Mecenate: finanziatore di arte e cultura
Augusto vedeva nella cultura e nell’attività di scrittori e intellettuali un importante strumento di elevazione morale e di diffusione del suo pensiero politico, ragione per cui non mancò mai di favorire e incentivare la presenza e l’opera di importanti artisti e letterati presso la capitale.
A tale scopo, egli affidò la sua politica culturale all’amico e fidato consigliere Caio Cilnio
Mecenate (69 a.C. ca.-8 a.C.): discendente da una nobile famiglia etrusca, egli era vicino al principe già dai tempi della guerra contro Sesto Pompeo e, pur ritiratosi a vita privata a seguito della nascita del principato, continuò, in qualità di letterato, a costituire il tramite fra Augusto e un circolo di intellettuali che raccolse i più importanti poeti e scrittori del tempo. Con un rapporto simile a quello che anticamente legava i clienti ai loro patroni patrizi, gli artisti che entravano a far parte del circolo di Mecenate venivano mantenuti a sue spese affinché potessero dedicarsi all’elaborazione delle proprie opere nelle quali celebravano la pace, la prosperità e la stabilità dell’ordinamento statale instaurate da Augusto.
Del circolo fece parte anche il poeta Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.). Autore delle
Bucoliche e delle Georgiche, opere in cui si esaltano la frugalità e la laboriosità della vita contadina – richiamo a maggior sobrietà e ai costumi delle origini di Roma –, la sua fortuna è legata soprattutto al poema epico Eneide, che narra il viaggio dell’eroe troiano Enea in fuga dalla patria, distrutta dagli Achei, fino alle coste del Lazio. Qui giunto, egli fu l’artefice delle vicende che diedero origine alla fondazione di Roma; non è dunque un caso che, in quest’epoca, sia stata ripresa l’antica leggenda che faceva discendere le origini di Roma dall’eroe troiano. Inoltre, poiché secondo il mito Enea, padre di Iulo, fondatore eponimo della gens
Iulia, alla quale Augusto apparteneva per adozione, era figlio della dea Venere, la leggenda attribuiva carattere divino alla persona di Augusto.
Nello stesso periodo furono attivi anche Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), con una vasta produzione di Odi, Epodi, Satire ed Epistole, opere nelle quali si alterna il ripiegamento dell’autore su se stesso alla ricerca di un equilibrio interiore e la trattazione di temi civili, volti a celebrare il princeps, e Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17/18 d.C.), la cui opera ebbe un carattere prevalentemente leggero ma comunque raffinato e brillante (celebre è per esempio la sua Ars amatoria).
La vicenda di Ovidio, che fu allontanato da Roma ed esiliato a vita a Tomi, in una zona desolata sulle coste del mar Nero (odierna Romania), mostra come Augusto, attraverso l’amico Mecenate, fosse molto generoso con chi si inchinava alla sua autorità, ma punisse duramente chi non vi si conformava. I motivi di questa punizione non sono chiari: forse il poeta fu autore di uno sgarbo nei confronti del principe, ma è probabile che abbiano avuto un peso anche i contenuti della sua opera, ritenuta dannosa per i tentativi di moralizzazione della società promossi in quegli anni da Augusto.
In questo periodo vissero anche gli storici Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. ca.-7 a.C.) e
Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), quest’ultimo autore di una storia di Roma (Ab urbe condita) che ripercorreva gli eventi dalla fondazione della città fino al 9 a.C. Augusto stesso volle descrivere le imprese da lui compiute durante il suo principato in un’opera, le Res gestae, poi diffusa, attraverso iscrizioni in latino e in greco, in tutto l’impero: si tratta di una sorta di “eredità per i posteri” in cui Ottaviano tramandava la sua ricostruzione degli eventi, la sola versione autorizzata a essere conosciuta.