecnologico che ha caratterizzato la civiltà umana negli ultimi secoli interessa ormai quasi tutte le aree del mondo e le popolazioni che le abitano, come dimostrano fenomeni generalizzati quali l’aumento demografico e la crescita della popolazione urbana.

Tale sviluppo tuttavia non è stato uniforme, sia in termini temporali (in alcuni Paesi si è manifestato secoli fa, mentre in altri è un fenomeno relativamente recente), sia in termini geografici (alcune regioni del mondo si sviluppano più velocemente di altre). Le cause di queste disparità sono molte e complesse, di natura storica, geografica, sociale.

Qualunque siano le ragioni, la fotografia dello stato attuale dello sviluppo umano nel mondo è impietosa: quasi un quarto della popolazione mondiale, concentrato in un numero relativamente ristretto di Paesi, possiede circa i tre quarti dell’intera ricchezza del pianeta, lasciando il rimanente agli altri tre quarti dell’umanità. Ma è possibile tracciare una netta linea di demarcazione tra questi Paesi “privilegiati”, i più sviluppati, e quelli meno fortunati, cioè con il minor grado di sviluppo? E in che cosa consiste esattamente il grado di sviluppo di un Paese e di una popolazione? Lo sviluppo coincide con la ricchezza o ci sono anche altri fattori da considerare?

Suddividere i Paesi in base allo sviluppo 

Nel corso del Novecento sono stati fatti vari tentativi di classificare i Paesi del mondo in base al loro grado di sviluppo: ognuna di queste suddivisioni è il riflesso di determinate interpretazioni storiche, economiche e sociali. Alcune hanno avuto particolare fortuna e sono entrate nell’uso comune, mentre altre sono note soltanto agli studiosi.

La classificazione forse più conosciuta è quella elaborata dal demografo francese Alfred Sauvy nel 1952, che suddivise tutti gli Stati allora esistenti in tre grandi gruppi: il Primo, il Secondo e il Terzo Mondo. La tripartizione rifletteva la situazione politica internazionale tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il Primo Mondo era infatti composto, secondo Sauvy, dagli Stati Uniti e dai Paesi loro alleati (come quelli dell’Europa occidentale e il Giappone), tutti caratterizzati da alti livelli di industrializzazione e sviluppo e da un’economia di tipo capitalista; il Secondo Mondo era formato dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati (fra cui gli Stati dell’Europa orientale), Paesi anch’essi con un buon grado di industrializzazione e sviluppo, ma con un sistema economico di tipo comunista; il Terzo Mondo era invece formato dai cosiddetti Paesi “non allineati”, che non erano cioè affiliati a nessuno dei due blocchi. Poiché i Paesi di questo “terzo blocco” coincidevano in gran parte con gli Stati più poveri del mondo, situati in Africa, Asia e America Latina, l’espressione Terzo Mondo si è diffusa anche nel linguaggio comune a indicare gli Stati più arretrati e le condizioni particolarmente difficili in cui versano le loro popolazioni. Oggi, con la fine della Guerra Fredda, questa divisione del mondo in tre gruppi non ha più senso, anche perché molti Paesi un tempo appartenenti al Terzo Mondo hanno cominciato a svilupparsi e sono divenuti delle potenze economiche globali (come India e Brasile).

Un’altra classificazione molto usata è di tipo geografico, e distingue tra Paesi del Nord e Paesi del Sud del mondo. Effettivamente la maggior parte degli Stati più ricchi e sviluppati del mondo si trova nell’emisfero settentrionale, ma esistono anche in questo caso importanti eccezioni: l’Australia e la Nuova Zelanda in Oceania e l’Argentina e il Cile in Sud America sono Paesi che si trovano nell’emisfero meridionale e che possiedono un elevato grado di sviluppo. Inoltre alcuni Paesi posti originariamente nella categoria dei più svantaggiati stanno vivendo un rapido sviluppo economico e sociale, tanto che molti studiosi hanno indicato il XXI secolo come l’epoca della “rivincita” del Sud del mondo nei confronti del Nord.

Nel dibattito comune si impiega genericamente una divisione tra “Paesi sviluppati” e “Paesi sottosviluppati”, detti anche “Paesi in via di sviluppo”, ai quali qualche volta si aggiungono i “Paesi emergenti”, cioè quei Paesi in via di sviluppo che si sono distinti, negli ultimi anni, per una crescita particolarmente pronunciata.

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Definire e misurare lo sviluppo

Spesso, nel linguaggio comune, si usano i termini Paesi ricchi e Paesi poveri per indicare genericamente i Paesi avanzati e i Paesi in via di sviluppo. Ma i concetti di “ricchezza” e “sviluppo” sono davvero equivalenti? Effettivamente, osservando le statistiche, sembrerebbe che nella classifica dei Paesi più ricchi e in quella dei Paesi maggiormente sviluppati si trovino più o meno gli stessi Stati. Bisogna però distinguere tra la ricchezza totale prodotta da un Paese, espressa dal cosiddetto Pil (Prodotto interno lordo) assoluto, e quella prodotta in media da ciascun abitante di quel Paese, espressa dal Pil pro capite ( ATLANTE, pp. 40-41). La Cina, per esempio, è il secondo Paese più ricco del mondo in termini di Pil assoluto, superata solo dagli Stati Uniti, ma tale ricchezza deve venire idealmente “divisa” tra una popolazione numerosissima, per cui il Pil pro capite cinese è relativamente basso. Il Pil pro capite può essere un’efficace misura del grado di sviluppo di un Paese, in quanto esprime le capacità economiche possedute idealmente da ciascun membro della sua popolazione per migliorare le proprie condizioni di vita. Tuttavia l’uso del Pil pro capite come indicatore del livello di sviluppo ha alcuni limiti: anzitutto si tratta di un valore medio che non tiene conto del grado di disuguaglianza economica e sociale all’interno di un Paese (la ricchezza potrebbe essere concentrata nelle mani di poche persone, con la maggioranza della popolazione ridotta alla povertà); inoltre non considera numerosi fattori che concorrono a determinare il grado di sviluppo di un Paese e quindi il livello di benessere della sua popolazione, come l’efficienza dei servizi pubblici e lo stato di salute medio.

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L’Indice di sviluppo umano 

Per ovviare a questi problemi e definire meglio il grado di sviluppo di un Paese, nel 1990 due economisti – il pakistano Mahbub ul Haq e l’indiano Amartya Sen (vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 1998) – hanno creato un nuovo indicatore statistico, l’Indice di sviluppo umano (Isu o Hdi, dall’inglese Human Development Index). L’Isu si calcola tenendo conto del Pil pro capite, ma anche di fattori come la speranza di vita media della popolazione e il livello medio dell’educazione, espresso dal numero medio di anni che un appartenente alla popolazione in esame passa sui banchi di scuola ( carta).

L’Isu si esprime in millesimi, in un intervallo che va da 0 a 1: più alto è il valore, più alto è il livello di sviluppo. Fin dalla sua ideazione, l’Isu è stato usato dall’Onu come indicatore ufficiale del grado di sviluppo dei Paesi del mondo.

Secondo i dati del 2016, i Paesi con il più alto grado di sviluppo sono Norvegia (con un Isu di 0,944), Australia (0,935) e Svizzera (0,930), mente quelli con il grado di sviluppo più basso sono Eritrea (con un Isu di 0,391), Repubblica Centrafricana (0,350) e, ultimo, Niger (0,348). La Cina, attualmente la seconda potenza economica mondiale, è solo al 90° posto con un Isu di 0,727, un valore considerato “medio” nella classificazione dell’Onu.

La maggior parte dei Paesi con un Isu elevato si trovano in Europa, Nord America, Africa settentrionale e parti dell’Asia e dell’America Latina, mentre l’Africa subsahariana e l’Asia centromeridionale sono le regioni con il maggior numero di Paesi caratterizzati da un Isu basso ( carta).

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che cosa si intendeva con Primo, Secondo e Terzo Mondo? Perché ormai questa classificazione è superata?
  • Che cosa indica l’espressione “Paese emergente”?
  • Come si misura il grado di sviluppo di un Paese?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille