Le nuove frontiere dell’industria

L’ECONOMIA DEL MONDO

Le nuove frontiere dell’industria

Il settore secondario è costituito dall’industria, che si occupa di trasformare le materie prime per produrre altri beni. È stata la straordinaria espansione del settore industriale ad avviare, a inizio Ottocento, i grandi cambiamenti economici, tecnologici e sociali degli ultimi due secoli, e a determinare l’ascesa delle maggiori potenze economiche e politiche, sia quelle “storiche”, come i Paesi europei e nordamericani, sia quelle “emergenti”, prima fra tutte la Cina.

I COMPARTI DELL’INDUSTRIA

In base alle tipologie di lavorazione e ai prodotti ottenuti, l’industria si suddivide in comparti: industria di base, di trasformazione e avanzata.

  • L’industria di base comprende le attività di lavorazione delle materie prime e produce semilavorati (cioè prodotti intermedi, da lavorare ulteriormente) o macchine utili per altre industrie. Sono industrie di base quelle metallurgica e siderurgica, che trasformano i minerali estratti dalle miniere; l’industria meccanica, che produce macchine industriali; l’industria chimica e petrolchimica, che realizza materiali e sostanze di ogni genere attraverso la lavorazione del petrolio. Per il peso fisico dei loro prodotti e delle materie prime utilizzate, e per le dimensioni dei loro impianti, queste industrie sono dette “pesanti”.
  • L’industria di trasformazione, detta anche industria “leggera”, include le imprese che producono beni di consumo, cioè direttamente utilizzabili dalle persone. Fanno parte di questo comparto l’industria agroalimentare, che trasforma i prodotti dell’agricoltura; l’industria tessile e delle calzature; quella del legno, delle costruzioni, degli elettrodomestici, delle automobili ecc.
  • L’industria avanzata comprende settori a forte tasso tecnologico e di ricerca: l’elettronica e l’informatica, le telecomunicazioni, il settore aerospaziale, la bioingegneria (che applica l’ingegneria a problemi medici), la farmaceutica ecc.
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Potenze industriali “vecchie”...

Oggi il settore secondario genera il 31% del PIL mondiale e occupa il 22% della popolazione attiva, ma ci sono differenze enormi nel grado di sviluppo industriale dei vari Paesi. Per quasi due secoli, le principali potenze industriali sono state quelle dove aveva avuto inizio la Rivoluzione Industriale, in Europa e America Settentrionale, e il Giappone. I maggiori tra questi “vecchi” Paesi industriali costituirono nel 1975 il Gruppo dei Sette, o G7, che controlla tuttora una parte consistente dell’economia mondiale, e che è formato da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti.
Negli ultimi decenni, tuttavia, l’economia di questi e altri Paesi avanzati è molto cambiata: l’industria ha perso gradualmente importanza, sia per ricchezza prodotta sia per lavoratori impiegati, mentre il comparto dominante è diventato quello dei servizi. In queste nuove economie, dette postindustriali, le industrie “sopravvissute” continuano a operare e mantengono il loro primato mondiale in gran parte grazie all’alta qualità e all’elevato livello tecnologico dei loro prodotti.

... e potenze industriali “nuove”

Allo stesso tempo, il mondo ha visto la rapida ascesa economica dei cosiddetti “Paesi emergenti”, basata soprattutto sulla forte crescita delle loro industrie. Paesi come la Cina, l’India e il Brasile possono contare su una straordinaria ricchezza di materie prime e soprattutto su una grande disponibilità di manodopera.
Le industrie dei Paesi più avanzati hanno così cominciato a subire la forte concorrenza di quelle dei Paesi emergenti, prima nel comparto dell’industria di base, poi nell’industria di trasformazione e avanzata. È una concorrenza basata soprattutto sul prezzo dei prodotti, che le industrie dei Paesi emergenti possono permettersi di tenere più basso poiché sostengono costi di produzione molto inferiori: negli Stati in cui operano gli stipendi dei lavoratori sono più bassi, gli operai sono meno tutelati e sono in vigore leggi più permissive in merito alla sicurezza sul lavoro e alla salvaguardia dell’ambiente. Nel 2010 c’è stato uno storico sorpasso: la produzione industriale della Cina ha superato quella degli Stati Uniti, raggiungendo il primo posto nella classifica mondiale.

GEOOGGI

Lo sfruttamento dei lavoratori industriali

Il basso costo della manodopera è una delle principali ragioni dell’ascesa di nuove potenze industriali. Nei Paesi emergenti (nella foto, un’industria tessile del Bangladesh) si lavora di più e si viene pagati di meno; ciò consente alle industrie di limitare i costi di produzione e di esportare prodotti a basso costo. Ma questa forte produttività si ottiene a scapito delle condizioni dei lavoratori.
Nelle grandi industrie cinesi, per esempio, milioni di operai lavorano fino a 13 ore al giorno, privi di assicurazioni sugli infortuni o di indennità in caso di malattia.
Molti dormono nelle fabbriche, in camerate simili a caserme, e lavorano senza dotazioni di sicurezza e a contatto con sostanze tossiche. In Messico, al confine con gli Stati Uniti, le aziende americane hanno fondato oltre 3000 fabbriche dette maquiladoras (“manifatture” in spagnolo), dove circa un milione di operai lavorano tutto il giorno con salari bassissimi per produrre beni di consumo destinati al mercato statunitense. E in molte metropoli europee e americane squallidi scantinati e capannoni ospitano laboratori clandestini dove gli operai (spesso immigrati irregolari) lavorano in condizioni pressoché di schiavitù.

GUIDA ALLO STUDIO

FISSO I CONCETTI 

1 Che cosa produce l’industria di base?

2 Quali Paesi fanno parte del Gruppo dei Sette?

3 Quali sono i punti di forza delle economie postindustriali?

4 Quali condizioni permettono alle industrie dei Paesi emergenti di contenere i costi di produzione?

MEMORIZZO LE PAROLE CHIAVE

 Industria di base  Industria di trasformazione  Industria avanzata  Postindustriale

Geoblog - volume 3
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