3 - L’impossibilità di una stabilità duratura

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 23 – L’età aurea dell’impero

3. L’impossibilità di una stabilità duratura

Il principato adottivo aveva favorito l’ascesa ai vertici dello Stato di personalità capaci e dotate di un elevato senso delle istituzioni. La loro designazione era stata infatti, in genere, una conseguenza dell’ampio consenso di cui godevano tra i senatori e presso vasti strati della società.
Una volta al governo, gli imperatori si erano preoccupati di mantenere il favore di tutti i gruppi sociali, promuovendo politiche equilibrate e spesso ispirate ai princìpi di equilibrio e moderazione propugnati dalla filosofia stoica.
Questa fase della storia di Roma, caratterizzata dal perdurare della concordia civile, andò esaurendosi sotto Commodo. Con le guerre civili che si scatenarono per la sua successione, lo Stato romano fu nuovamente travolto da disordini interni analoghi a quelli seguiti alla morte di Nerone.

Il potere crescente dell’esercito

Il ritorno alla successione dinastica rese evidente la profondità della crisi che affliggeva la compagine imperiale e la fragilità degli equilibri di potere che si erano instaurati al suo interno.
Il senato, che durante l’età aurea dell’impero aveva riacquistato un peso politico determinante, perse nuovamente l’autorità necessaria per influenzare l’elezione al trono imperiale. L’esercito, il cui ruolo si era rafforzato per la difesa dei confini sempre più minacciati, acquisì invece un’importanza politica decisiva. Alla fine del II secolo d.C., l’azione dei generali stanziati nelle province si inserì in questo quadro di precaria stabilità politica dello Stato. Essi poterono sfruttare il proprio prestigio per prendere il potere con il sostegno dei soldati: nacquero quindi nuovi conflitti tra i comandanti più spregiudicati e ambiziosi.

I pretoriani al potere

La prima vittima dell’instabilità politica fu Publio Elvio Pertinace, un valido comandante militare che, nel 192 d.C., subito dopo la congiura contro Commodo, era stato eletto imperatore con il sostegno dei senatori. La sua nomina era stata motivata dalla stima di cui godeva presso il senato e dal fatto che al tempo della congiura rivestiva la carica di prefetto del pretorio. Per questo motivo, in teoria, avrebbe dovuto essere sostenuto anche dai pretoriani. Questi ultimi si aspettavano una gratificazione economica dal nuovo imperatore; Pertinace, invece, si preoccupò di risanare il bilancio statale, attraverso un’impopolare politica di rigore economico che gli alienò il sostegno delle guardie imperiali.
Dopo soli tre mesi dalla sua elezione, i pretoriani uccisero Pertinace e misero letteralmente all’asta l’impero, promettendo di sostenere l’ascesa al trono di chi avesse offerto loro più denaro. La gara fu vinta da Marco Dìdio Giuliano, un ricchissimo senatore di origine italica che era stato proconsole d’Africa.
La sua designazione fu approvata con freddezza dal senato, timoroso che il vuoto di potere potesse provocare nuove guerre civili: tuttavia, la sua inadeguatezza a governare si mostrò subito in modo evidente. Giuliano doveva inoltre guardarsi dal disprezzo del popolo romano e dall’ostilità degli eserciti stanziati nelle province, che non avevano riconosciuto la sua nomina.

Terre, mari, idee - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille