EUROPA – REGIONE BALCANICO-MEDITERRANEA

GEOSTORIA

La guerra nella ex Iugoslavia

La Penisola Balcanica ospita un vero e proprio mosaico di popoli con storie, lingue, culture e religioni differenti. Per lunghi secoli questi popoli subirono la dominazione dell’Impero Ottomano e dell’Impero Austro-Ungarico, soffocando le aspirazioni di indipendenza e le tensioni tra gruppi etnici che convivevano forzatamente. Questa situazione di instabilità era già evidente nel XIX secolo, quando si cominciò a definire i Balcani come una “polveriera”, un’area cioè dove le tensioni minacciavano di esplodere in guerre e azioni violente. Le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale cercarono di disinnescare la “polveriera” creando uno Stato multinazionale, la Iugoslavia, che riuniva diversi Paesi balcanici, e cioè gli attuali Slovenia, Croazia, Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Dopo essere stata invasa dalla Germania e dall’Italia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la Iugoslavia si riorganizzò nel 1945 in una repubblica federale di ispirazione comunista, governata dal maresciallo Josip Broz, detto Tito. Seguì un periodo di convivenza relativamente pacifica tra i popoli iugoslavi, ma alla morte di Tito nel 1980 si riaccesero le tensioni e le aspirazioni nazionaliste delle varie parti del Paese.
Nel 1991 la Iugoslavia cominciò a disgregarsi: Slovenia e Macedonia si staccarono pacificamente dalla Federazione. Tra Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina scoppiò invece una durissima guerra che durò dal 1991 al 1995. Da una parte Serbia e Croazia si scontrarono per il possesso di territori e città di confine dove fino a quel momento serbi e croati avevano convissuto pacificamente. Dall’altra, la Bosnia-Erzegovina fu lacerata dalla guerra etnica tra i serbo-bosniaci, sostenuti dalla Serbia, e i bosniaci musulmani. La guerra iugoslava sconcertò il mondo per le terribili violenze di cui furono vittime le popolazioni civili. Alcune città subirono grandi distruzioni e lunghissimi assedi, come Vukovar e Dubrovnik in Croazia e Sarajevo e Mostar in Bosnia-Erzegovina. Ma l’orrore maggiore fu provocato dagli episodi di quella che fu chiamata “pulizia etnica”, cioè la deportazione o l’uccisione delle persone di una certa etnia, residenti in una determinata zona, per “ripulirla” dalla loro presenza.
Caso simbolo delle violenze del conflitto iugoslavo fu il massacro di oltre 8000 civili bosniaci di religione musulmana da parte dell’esercito serbo-bosniaco, avvenuto nel luglio del 1995 nella cittadina di Srebrenica. Dopo numerosi tentativi di mediazione falliti da parte dell’ONU, gli Stati Uniti e i Paesi alleati della NATO intervennero con una campagna di bombardamenti contro le forze serbo-bosniache, ritenute le maggiori responsabili delle violenze contro i civili. L’intervento costrinse tutte le parti in conflitto a riunirsi al tavolo delle trattative e nel dicembre del 1995 fu siglato l’Accordo di Dayton, che sancì la fine della guerra e definì i nuovi confini tra Croazia, Serbia e Bosnia-Erzegovina.

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