Terre, mari, idee - volume 2

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 21 – La costruzione e il consolidamento dell’impero

I ceti sociali

Augusto mirò al mantenimento dell’ordine anche attraverso un controllo capillare delle gerarchie sociali e della mobilità tra i ceti. Egli voleva soprattutto impedire che la rapida ascesa di personaggi ambiziosi compromettesse la stabilità del potere statale, come era accaduto nell’ultima fase della repubblica, o che in qualche modo si coalizzassero forze che avrebbero potuto raccogliersi attorno a un eventuale capo e concorrente.
Al vertice della società romana si trovava il principe, con la sua corte imperiale. Al di sotto di essa c’erano i senatori che, pur privati delle loro antiche funzioni, avevano mantenuto grande prestigio. Seguivano i membri dell’ordine equestre, che rappresentavano i funzionari della burocrazia imperiale, poi i decurioni, gli amministratori dei governi locali delle province. Come abbiamo visto, inoltre, in questo periodo molti schiavi liberati, i liberti, assunsero ruoli di responsabilità nell’amministrazione pubblica.
Al di sotto di questi gruppi sociali si trovava la popolazione contadina delle campagne e la massa dei proletari urbani, di fatto mantenuti dalle elargizioni statali e relegati sempre ai margini della vita sociale e politica.

La propaganda augustea e il richiamo alla tradizione e alla moralità antica

Nell’opera di costruzione del consenso di Ottaviano, cioè nelle iniziative finalizzate a convincere i suoi contemporanei (e i posteri) sulla superiorità della sua politica, un particolare riguardo venne riservato all’abbellimento di Roma: i monumenti più antichi furono restaurati e quelli non finiti vennero completati, ispirandosi ai princìpi di una monumentalità destinata a esaltare il potere, così come suggeriva anche la riflessione teorica contenuta nel trattato De architectura di Marco Vitruvio Pollione. Di lui Svetonio scrisse: «Adornò e nobilitò la città secondo la maestà e grandezza di quello imperio: […] meritatamente si diede vanto, che avendola ricevuta di mattoni, la lasciava di marmo».
Uno dei fondamenti di questa propaganda e, in generale, dell’ideologia augustea era l’insistito richiamo al passato di Roma e ai suoi tradizionali valori arcaici: ciò spiega facilmente il ruolo di primo piano svolto dal recupero della morale e delle usanze religiose antiche, caratteristiche dell’identità romana in contrapposizione ai costumi corrotti dei regni orientali. Già negli anni della lotta contro Antonio, Ottaviano aveva attribuito alla diffusione della mentalità orientale all’interno della società romana la decadenza morale e civile che aveva colpito lo Stato. In tema religioso dunque, coerentemente con la volontà di recuperare gli antichi valori degli antenati, egli assunse i principali titoli sacerdotali legati alle divinità tradizionali, restaurò i templi e vietò alcuni culti orientali, anche se al contempo non rinunciò, almeno nelle province orientali, all’adozione di nuovi culti, come per esempio la venerazione dell’imperatore.
Ai princìpi del mos maiorum si ispirarono le numerose leggi introdotte da Augusto a sostegno delle famiglie e delle nascite, attraverso l’adozione di norme che punivano gli adulteri e favorivano le unioni matrimoniali, regolando i divorzi (ora consentiti anche alle donne), le doti e le successioni.
Lo scopo di queste riforme era in realtà soprattutto quello di compensare il crollo demografico avvenuto nell’epoca delle guerre civili. Per questo, per esempio, veniva combattuto il celibato o la permanenza delle donne nella condizione di vedove: i celibi con un’età compresa tra i venti e i sessant’anni e le nubili dai venti ai cinquanta non potevano ricevere eredità, così come le donne che dopo due anni di vedovanza non avevano ripreso marito. Una norma stabiliva inoltre che i coniugi senza prole potessero ereditare solo la metà dei beni lasciati dai loro congiunti; al contrario, chi aveva almeno tre figli legittimi non pagava le imposte oppure, se era povero, aveva diritto a una doppia razione nelle distribuzioni gratuite di grano.

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Da Roma imperiale all’anno Mille