2 - Il cristianesimo: origini e diffusione

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 24 – Le nuove religioni dell’impero

2. Il cristianesimo: origini e diffusione

Tra i numerosi culti diffusi nel territorio imperiale il più rilevante, anche per la futura storia del mondo, fu il cristianesimo. Esso nacque nella prima metà del I secolo d.C. all’interno delle comunità ebraiche della Palestina seguaci della predicazione di Gesù di Nazareth; successivamente si diffuse attraverso i suoi fedeli in Asia minore, poi in Africa, fino ad arrivare a Roma, al centro dell’impero.

La predicazione di Gesù di Nazareth: umiltà e amore verso il prossimo

Gesù nacque a Betlemme, in Giudea, intorno al 7-6 a.C. e visse tutta la sua giovinezza a Nazareth di Galilea (da cui il nome con il quale è storicamente identificato). Attorno al trentesimo anno di età iniziò a predicare il suo messaggio, prima in Galilea, poi a Gerusalemme. Educato secondo i dettami della religione ebraica, nella cui comunità era cresciuto, Gesù ne propose però un profondo rinnovamento.
Egli predicava che la via per la salvezza dell’anima non risiedeva nei riti e nelle manifestazioni esteriori del culto – che la religione ebraica prescriveva di osservare scrupolosamente – bensì nei gesti pratici e nelle azioni quotidiane, accentuando così il carattere morale del messaggio religioso, fondato sull’amore verso Dio e verso il prossimo (che includeva anche il nemico). Gesù annunciava inoltre l’avvento del Regno di Dio, un regno di spiritualità e salvezza, pronto ad accogliere tutti gli uomini, condannando la superbia dei potenti e invitando ciascuno al pentimento per i propri peccati. I suoi seguaci lo identificarono con il Messia, l’“inviato di Dio”, che secondo la Bibbia doveva liberare gli Ebrei dalla condizione di schiavitù. Il termine Messia fu tradotto in greco con la parola Christós, da cui l’appellativo Cristo associato a Gesù.

La condanna a morte di Gesù

Il messaggio religioso di Gesù, che si discostava dalla tradizione e si rivolgeva in particolare agli ultimi e ai poveri, provocò timori di rivolta sociale e non piacque a una parte delle autorità della Giudea, che videro in lui una minaccia all’ordine costituito.
In questo clima il sinedrio, il supremo consiglio d’Israele (una sorta di senato ebraico), che aveva la libertà di operare sotto la supervisione romana, lo fece arrestare e processare per il reato di bestemmia, poiché si era dichiarato “Figlio di Dio”. Egli fu quindi condotto dinanzi al tribunale romano – l’unico che potesse eseguire la condanna a morte – con l’accusa di essersi proclamato “re dei Giudei”, affermazione che offendeva l’autorità dell’imperatore, sotto la cui giurisdizione rientrava la Giudea. Il prefetto romano della provincia di Giudea, Ponzio Pilato, pur non avendo riscontrato alcuna violazione delle leggi romane, cedette alle pressioni esercitate dal sinedrio e lo condannò a morte. Dopo essere stato brutalmente frustato e umiliato, egli fu crocifisso, pena riservata agli schiavi ribelli, che prevedeva una lunga agonia e la morte per asfissia. Tre giorni dopo la sepoltura, i suoi discepoli – gli apostoli – affermarono di averlo visto risorto; da quel momento, essi cominciarono a predicare al di fuori della Palestina la nuova religione, che venne detta cristianesimo.

 >> pagina 71 

Paolo di Tarso e la diffusione del cristianesimo

Gli apostoli che presero a diffondere il messaggio morale di Gesù e della sua resurrezione – la “buona novella” – erano guidati dall’apostolo Pietro e da Paolo di Tarso. Quest’ultimo è una figura di particolare rilievo: di famiglia ebraica, da persecutore di cristiani aveva abbracciato poi la nuova religione e ne era diventato uno dei più importanti ed efficaci predicatori, durante lunghi e interminabili viaggi in molte città – da Cipro all’Asia minore fino a giungere a Roma – dove poi furono fondate chiese cristiane. Tra il 46 e il 61 d.C., la sua instancabile opera non si limitò alla diffusione orale ma anche alla redazione di numerose lettere che egli scrisse alle chiese e alle comunità cristiane che si andavano formando. Oltre al contenuto religioso di questi testi, fu decisiva la scelta della lingua, cioè il greco, che ne permise la diffusione in tutto il mondo romano. Paolo morì nel 67 d.C., vittima della persecuzione di Nerone.

 >> pagina 72 

Le comunità cristiane e la loro organizzazione

Le prime comunità nacquero in Palestina, ma si diffusero già nel II secolo d.C. in molti centri urbani dell’impero, in Grecia, in Africa fino ad arrivare a Roma.
La forza della prima fase della diffusione del cristianesimo fu proprio la sua organizzazione in comunità di credenti che, insieme, costituivano la Chiesa (dal greco ecclesía, “assemblea”; il termine indica, oltre all’edificio in cui si svolgono le cerimonie religiose, l’insieme dei fedeli cristiani).
Le comunità erano guidate dai presbìteri, che presiedevano alla cerimonia cristiana principale: la cena del Signore, la “comunione” o eucaristia (termine che significa “ringraziamento”, derivato dal verbo eucharistéo, “ringraziare”, “essere grato”).
Già alla fine del I secolo d.C. ogni comunità aveva a capo un vescovo (epíscopo, “sorvegliante”), responsabile della predicazione (evangelizzazione) e della celebrazione dei sacramenti (tra cui il battesimo e l’eucaristia).
Il vescovo era coadiuvato dai diàconi (“servitori”), che si occupavano di prestare soccorso ai poveri, alle vedove, agli orfani e che amministravano i patrimoni delle comunità, derivati dalla comunione dei beni.

3. Il cristianesimo e il potere imperiale

I Romani, come accennato, si erano da sempre dimostrati aperti nei confronti dei culti stranieri; tuttavia guardavano con sospetto al cristianesimo, per il messaggio che esso recava. I fedeli cristiani, infatti, si rifiutavano di venerare la figura divinizzata dell’imperatore; diffondevano princìpi di uguaglianza che potevano essere interpretati come una critica all’ordine sociale, sebbene Gesù stesso, affermando «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», avesse stabilito una distinzione tra la sfera civile e la sfera religiosa.
La riservatezza dei culti e la loro organizzazione in comunità che parevano chiuse in sé, oltre al successo che la nuova religione incontrava presso gli strati più bassi della popolazione, accrebbero nel tempo questi timori presso le autorità. Il sospetto nei confronti dei cristiani si tradusse in molte occasioni nella tendenza a individuarli come responsabili di eventi drammatici quali carestie o catastrofi naturali.
Anche presso i ceti popolari pagani (termine con cui i cristiani, a partire dal IV secolo, indicavano coloro che ancora professavano le religioni politeistiche e tradizionali diverse dal cristianesimo) che guardavano con diffidenza a queste comunità palesemente diverse rispetto agli usi e costumi del mondo romano, i cristiani divennero vittime di credenze che attribuivano loro ogni genere di nefandezza. Dai sospetti agli atti di violenza il passo fu breve: oltre a episodi di odio contro i cristiani messi in atto dalla popolazione (nel 177 a Lione vennero quasi linciati dalla folla), vi furono persecuzioni vere e proprie perpetrate da diversi imperatori: il primo fu Nerone, che accusò i cristiani di aver scatenato l’incendio che aveva devastato Roma nel 64 d.C., poi fu la volta di Domiziano.
Tra il 249 e il 251 l’imperatore Decio avviò una sistematica persecuzione, stabilendo che l’azione contro i cristiani dovesse essere condotta dallo Stato; anche Valeriano, pochi anni dopo (257-258), proseguì in questa politica persecutoria, culminata poi nel 303 con l’editto di Nicomedia promulgato dall’imperatore Diocleziano. L’editto stabiliva la distruzione delle Sacre Scritture dei cristiani e dei loro luoghi di culto, l’esproprio delle loro proprietà, nonché il divieto di professare liberamente la propria fede religiosa.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille