Le nuove vie dell’arte

L’ARTE CONTEMPORANEA

Le nuove vie dell’arte

Fotografia, video, installazioni, performance: l’arte della fine del Novecento e dei primi anni Duemila è caratterizzata da continue sperimentazioni, che fanno propri i materiali e i mezzi più disparati. È un’arte che rispecchia i temi attuali della società, in bilico tra progresso scientifico e problemi ambientali, economici e culturali.

L’Arte concettuale

L’Arte concettuale, che si sviluppa tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta del Novecento, elimina i manufatti artistici tridimensionali per riflettere unicamente sui significati delle cose e delle azioni, sui “concetti” che stanno alla base della realtà e dell’esistenza umana. Gli artisti di questo movimento non scolpiscono né dipingono, ma si esprimono utilizzando fotografie, video, luci al neon e testi scritti su grandi tele bianche o direttamente sui muri dei musei.
L’artista americano Joseph Kosuth (Toledo, Ohio 1945), per esempio, con l’opera Una e tre sedie (1) riflette sul rapporto tra realtà e apparenza: per rappresentare l’idea di una sedia, l’autore si affida a una fotografia dell’oggetto, alla sedia stessa realizzata in legno e alla definizione data dal dizionario, stampata su un pannello attaccato al muro. In questo modo l’Arte concettuale rende immediatamente percepibile l’essenza della sedia attraverso la sua immagine, la sua presenza fisica e la parola con cui a essa ci si riferisce nel linguaggio corrente.

Il Nouveau Réalisme

Nel 1960, in un appartamento parigino, alcuni artisti fondano il movimento del Nouveau Réalisme: essi mirano a fissare nell’opera d’arte momenti e immagini della vita quotidiana. Alcuni creano opere rimontando manifesti pubblicitari, altri comprimono rottami di automobili, altri ancora riducono in pezzi oggetti della realtà per poi ricomporli meticolosamente su tele o pannelli.
L’artista romeno Daniel Spoerri (Galati, Romania 1930) “blocca” gli attimi del presente incollando resti di pasti sulla tela (2). In questo modo gli avanzi della tavola destinati alla spazzatura e le stoviglie usate che andrebbero lavate diventano opera d’arte e rappresentano un’immagine e un ricordo della realtà quotidiana.

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L’Arte povera

La cosiddetta Arte povera nasce in Italia, tra Torino e Genova, alla fine degli anni Sessanta del Novecento. Gli artisti che fanno parte di questo movimento utilizzano materiali economici come cartone, gesso, stracci e pezzi di legno o metallo, spesso riciclati; con questi elementi realizzano opere minimali, che rifiutano gli aspetti preziosi e raffinati dell’espressione artistica e utilizzano invece segni e forme comuni ed elementari. L’intento è contestare la società contemporanea per riportare l’uomo alla semplicità delle sue origini, ricreando un rapporto con l’ambiente e trasmettendo sensazioni dirette e immediate.
Il piemontese Michelangelo Pistoletto (Biella 1933) realizza una delle opere simbolo dell’Arte povera: si tratta della Venere degli stracci (3). La riproduzione di una Venere classica è rivolta verso un cumulo di stracci; il forte contrasto tra l’equilibrata eleganza della statua e il disordine della montagna di vecchi indumenti induce a riflettere sulle contraddizioni della società contemporanea.

Il Postmoderno

La definizione di “postmoderno” non si riferisce a un movimento artistico unitario, nato in un preciso momento, ma a una serie di tendenze che si manifestano tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa tra la fine degli anni Sessanta fino a tutti gli anni Ottanta del Novecento. Interessano soprattutto l’architettura, ma anche l’arte, l’arredamento, il design e la moda. Il Postmoderno rifiuta il rigore dell’architettura razionalista, basata su forme pure e squadrate, in favore di una maggiore libertà compositiva e decorativa, che recupera e mescola in maniera eclettica elementi dell’antichità e del Rinascimento.
La piazza progettata da Charles Moore a New Orleans (4) è considerata un manifesto del Postmoderno. Archi e colonne, capitelli, fregi e cornici ispirati all’architettura antica convivono con elementi decorativi del tutto fantasiosi, in una mescolanza di materiali tradizionali, come la pietra, o moderni come il cemento tinteggiato con colori brillanti.

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La Land Art

La Land Art (letteralmente “arte della terra”) nasce negli Stati Uniti negli anni Sessanta. L’obiettivo è lavorare “con” e “dentro” la natura, riscoprendo una delle prerogative dell’essere umano: interagire con l’ambiente, senza interventi violenti o azioni di sopraffazione, ma con estremo rispetto per il contesto naturale.
Spesso si tratta di opere destinate a durare un tempo limitato, in quanto impiegano materiali come sabbia, sassi, canne, foglie o fiori; per questo, la memoria dei lavori della Land Art è affidata a schizzi di studio, fotografie e filmati. L’intervento dell’artista può essere di piccole dimensioni, oppure espandersi su aree vaste, modificando fortemente la percezione di spiagge, colline o boschi.
Utilizzando rocce di basalto nero e terra appartenente al luogo, l’americano Robert Smithson (New Jersey 1938-Amarillo, Texas 1973) ha creato una spirale lunga 457 metri e larga 45, che si sviluppa in senso antiorario (5).
Creata in un momento in cui il lago era basso, oggi l’opera non è più visibile perché sommersa dall’acqua. Splendide fotografie documentano la sua poesia, quasi un’ideale pennellata sulla superficie lacustre.

La Site-Specific Art

Questo movimento, nato negli anni Sessanta del Novecento, mette al primo posto la riflessione sull’ambiente in cui l’opera d’arte deve collocarsi: l’espressione Site-Specific Art è traducibile letteralmente come “arte per un luogo specifico”. Fondamentali dunque sono le caratteristiche del luogo: il tipo di spazio (costruito o naturale), le condizioni dell’illuminazione e le qualità climatiche.
Ne è un esempio l’opera di Magdalena Abakanowicz (Falenty, Polonia 1930). Nella campagna toscana, celebre per la regolarità delle sue coltivazioni, l’artista polacca ha disposto in modo altrettanto ordinato 33 “figure” di bronzo (6): viste da dietro sembrano tutte uguali ma, se osservate attentamente, appaiono una diversa dall’altra. È come se l’artista invitasse l’osservatore a camminare lentamente e a contemplare con calma questa schiera silenziosa e affascinante.

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La Video Art

La Video Art utilizza strumenti di video-ripresa (come le videocamere) e mette in relazione immagini e suoni. È un movimento complesso e vario; inoltre, utilizzando strumenti tecnologici che hanno conosciuto negli ultimi trent’anni una rapidissima evoluzione, si è a sua volta profondamente trasformato: oggi, infatti, si parla anche di Arte digitale per indicare forme espressive realizzate con il computer.
Il padre della Video Art è l’artista coreano Nam June Paik (Seul 1932-Miami 2006), che ha iniziato a combinare effetti visivi e sonori portando all’interno delle sue opere immagini della vita contemporanea, messaggi commerciali e spezzoni cinematografici.
L’opera Electronic Super Highway (7) è legata alla “scoperta” che Paik fa delle autostrade americane quando per la prima volta giunge negli Stati Uniti. I neon colorati richiamano le insegne di motel e ristoranti; gli schermi trasmettono spezzoni dal Mago di Oz. Il messaggio di Paik è che l’autostrada è uno strumento che mette in comunicazione, ma che a volte rende banale il viaggio. A Paik si deve l’espressione, tanto usata oggi, di “autostrada elettronica” per designare il ruolo di internet.

Le performance

La performance è una forma d’arte creata e comunicata dall’artista con il corpo, attraverso pose statiche ma anche attività e movimenti (sia pianificati sia spontanei), spesso progettati come interazione con il pubblico. La manifestazione artistica coincide quindi con l’atto del corpo e con lo svolgersi della scena, e avviene in un intervallo di tempo ben determinato, più o meno ampio. Il coinvolgimento del pubblico, che è un aspetto fondamentale della performance, può essere istintivo e non preordinato, oppure guidato dall’artista. La teatralità di questa forma d’arte e le forti emozioni che è in grado di suscitare rappresentano spesso uno stimolo per riflettere sui problemi dell’uomo e della società.
L’artista montenegrina Marina Abramović (Belgrado 1946) è rimasta seduta immobile a un tavolo nell’atrio del Museum of Modern Art di New York per 736 ore e 30 minuti, 7 ore al giorno (8). Circa 1400 persone si sono sedute di fronte a lei e hanno interagito con lei. Il video che documenta la performance, unica “memoria” dell’evento, mostra le reazioni dell’artista all’incontro con il pubblico: a volte rimane impassibile, altre si mostra profondamente commossa.

Il filo dell’arte - volume B
Il filo dell’arte - volume B
Dalla Preistoria ai nostri giorni