3 - La dinastia Flavia

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 22 – Nascono le dinastie: da Tiberio a Domiziano

3. La dinastia Flavia

Circa un secolo dopo la fine delle guerre civili, gli eserciti tornarono a essere decisivi per determinare gli equilibri politici di Roma. La successione a Nerone, morto senza eredi diretti, fu contesa dai comandanti militari delle province, che, sfruttando la forza delle legioni a loro affidate, si scontrarono per imporsi sul trono imperiale.

L’anno dei quattro imperatori

Nel 68 d.C. Servio Sulpicio Galba, governatore della Spagna, fu acclamato imperatore dalle sue truppe. Una volta insediatosi, anche grazie al consenso del senato, non mantenne tuttavia le promesse di ricompensare i suoi legionari.
Nel 69 – definito “l’anno dei quattro imperatori” – il “neroniano” Otone, che fino ad allora aveva sostenuto Galba, ne approfittò per organizzare una congiura ai suoi danni con l’appoggio dei pretoriani. Divenuto imperatore, Otone fu a sua volta sconfitto da Vitellio, che era stato acclamato dalle sue legioni in Gallia. La fine della guerra civile fu decretata dall’arrivo in Italia di Tito Flavio Vespasiano, proclamato imperatore dalle sue truppe nel Vicino Oriente, dove era stato inviato da Nerone a reprimere la rivolta di Gerusalemme. Sconfitto Vitellio in battaglia, fu riconosciuto nuova guida dell’impero anche dal senato, atto che pose fine all’instabilità. Con Vespasiano (69-79 d.C.) ebbe inizio la dinastia Flavia, che governò Roma per quasi tre decenni.

Vespasiano, l’imperatore-soldato

Vespasiano fu il primo imperatore non aristocratico: suo padre apparteneva infatti all’ordine equestre, ed egli stesso aveva raggiunto i vertici dello Stato grazie a una lunga e brillante carriera militare al servizio di tre imperatori, a dimostrazione di quanto l’esercito fosse sempre più importante nelle scelte e nelle decisioni politiche e nel contempo di quanto il senato avesse un ruolo sempre meno rilevante. Il nuovo imperatore dovette innanzitutto preoccuparsi di ripristinare l’equilibrio delle finanze, divenuto precario a causa delle ingenti e futili spese di Nerone e della guerra civile che aveva prosciugato le casse della Stato; per questo, dunque, aumentò i tributi e ne istituì di nuovi, tagliò le spese della corte e combatté l’evasione fiscale. Fu poi avviato anche un aggiornamento dei catasti per ripristinare i diritti di proprietà, poiché durante il periodo delle guerre intestine alcuni si erano appropriati di terre non loro. Inoltre, dal momento che il peggioramento della situazione economica e sociale aveva provocato la crisi del reclutamento, decise di estendere i diritti di cittadinanza alle province più romanizzate e, dopo aver ristabilito l’ordine nell’esercito, lo trasformò arruolando soldati provenienti da classi non aristocratiche e dalle province, deciso a farne uno strumento di garanzia per la stabilità.
Promulgò nel 69 d.C. la lex de imperio Vespasiani, che definiva per la prima volta le facoltà e le funzioni del princeps, cui l’imperatore conferiva un ruolo istituzionale preciso e formale specificandone gli ampi poteri: non era vincolato da leggi e plebisciti, poteva intervenire nelle elezioni dei magistrati e poteva concludere trattati.

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TESTIMONIANZE DELLA STORIA

L’ANNO DRAMMATICO DEI QUATTRO IMPERATORI

I tre imperatori sono stati uccisi e Roma è in mano alle truppe di Vespasiano, guidate da suo figlio Domiziano: non c’è modo di sedare gli odi fomentati dalla guerra civile. Roma paga un prezzo altissimo alla crisi e Tacito ne fa una descrizione cruda e impietosa che usa anche per mettere in risalto le qualità moderate e sagge di Vespasiano (grazie al quale diede inizio alla sua carriera politica).



«Ucciso Vitellio era finita la guerra più che cominciata la pace. I vincitori armati scorrazzavano per l’Urbe con odio implacabile a caccia dei vinti: piene di cadaveri le strade, i templi e le piazze sparsi di sangue, dovunque trucidati quelli che la sorte faceva incontrare. E poi, man mano che la rabbia cresceva sfrenata, frugavano e stanavano chi si era nascosto: se scorgevano uno di alta statura e giovane, lo massacravano senza distinzione tra soldati e civili. E questa ferocia scaturita da odi recenti si saziava di sangue, poi si mutò in rapacità di saccheggio. Non lasciavano nessun luogo segreto o chiuso, fingendo che vi si nascondessero i Vitelliani. Da qui il pretesto di abbattere le porte delle case o, se si resisteva, avere un motivo per uccidere; e non mancavano plebei poverissimi e schiavi disonesti che spontaneamente tradirono ricchi padroni; altri erano denunciati da amici. Da ogni parte lamenti, nenie di lutto e la sorte funesta di una città espugnata, tanto che si rimpiangeva l’arroganza degli Otoniani e dei Vitelliani prima odiata. I capi del partito, risoluti ad accendere la guerra civile, apparivano incapaci di governare la vittoria, poiché in mezzo ai tumulti e alle discordie i peggiori prevalgono, mentre la pace e la tranquillità richiedono specchiate virtù.»


Tacito, Storie, IV, 1, 1-3, trad. di F. Nenci, Mondadori, Milano 2014


PER FISSARE I CONCETTI
  • Perché Tacito afferma che non è possibile dire che sia cominciata la pace?

I rapporti con le province e i due anni di Tito

Vespasiano concesse la cittadinanza agli abitanti delle province iberiche e pacificò la Britannia.
Sotto il suo regno però scoppiò la rivolta degli Ebrei in Giudea. La regione era una provincia dell’impero dall’epoca augustea: gli Ebrei erano insofferenti alla dominazione romana e gli episodi di ribellione erano frequenti, soprattutto nei momenti economicamente più difficili, guidati in particolare dagli  zeloti. Nel 70 d.C. la rivolta fu domata spietatamente da Tito, figlio di Vespasiano, che distrusse quasi interamente il tempio di Gerusalemme e deportò in schiavitù la popolazione. Chi riuscì a fuggire si rifugiò nella roccaforte di Masada che resistette all’assedio romano per tre anni. Quando cadde, nel 73 d.C., tutti i rivoltosi si tolsero la vita prima di essere catturati. Le ingenti ricchezze prelevate ai Giudei come bottino di guerra, oltre che le risorse ottenute dall’imposizione di nuove tasse, furono utilizzate dai Flavi per ripianare il bilancio statale e per realizzare grandi opere pubbliche nella capitale, come l’anfiteatro Flavio (il Colosseo), inaugurato nell’80 d.C.
Malgrado il consenso che ottenne, Vespasiano dovette reprimere varie congiure senatorie anche in seguito alla sua decisione di aprire il senato ai cavalieri, agli ufficiali dell’esercito e agli abitanti delle province occidentali.
Già nel 71 d.C. Vespasiano aveva designato come suoi successori, presentandoli direttamente al senato, i figli Tito e Domiziano.
Nel 79 d.C. alla morte, gli succedette il maggiore, Tito: in quello stesso anno la spaventosa eruzione del Vesuvio distrusse le città di Pompei, Ercolano e Stabia, provocando migliaia di morti e causando gravissimi danni in una regione economicamente molto ricca e dinamica. Tito aiutò in modo energico le popolazioni colpite, mettendo a disposizione anche ingenti ricchezze personali. Nonostante il brevissimo periodo di principato (solo due anni, dopo i quali morì di malattia) questo imperatore riuscì a ottenere un ampio consenso popolare, con l’estensione agli abitanti delle province della possibilità di accedere agli incarichi della burocrazia statale e grazie all’organizzazione di grandi manifestazioni pubbliche. In politica estera continuò l’azione del padre, consolidando i confini in Britannia e lungo il Reno e il Danubio, minacciati dalle popolazioni germaniche.

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Domiziano, l’ultimo dei Flavi

Dopo la morte di Tito, l’impero fu affidato a suo fratello minore Domiziano (81-96 d.C.). Egli accentuò il carattere autocratico del dominio imperiale, concentrando ogni potere nelle proprie mani e imponendo la sua divinizzazione (si firmava dominus et deus, “padrone e dio”). Fu adulato in vita e denigrato dopo la sua morte con la damnatio memoriae. Indubbiamente i suoi contrasti con il senato peggiorarono nel corso degli anni e si tradussero anche in decisioni dispotiche. I pochi membri che si opposero alla sua politica e ai suoi atteggiamenti orientaleggianti furono accusati di lesa maestà e sottoposti a processi che si concludevano con la confisca dei beni. Le ricchezze ottenute dall’espropriazione degli oppositori furono in parte impiegate per risanare il bilancio statale. Questo sistema diede luogo però a numerosi soprusi, con la proliferazione di accuse infondate a cittadini innocenti, volte unicamente a reperire risorse.

Propaganda e intrattenimento: panem et circenses

La costruzione degli anfiteatri da parte degli imperatori romani rispondeva alla necessità di avere a disposizione grandi strutture in cui riunire le folle per manifestazioni e spettacoli pubblici.
Fin dall’epoca repubblicana questi eventi erano organizzati allo scopo di ottenere il consenso della popolazione, affascinata dall’esaltazione della forza e della magnificenza di Roma.
Attraverso i giochi, inoltre, gli imperatori riuscivano a distrarre il proletariato urbano dai problemi sociali più cogenti, come la mancanza di lavoro che interessava molti sia a Roma sia nelle altre grandi città dell’impero.
Gli spettacoli, che tra le altre cose prevedevano lo scontro cruento tra gladiatori o il combattimento con animali feroci, erano molto coinvolgenti per i gusti e le aspettative del pubblico dell’epoca, che partecipava in massa agli eventi proposti e organizzati dalle autorità. Accanto a questi espedienti, quindi, fin dai tempi di Cesare e di Augusto lo Stato allestì un complesso sistema di approvvigionamento e di distribuzione di cereali alla popolazione indigente. Come scrisse nelle sue Satire (X, 81) il poeta latino Giovenale, vissuto tra il I e il II secolo d.C., «[il popolo] due sole cose ansiosamente desidera: il pane e i giochi circensi (panem et circenses)».

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille