L’architettura contemporanea

L’ARTE CONTEMPORANEA

L’architettura contemporanea

L’architettura contemporanea presenta un panorama estremamente vario, che ha come protagonisti architetti a capo di studi e progetti tra cui è difficile trovare linee comuni. Gli edifici sono trattati come volumi da scomporre e ricomporre liberamente, oppure come vere e proprie macchine, dispositivi elettronici più o meno integrati nell’ambiente naturale o urbano in cui sono inseriti. Per cercare di tracciare una linea tra queste diverse tendenze, analizziamo l’opera di alcuni architetti che, in luoghi e modi molto diversi, hanno contribuito a modificare gli spazi espositivi e museali.

Il Centro Georges Pompidou di Piano e Rogers

Uno dei protagonisti dell’architettura contemporanea su scala mondiale è l’italiano Renzo Piano (Genova 1937): lavora in tutto il mondo e ha costruito gli edifici più disparati, tra cui teatri, musei, palazzetti dello sport e aeroporti.
Piano, insieme all’inglese Richard Rogers, vince nel 1971 un concorso internazionale per realizzare il Centro nazionale d’arte e cultura Georges Pompidou (1) nel cuore della città di Parigi, nel quartiere del Marais. Quando viene eretto, il museo, vistosamente in contrasto con l’architettura parigina circostante, suscita un grande scandalo perché da semplice contenitore di spazi espositivi è stato trasformato in una sorta di motore: ogni funzione dell’edificio è svelata alla vista, perfettamente leggibile e identificabile. Il muro della facciata ovest è una pellicola trasparente che mostra la struttura interna; come in un’architettura rovesciata, inoltre, tutte le condutture sono visibili, evidenziate dai loro diversi colori: giallo per l’elettricità, rosso per gli ascensori e le scale mobili, verde per l’acqua e blu per l’impianto di aerazione.

 >> pagina 473 

Il Quai Branly di Jean Nouvel

Un altro museo parigino, il Quai Branly, progettato dall’architetto francese Jean Nouvel (Fumel, Lot-et-Garonne 1945), è molto diverso dal Centre Pompidou: non si presenta come una sorta di macchina, moderna e rivoluzionaria, ma si inserisce in modo più armonioso nello spazio naturale, anzi, lo ricrea. Sorto nel 2006 per ospitare un’esposizione permanente e mostre temporanee dedicate all’arte non occidentale, l’edificio principale, a cinque piani, ha la struttura di un ponte, o di una lunga galleria di oltre 200 metri. Questa forma è funzionale e serve da collegamento tra varie sale – dedicate a contenuti multimediali – che all’esterno sono visibili come parallelepipedi di diversi colori. Sul tetto, un sistema di pannelli fotovoltaici usa la luce solare per produrre energia, secondo un principio di sostenibilità. Sulla facciata rivolta verso la Senna (2), che si apre su un giardino, l’edificio è completato da un muro vegetale. Creato dal biologo Patrick Blanc, il polmone verde copre e “smaterializza” la facciata del museo, rendendo la struttura stessa un centro pulsante di vita e creazione: il muro comprende 15 000 piante differenti, appartenenti a 150 specie che, con la loro diversità, rispecchiano la varietà delle collezioni museali.

La nuova hall del British Museum di Norman Foster

In un’altra capitale europea, a Londra, nel 2000 è stato portato a termine il progetto di restauro della Great Court (la grande corte centrale) del più famoso museo inglese, il British Museum.
Questo ha sede in un edificio risalente alla metà del XVIII secolo: il complesso ospitava un vastissimo cortile al cui centro era stata costruita nel XIX secolo la Reading Room, ossia la sala di lettura delle collezioni librarie del museo.
L’architetto inglese Norman Foster (Stockport 1935) ha così trasformato il vasto spazio vuoto in un cortile coperto da un tetto trasparente e retto da un’armatura metallica (3): un esempio di quella che è stata definita architettura high-tech. Nello spazio ora si trovano il punto informazioni del museo, una libreria e un caffè: il progetto ha dunque permesso di reinventare uno spazio esistente senza tradire la fisionomia dell’edificio originario.

 >> pagina 474 

Il Guggenheim di Gehry

Nel 1997 a Bilbao, in Spagna, apre al pubblico il Museo Guggenheim (4), progettato dall’architetto canadese ma naturalizzato americano Frank Gehry (Toronto 1929): anziché svelare la “macchina” dell’edificio, come hanno fatto Piano e Rogers per il Pompidou, Gehry ha decostruito in modo spettacolare lo spazio del museo. L’edificio è formato da una serie di volumi complessi, che rompono in modo drastico con lo stile architettonico tradizionale e allo stesso tempo dialogano con gli edifici e il fiume vicini. Il Guggenheim è interamente rivestito di sottili lastre di titanio, che ricordano le squame di un pesce e riflettono la luce atmosferica. I giochi di luce e ombra che ne scaturiscono rendono sempre diversa la percezione dell’edificio nei vari momenti del giorno.

Il MAXXI di Zaha Hadid

Tra i nomi dell’architettura contemporanea spicca Zaha Hadid (Baghdad 1950-Miami 2016), prima donna a ricevere, nel 2004, il prestigioso Pritzker Prize, il massimo riconoscimento per un architetto. Nel 1998, a seguito di un concorso internazionale, Zaha Hadid vince l’incarico per la realizzazione, a Roma, nel quartiere Flaminio, del MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (5). Il progetto rappresenta una sintesi creativa di molte istanze dell’architettura contemporanea: volumi complessi, pareti curve, spazi disposti su più livelli che stupiscono e affascinano il visitatore. All’esterno, sulla superficie curva della grande hall centrale, si sovrappone un volume diagonale che sembra sporgere in modo precario dall’edificio.

 >> pagina 475 

Ripensare le tragedie contemporanee: i memoriali di Berlino e di New York

Tra XX e XXI secolo, grandi tragedie scuotono il mondo occidentale: con forme e modi molto differenti, due grandi architetti, a Berlino e a New York, ripensano gli spazi urbani creando luoghi di memoria per preservare il ricordo degli eventi e rendere omaggio alle vittime.
Com’è noto, durante la persecuzione nazista e la Seconda guerra mondiale, sono stati brutalmente sterminati sei milioni di ebrei: alla fine degli anni Ottanta, alcuni intellettuali tedeschi sottoscrivono un appello per far costruire nella capitale della Germania riunita un memoriale che ricordi le vittime. A vincere il concorso internazionale è l’architetto Peter Eisenman (Newark, Stati Uniti 1932): il Memoriale della Shoah (6) è costituito da un campo di 2711 stele che si apre simbolicamente in una zona centrale di Berlino, un tempo occupata dalle proprietà di un gerarca nazista, Goebbels. Le stele sono di semplice calcestruzzo colorato di grigio scuro e si dispongono secondo una griglia ortogonale, che i visitatori possono percorrere liberamente. Il piano su cui sono posate si inclina e si alza: in questo modo il visitatore che si addentra nello spiazzo sembra perdere il contatto con il mondo esterno e percepire una solitudine spiazzante e disperata.
L’11 settembre del 2001 a New York due aerei di linea vengono dirottati contro i simboli della città, le Torri Gemelle, grattacieli identici alti 410 metri e inaugurati nel 1973.
Nel 2002, sul luogo delle torri crollate, gli architetti Michael Arad (Londra 1969) e Peter Walker (Pasadena, California 1932) scelgono non di ricostruire, ma di creare due enormi spazi vuoti che simulano il perimetro degli edifici. I “vuoti” sono riempiti da due fontane, dove l’acqua precipita senza sosta; sui bordi sono riportati i nomi delle vittime. L’architetto Daniel Libeskind, in collaborazione con il collega David Childs, realizza invece uno dei grattacieli tra quelli che chiudono la vasta piazza, l’One World Trade Center, altissima torre dalla forma lineare e svettante, simbolo di speranza e rinascita dopo la tragedia.

Il filo dell’arte - volume B
Il filo dell’arte - volume B
Dalla Preistoria ai nostri giorni