L’arte longobarda e carolingia

L’ARTE TARDOANTICA

L’arte longobarda e carolingia

Gli ori dei Longobardi

I Longobardi, insediati in Lombardia, Friuli, Toscana, Umbria e Campania a partire dal 568 d.C. e convertiti al Cristianesimo, hanno dato un apporto importante all’arte in Italia. Il loro stile, astratto e molto decorativo, si è mescolato con le tradizioni cristiane: il messaggio religioso si è così arricchito di decorazioni con animali fantastici, intrecci vegetali, fiori e palmette stilizzate. Il contatto con il Cristianesimo ha invece spinto i Longobardi a rappresentare anche la figura umana, seppure con forme molto semplificate e appiattite. Ma l’arte di questo popolo non è “ingenua” come talvolta appare: soprattutto nel campo dell’oreficeria, i Longobardi sono stati abili artigiani. Ne è prova per esempio la celebre corona detta “di Teodolinda” (1), la regina longobarda che si convertì al Cristianesimo: un’opera raffinatissima che gioca sul contrasto dei colori, ottenuto con pietre preziose diverse incastonate nell’oro.
Un altro esempio è la Chioccia (2), una gallina che sta beccando i semi insieme ai suoi pulcini su un terreno rappresentato come un piatto circolare in rame dorato. Probabilmente la scena simboleggia la Chiesa che protegge i fedeli, oppure la regina con la sua corte. Eccezionale per soggetto e fattura, la Chioccia è forse una delle oreficerie donate da Teodolinda al Duomo di Monza, città da lei scelta come capitale del regno. Un’altra ipotesi è che si trovasse nella tomba della regina longobarda. La data è ignota, ma si pensa che solo i pulcini risalgano all’epoca longobarda, mentre la chioccia sarebbe più antica di un secolo.

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La classicità carolingia

L’arte carolingia fiorisce intorno all’800, ai tempi dell’impero fondato da Carlo Magno con lo scopo politico e culturale di rievocare la grandezza di Roma: si sviluppa allora uno stile ispirato all’arte classica, che trova una delle sue massime espressioni, soprattutto in Germania, nell’architettura.
Nella Basilica di Sant’Ambrogio, a Milano, è conservato un vero e proprio capolavoro di oreficeria carolingia, l’altare di Vuolvinio, che ha la particolarità di essere firmato dal maestro che lo realizzò. Era destinato a contenere le reliquie dei santi Gervasio e Protasio e soprattutto quelle di sant’Ambrogio (vescovo di Milano tra il 374 e il 397), tuttora visibili da una finestrella sul lato posteriore.
L’altare è composto da una cassa di legno su cui sono state applicate lastre d’oro e d’argento dorato con scene narrative, divise da una decorazione d’oro, pietre preziose e smalti. La faccia rivolta verso i fedeli (3) è divisa in tre pannelli: al centro c’è una croce, con Cristo in trono e gli animali simbolo dei quattro evangelisti nei bracci.
Negli angoli stanno, a gruppi di tre, gli apostoli. In ognuno dei due riquadri laterali, divisi in sei scene ciascuno, sono raffigurate le storie della vita di Cristo.
Il lato posteriore, in argento, presenta la stessa tripartizione.
Al centro (4), due sportelli chiudono la finestrella da cui si possono osservare le reliquie. Su ognuno di essi c’è un tondo con una scena legata al momento in cui l’altare fu realizzato: in quello di sinistra Ambrogio incorona l’arcivescovo di allora, Angilberto, che gli presenta l’altare; in quello di destra, lo stesso Ambrogio pone una corona sul capo del “maestro fabbro” Vuolvinio. Intorno, in dodici scene, è rappresentata la vita di sant’Ambrogio.

Il filo dell’arte - volume B
Il filo dell’arte - volume B
Dalla Preistoria ai nostri giorni