Terre, mari, idee - volume 2

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 23 – L’età aurea dell’impero

Si trattava di una innovazione importante e radicale perché introduceva un diverso criterio nella scelta del successore. Se nella prima dinastia imperale (Giulio-Claudia) e nella seconda (Flavia) la successione era avvenuta per adozione all’interno del nucleo familiare, già nell’“anno dei quattro imperatori” si fece strada una diversa esigenza: la scelta del principe doveva cadere sul senato e sul popolo romano e il criterio di scelta non doveva più essere quello della successione dinastica. Galba riteneva che l’erede dovesse essere il migliore tra i collaboratori più competenti e capaci dell’imperatore e non dovesse necessariamente provenire dalla famiglia imperiale: il merito doveva dunque prevalere sul legame e sulla continuità della parentela. L’innovazione proposta da Galba non riscosse successo nell’immediato, ma con l’uccisione di Domiziano ebbe modo di affermarsi.
Il principato per adozione scongiurò le fasi turbolente che avevano caratterizzato la successione al vertice dello Stato nei decenni precedenti e ridusse il rischio che i nuovi imperatori instaurassero regimi dispotici. Il coinvolgimento del senato nell’esame dei possibili successori, infatti, restituì all’assemblea un’influenza che, nel primo periodo del principato, aveva completamente perduto e rappresentò un parziale ribilanciamento dei poteri dello Stato (che rimanevano comunque saldamente nelle mani dell’imperatore).
Sempre legata a questo notevole cambiamento, si affermò, nel corso del II secolo d.C., anche un’altra importante novità: dopo che, con la dinastia Flavia, era stata riconosciuta l’importanza politica e strategica delle province (di Spagna e Gallia in particolare) ed era stato consentito l’accesso al senato anche a esponenti di questi territori (che ormai ne costituivano la maggioranza e ne influenzavano le scelte), a partire dalla fine del I secolo d.C., furono nominati i primi imperatori originari delle province.

Nerva, il rivoluzionario conservatore

Successore di Domiziano e promotore della nuova prosperità dell’impero fu Cocceio Nerva (96-98 d.C.). Il suo breve principato vide il tentativo di ristabilire gli equilibri interni e istituzionali: egli mirò innanzitutto a improntare la sua azione di governo all’accordo con il senato e a restaurarne i privilegi, fattori determinanti nella sua elezione; inoltre, promosse una riforma agraria che prevedeva l’assegnazione di lotti di terra ai nullatenenti, e concesse agli agricoltori prestiti a carico dello Stato, in cambio di  ipoteche poste sui loro terreni. Nerva ebbe soprattutto il merito di introdurre la successione per adozione: per assicurarsi il sostegno dell’esercito e per non compromettere il nuovo equilibrio dell’impero, egli nominò come suo successore un noto e acclamato comandante ispanico delle legioni stanziate ai confini della Germania, Marco Ulpio Traiano, adottandolo come figlio.
Interessante è rilevare come le riforme politiche apportate da Nerva si inserissero in un più ampio quadro di rinnovamento culturale, che influì sui rapporti tra i cittadini e le autorità statali: in quest’epoca si diffuse ulteriormente, all’interno della classe dirigente romana, la filosofia stoica, nata in Grecia nel III secolo a.C. Esponente di primo piano di questa corrente di pensiero era stato, nel I secolo d.C., Seneca, e ai suoi princìpi si ispirò anche Nerva stesso.

• SOTTO LA LENTE • FILOSOFIA

Lo stoicismo

Lo stoicismo era una corrente filosofica e spirituale, con un forte accento etico, fondata intorno al 300 a.C. ad Atene da Zenone di Cizio. Egli sosteneva che per raggiungere l’integrità morale e intellettuale fossero necessari l’autocontrollo, il distacco dalle cose terrene e il dominio sulle passioni. La felicità si raggiungeva mediante l’imperturbabilità dell’animo, che consentiva all’individuo di diventare realmente padrone di se stesso.
Questo però non significava che il saggio dovesse isolarsi dalla società nella quale viveva: il distacco infatti non presupponeva indifferenza, ma, al contrario, la saggezza era propedeutica all’azione e dunque all’intervento politico.
Per gli stoici il mondo era retto da una ragione universale (lógos), concepita come un movimento eterno, inarrestabile, che pervadeva qualsiasi essere, dal più piccolo e semplice al più grande e complesso, vivente e non vivente. Per fare veramente parte del mondo bisognava dunque parteciparvi in modo attivo: solo facendo il proprio dovere e vivendo secondo la ragione l’uomo poteva realizzarsi nel lógos. Secondo gli stoici, dunque, fra i doveri principali degli uomini, in quanto esseri razionali, vi era soprattutto la politica, nella quale i saggi dovevano misurarsi senza la presunzione di una superiorità morale o filosofica, ma solo alla ricerca del Bene, non inteso come ricerca di un vantaggio personale, ma come adeguamento alla ragione universale.

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Traiano, un imperatore arrivato dalla Spagna

Alla morte di Nerva, Traiano (98-117 d.C.) divenne dunque il nuovo imperatore. Egli fu il primo imperatore romano originario di una provincia, essendo nato in Spagna da una famiglia nobile di origine italica che si era stabilita nella penisola iberica per espandere le proprie attività economiche.
Traiano proseguì la politica di accordo con il senato iniziata da Nerva e, grazie a un atteggiamento tollerante, riuscì a garantirsi il consenso di tutti i ceti sociali. Creò appositi fondi di assistenza, gestiti da funzionari imperiali assunti a livello locale, per assicurare un aiuto statale ai nullatenenti, ai quali vennero rimessi i debiti.
Per sostenere l’agricoltura stabilì la concessione di prestiti agevolati ai contadini poveri. Per migliorare l’efficienza dell’amministrazione provinciale e limitarne gli sprechi, istituì un sistema di controllo affidato a persone di sua fiducia.
Promuovendo la diffusione della cultura romana nelle province, Traiano mirò a rafforzare l’unità e la compattezza dell’impero; allo stesso tempo, però, si preoccupò di favorire la ripresa economica dell’Italia che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, era svantaggiata dalla concorrenza delle province e, a questo proposito, impose ai senatori di investire una parte dei loro patrimoni nelle terre della penisola. La politica di sostegno all’economia, l’assunzione di numerosi funzionari, le campagne militari, i costi di mantenimento dell’esercito, la costruzione di monumenti pubblici produssero una grave crisi finanziaria nell’impero, malgrado l’intenso sfruttamento delle miniere aurifere e i bottini di guerra.

L’allargamento dell’impero

I maggiori successi di Traiano riguardarono la politica estera: la ripresa dell’espansione territoriale, decisa dall’imperatore proprio al fine di reperire nuove risorse economiche, portò alla conquista di nuove terre in Europa e in Oriente, ed è proprio sotto il suo principato che l’impero raggiunse la massima estensione.
Tra il 101 e il 105 d.C. egli condusse una vittoriosa campagna militare, annettendo all’impero la Dacia, una regione compresa nell’attuale Romania, situata oltre il confine allora segnato dal Danubio. Tra il 105 e il 106 d.C. conquistò l’Arabia nord occidentale, favorendo così l’incremento delle attività commerciali con il Vicino Oriente. Tra il 114 e il 116 d.C., inoltre, ottenne importanti vittorie contro i Parti, annettendo le nuove province dell’Armenia (a est dell’odierna Turchia), dell’Assiria e della Mesopotamia. La sua avanzata terminò nel 117 d.C., a causa delle ribellioni delle comunità ebraiche che impegnarono nuovamente l’esercito romano in varie province orientali. In quello stesso anno Traiano morì. Molte nuove province sottomesse in Oriente cedettero ben presto all’avanzata dei Parti, perché le legioni romane vennero nel frattempo spostate nell’Europa centrale, a contrastare la minaccia dei Germani ai confini settentrionali dell’impero.
Sebbene Traiano avesse ottenuto numerose e importanti conquiste territoriali, l’azione di risanamento del bilancio dello Stato romano non raggiunse i risultati sperati. Le enormi spese sostenute per finanziare le imprese militari superarono infatti i profitti ricavati dalle conquiste, compromettendo la già precaria stabilità economica dello Stato.

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Da Roma imperiale all’anno Mille