Capitolo 31 - Costantinopoli dalla crisi verso l’età dell’oro

Capitolo 31 COSTANTINOPOLI DALLA CRISI VERSO L’ETÀ DELL’ORO

i concetti chiave
  • Crisi economica e sociale dell’impero bizantino: si indebolisce l’esercito e aumenta il potere dei latifondisti
  • Riforma di Eraclio a favore dei piccoli proprietari
  • Vittoria contro i Persiani ma minaccia della presenza araba nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente
  • La controversia sull’iconoclastìa causa l’allontanamento dalla chiesa di Roma; si conclude nell’843, con un editto di Teodora II che ripristina il culto delle immagini sacre
  • IX-X secolo: periodo di sviluppo e centralità commerciale di Costantinopoli, tra Franchi e Arabi
  • Niceforo Foca riconquista l’Italia, Creta, Cipro, la Mesopotamia e la Siria; i Bulgari vengono sottomessi

1. Crisi economica e sociale dell’impero

Nello stesso periodo in cui Maometto iniziava la sua predicazione l’impero bizantino stava attraversando una fase di crisi economica e politica, sopraggiunta dopo la morte dell’imperatore Giustiniano (565). Le risorse umane, finanziarie ed economiche non erano più sufficienti a dominare e a governare un impero esteso su tutto il Mediterraneo, il cui equilibrio era piuttosto fragile e precario, specialmente presso le zone di frontiera: al confine orientale era sempre più pressante la presenza dell’impero persiano, mentre sul fronte balcanico incalzava la popolazione degli Slavi. Le lunghe campagne per impedire l’avanzata di questi ultimi, unite ai costi per sostenere le guerre contro il re persiano Cosroe I, avevano ulteriormente aggravato la crisi economica interna.
Per fronteggiare le spese necessarie al mantenimento della flotta e dell’esercito (composto in larga misura di mercenari, a cui si era costretti a far ricorso in mancanza di una popolazione maschile in crescita), vennero aumentati i tributi imposti alla popolazione. Come già era accaduto nell’impero romano d’Occidente, l’aumento delle tasse provocò in tempi rapidi la crisi della piccola proprietà contadina: per pagare i debiti contratti con il fisco, molti agricoltori furono costretti a cedere i propri appezzamenti ai grandi proprietari, favorendo così una nuova espansione dei latifondi. I contadini divennero dunque coloni dei latifondisti, liberandosi in questo modo dalle pressanti richieste dei funzionari imperiali e dall’obbligo del servizio militare.
Il potere economico acquisito dai grandi proprietari terrieri, però, portò alla formazione di un’aristocrazia fondiaria sempre più autonoma e influente a livello locale, capace di minacciare l’unità politica dell’impero. Inoltre la scomparsa della classe sociale dei piccoli contadini indebolì notevolmente l’esercito, di cui essi costituivano il nerbo.
Le conseguenze delle pressioni esterne provocarono quindi gravi difficoltà anche all’interno dell’impero, dove si verificarono scontri e tensioni tra le classi sociali, rendendo più che mai necessaria una grande opera di riforma che tentasse di rivitalizzare la struttura statale e desse nuovo slancio alla politica imperiale.

 >> pagina 232 

La riforma di Eraclio: la creazione dei temi

Per fronteggiare questa situazione, l’imperatore Eraclio (610-641) promosse una radicale riforma amministrativa e della proprietà terriera, con la quale intendeva risolvere nello stesso tempo gli squilibri provocati dalla pressione fiscale e le conseguenze negative dell’estensione dei latifondi.
Per prima cosa, egli favorì la ricostituzione dei patrimoni terrieri dei piccoli proprietari agricoli e liberò i villaggi contadini dall’influenza dell’aristocrazia terriera, impedendo la vendita di questi terreni per evitare una nuova espansione dei latifondi.
I territori che appartenevano all’autorità imperiale o ai grandi latifondisti furono inoltre suddivisi in distretti militari chiamati temi (il termine, proveniente dal lessico militare, significa letteralmente “corpi d’armata”, ma in seguito fu utilizzato, più in generale, per indicare le province). Ogni tema era assegnato a una guarnigione di soldati che vi risiedeva stabilmente ed era posto sotto il controllo di un comandante dell’esercito, un generale con il titolo di stratego, cui erano attribuite anche le funzioni di autorità civile, e la cui figura era quindi analoga a quella di un governatore. La riforma tematica comportò notevoli vantaggi:

  • ridusse sensibilmente le spese per il mantenimento dell’esercito, perché grazie alle terre che erano state loro assegnate i soldati potevano mantenersi autonomamente, in modo simile a quanto avveniva a Roma durante l’età repubblicana;
  • diede stabilità all’impero, rafforzando la lealtà dei soldati, che venivano gratificati con l’assegnazione di nuove terre;
  • rafforzò la difesa militare dell’impero che, oltre a non gravare più interamente sulle casse dello Stato, diveniva più efficiente perché ogni soldato-contadino aveva interesse a difendere con le armi le terre in cui risiedeva;
  • contribuì a risollevare le finanze statali grazie alla ripresa delle entrate fiscali provenienti dalle piccole proprietà terriere.

In un primo tempo la riforma di Eraclio interessò solo la penisola Anatolica, ma in seguito fu estesa a vaste aree rimaste incolte a causa della crisi economica. Ciò favorì l’espansione dei terreni coltivati, l’aumento della produzione agricola e una generale ripresa economica. Inoltre, la creazione di piccoli eserciti locali che rispondevano soltanto all’autorità dell’imperatore contribuì a ridurre notevolmente il potere e l’influenza dei grandi aristocratici, rafforzando allo stesso tempo il potere centrale.

 >> pagina 233 

La frontiera orientale: Persiani e Avari

Al momento di assumere il potere, Eraclio si trovò a fronteggiare una situazione geopolitica assai complessa: l’Italia era stata in parte invasa dai Longobardi; nei Balcani, oltre agli Slavi, tra il 611 e il 627 le incursioni degli Avari danneggiarono ulteriormente l’impero. Con la Persia le relazioni precipitarono a causa del comportamento del suo sovrano: nel 590 si era infatti insediato al potere Cosroe II (590-628), nipote di Cosroe I, il quale però fu subito spodestato da un rivale. Rifugiatosi a Costantinopoli, aveva sollecitato l’aiuto dei Bizantini per tornare sul trono e questi erano intervenuti con un esercito guidato da uno dei migliori generali dell’impero, Narsete. Per qualche tempo il conflitto sembrò quindi sopito, ma nel 616, quando divennero evidenti le difficoltà di Costantinopoli sul fronte balcanico, Cosroe decise di attaccare, penetrando velocemente nelle province della Giudea, della Siria e dell’Anatolia e iniziando la conquista dell’Egitto: con quest’ultima avrebbe privato l’impero d’Oriente di risorse fondamentali.
La situazione si aggravò ulteriormente perché nel 626 la stessa Costantinopoli venne assediata da Cosroe, il quale, dopo aver conquistato l’Egitto, si era alleato con gli Slavi e gli Avari. Le strutture difensive della capitale, disposte su una triplice cerchia di mura, erano però state concepite proprio per resistere a un lungo assedio; inoltre, i territori dell’Anatolia, con le loro ingenti risorse economiche e militari, restavano saldamente in mano all’impero d’Oriente. La città poteva infine contare sui rifornimenti garantiti dalla flotta, ancora in grado di controllare gran parte del Mediterraneo. Lasciando che la capitale resistesse con le proprie forze all’assedio, Eraclio, con una decisione coraggiosa, mobilitò il grosso dell’esercito per muovere guerra direttamente contro la Persia. In due anni di campagne militari i Bizantini si scontrarono a più riprese e con esiti alterni con le truppe persiane, e respinsero al contempo gli attacchi degli Avari stanziati nei Balcani. Dopo un’ultima serie di vittorie, i Persiani giunsero alla decisiva battaglia di Ninive del dicembre 627 assai provati, decimati dalla fame e dal freddo, e subirono una pesante sconfitta da parte dei Bizantini: Cosroe II fu rovesciato dai suoi generali e trucidato dai suoi stessi soldati nel 628. Poco dopo, tra il 637 e il 643, l’impero persiano fu attaccato anche dagli Arabi.
Con la vittoria sui Persiani, i Bizantini riconquistarono temporaneamente la supremazia nel Vicino Oriente e si garantirono una certa sicurezza alle frontiere. Ma le nuove e più temibili minacce sarebbero arrivate, a partire dalla terza decade del VII secolo, dall’espansione degli Arabi, che conquistarono importanti territori bizantini nell’area del Mediterraneo e del Vicino Oriente, tra cui la Siria e l’Egitto, con la presa di Alessandria nel 642 ( Atlante attivo, p. 216), fino ad assediare Costantinopoli nel 674, che però resistette per quattro anni e non fu espugnata.

2. L’iconoclastia e le nuove conquiste

Tra l’VIII e il IX secolo l’impero bizantino dovette fare i conti, oltre che con le minacce ai suoi confini, anche con disordini interni, il più grave dei quali fu causato dai conflitti religiosi nati dalla controversia sull’iconoclastìa.
La dottrina dell’iconoclastia (termine che deriva dal greco eikón, “immagine”, “icona”, e kláo, “spezzare”, “distruggere”) si diffuse in molte aree della Chiesa bizantina nel corso dell’VIII secolo, fino a essere accolta dai vertici ecclesiastici e imperiali. I suoi sostenitori volevano imporre il divieto del culto delle immagini sacre in quanto sostenevano che tale pratica non fosse altro che una forma di idolatria e che il divino non fosse rappresentabile. In seguito a due editti emanati dall’imperatore Leone III (717-741) nel 726 e nel 730, questo orientamento fu adottato ufficialmente dallo Stato (a dimostrazione che sebbene l’imperatore fosse anche il maggior rappresentante della religione, la forza della gerarchia ecclesiastica era determinante): venne stabilito il divieto del culto delle immagini sacre e fu ordinata la loro distruzione su tutti i territori bizantini.

 >> pagina 234 

I motivi religiosi e politici per la “distruzione delle immagini”

La decisione di Leone III mirava in primo luogo a sottrarre alla propaganda musulmana l’argomento secondo il quale i cristiani erano dediti all’idolatria. La religione islamica vietava infatti ogni raffigurazione realistica della divinità e non prevedeva il culto dei santi; proibiva quindi l’uso delle immagini, ritenendole blasfeme e perciò pericolose: non è un caso che uno dei primi atti di Maometto al momento della conquista della penisola Arabica sia stato proprio la distruzione degli idoli venerati nell’ambito dei culti politeistici diffusi in quell’area prima della nascita dell’islam. In secondo luogo, il divieto del culto delle immagini aveva lo scopo di ridurre l’influenza che gli ordini monastici avevano nella società e presso le masse popolari. Sotto questo aspetto, i motivi economici del provvedimento non erano irrilevanti: il commercio delle icone aveva procurato ai monasteri enormi ricchezze, di cui le gerarchie militari intendevano impossessarsi allo scopo di finanziare l’esercito.
Il divieto del culto delle immagini provocò violenti scontri tra la popolazione e all’interno delle comunità religiose, che si trasformarono ben presto in una guerra civile protrattasi per oltre un secolo e le cui conseguenze aggravarono la già drammatica situazione dell’impero. I Bizantini cercarono di imporre l’iconoclastia anche in Occidente, attraverso le decisioni del concilio di Hieria del 754, al quale però non parteciparono i rappresentanti della Chiesa di Roma. L’atteggiamento di ingerenza nelle dispute teologiche dimostrato dall’imperatore d’Oriente aveva infatti provocato l’opposizione del papato e l’allontanamento della Chiesa orientale da quella occidentale. Nel 787 il concilio di Nicea condannò la dottrina dell’iconoclastia; ciò nonostante, tra l’814 e l’842 i conflitti religiosi ripresero. I contrasti terminarono soltanto nell’843, con un editto dell’imperatrice Teodora II che ripristinò il culto delle immagini sacre e sancì il ritorno alla dottrina del cristianesimo ortodosso.

 >> pagina 235 

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

PERCHÉ È BENE DISTRUGGERE LE IMMAGINI

In questo brano, tratto dalla risoluzione finale adottata dal concilio di Hieria del 754, sono indicati i princìpi religiosi ai quali si ispirava la distruzione delle immagini promossa dalle autorità ecclesiastiche e civili dell’impero bizantino.



«Sedotti da Satana, gli uomini si erano messi a indirizzare le loro preghiere alle cose create invece che al Creatore. La legge di Mosè e i profeti hanno condannato questo peccato. Per salvare l’umanità Dio ha mandato suo Figlio ad allontanarci dalla venerazione degli idoli, e ad insegnarci ad adorare Dio in ispirito e in verità. Satana non potendo sopportare ciò, riuscì insensibilmente a restaurare l’idolatria nascosta sotto le apparenze del cristianesimo. Ma Gesù, fonte per noi di salvezza, così come un tempo aveva inviato i suoi discepoli e apostoli, per annientare i nostri errori, allo stesso modo ha fatto sì che i nostri pii imperatori si opponessero alla nuova idolatria. Poiché non poteva ammettere che la Chiesa fosse più a lungo tormentata dalla malizia dei demoni, ha convocato la santa riunione dei vescovi diletti da Dio. […] Dopo aver esaminato con diligenza le decisioni dei sei concili ecumenici, ci siamo convinti che l’arte colpevole della pittura costituiva un sacrilegio contro il dogma della nostra salvezza. […] Cristo significa Dio e uomo; ne consegue che in quell’immagine di Dio e dell’uomo, egli ha contaminato con audacia insensata la natura divina con la carne creata, in una fusione che non deve mai avvenire. Egli si è dunque reso colpevole di un doppio sacrilegio: aver preteso di rappresentare la natura divina, che non deve mai essere rappresentata, e aver mescolato la natura divina all’umana.»


G. Walter, introduzione a G. Tessier, Carlomagno, De Agostini, Novara 1971


PER FISSARE I CONCETTI
  • Intorno a quale concetto fondamentale del culto cristiano ruota l’argomentazione contro le immagini?

La pacificazione imperiale

La fine dell’età dell’iconoclastia segnò un punto di svolta per l’impero bizantino che, sotto l’imperatore Michele III (842-867) e i suoi successori, conobbe una fase di grande rinascita economica e politica. Il periodo compreso tra il IX e il X secolo è stato definito dagli storici l’età dell’oro dell’impero d’Oriente. In quest’epoca, infatti, i Bizantini tornarono protagonisti nel quadro politico del Mediterraneo, inserendosi con successo nelle lotte per il predominio strategico e commerciale che contrapponevano le altre due principali potenze del tempo: l’impero dei Franchi e quello degli Arabi.
Anche nella fase di crisi, i traffici commerciali tra Oriente e Occidente avevano continuato a garantire a Costantinopoli un ruolo economico cruciale nel Mediterraneo. Nel corso del IX secolo, poi, la ripresa economica fu favorita dalle riforme dell’apparato statale. La burocrazia, affidata a una classe di funzionari ben preparati, recuperò efficienza, garantendo un afflusso costante di entrate fiscali nelle casse dello Stato. Le risorse economiche reperite in questo modo consentirono di rafforzare l’esercito, che fu messo nella condizione di difendere efficacemente i confini imperiali, e di potenziare la flotta, con cui i Bizantini riconquistarono parte dei territori sottratti loro dagli Arabi. Infine, un altro importante fattore alla base della rinascita economica dell’età dell’oro furono i provvedimenti a favore della piccola proprietà contadina, con effetti analoghi a quelli ottenuti nel VII secolo dalle riforme di Eraclio.

 >> pagina 236 

Basilio I e la riconquista territoriale

I principali successi militari di questo periodo furono ottenuti dalla dinastia macedone, iniziata con l’ascesa al trono imperiale di Basilio I (867-886). Nato da una famiglia contadina, egli divenne un fidato consigliere di Michele III, che lo associò al trono. Tuttavia, Basilio lo fece assassinare e ottenne così pieni poteri, riuscendo a risollevare il prestigio del potere imperiale grazie alle sue notevoli abilità politiche e strategiche. In politica estera, la sua attenzione fu concentrata in particolare sulla riconquista dell’Italia. Nell’876 le sue truppe ripresero la città di Bari, in Puglia, che per tre decenni era stata occupata dagli Arabi.
La riconquista bizantina del Mediterraneo continuò con i successori di Basilio I. Tra il 911 e il 960 i Bizantini ripresero Creta e, nel 965, Cipro. Artefice di queste e altre conquiste fu il generale Niceforo Foca (963-969), considerato uno dei più brillanti condottieri del suo tempo, che fu anche incoronato coimperatore, insieme a Basilio II, nel 963. I domini di Costantinopoli tornarono a espandersi anche nell’Italia meridionale, dove la presenza bizantina, in seguito alle conquiste arabe dell’VIII secolo, si era ridotta a poche città costiere. Negli ultimi decenni del X secolo i Bizantini avevano ormai ripreso il totale controllo delle attuali Calabria, Puglia e Basilicata. Anche nel continente asiatico, Costantinopoli aveva riconquistato alcuni territori caduti in mano araba nell’alta Mesopotamia e gran parte della Siria, tra cui le città di Antiochia e di Damasco, riprese rispettivamente nel 969 e nel 975. Lo stesso accadde pochi decenni più tardi con Gerusalemme e i territori della Palestina.

La conquista dell’impero bulgaro

Nel frattempo l’area balcanica, già occupata dagli Slavi, fu nel VII secolo il teatro dell’espansione di un’altra popolazione di origine turca: i Bulgari. Occupata nel 679 la regione della Mesia (dove anticamente si erano stanziati i Visigoti), nel giro di pochi decenni i Bulgari avevano creato una struttura statale autonoma e ben organizzata, grazie alla quale, nei secoli successivi, avevano assorbito gran parte delle tribù slave che vi si erano insediate in precedenza: nel volgere di breve tempo essi attuarono un’aggressiva politica di espansione territoriale. Agli inizi del IX secolo giunsero a occupare la Tracia, che costituiva una delle principali riserve di grano dell’impero bizantino, creando così un vasto impero.
I Bulgari si erano rapidamente assimilati alla cultura bizantina anche grazie all’opera di evangelizzazione condotta dai monaci che, sulle orme di Cirillo e Metodio, si erano dedicati alla conversione delle popolazioni dell’Europa orientale, e si erano così dotati di strutture statali modellate sulle tradizioni giuridiche e politiche del mondo bizantino. Sotto la guida di re Simeone (893-927), sconfissero ripetutamente l’esercito imperiale; nel 913 posero addirittura Costantinopoli sotto assedio. Il sovrano bulgaro, ispirandosi ai fasti dell’impero bizantino, si attribuì per la prima volta il titolo di Czar (derivato dal latino Caesar), fatto proprio in seguito dagli imperatori russi nell’età moderna, appunto gli zar.
I Bizantini reagirono duramente a queste velleità espansionistiche impegnando risorse sempre più ingenti nella guerra per la riconquista dei Balcani. Nel 972 i Bizantini ridussero lo Stato bulgaro a una provincia dell’impero. Ancora più dura fu poi la dominazione cui furono sottomessi con Basilio II (976-1025), a partire dal 1014, quando le popolazioni bulgare persero ogni ultimo residuo della loro precedente autonomia. La brutalità con cui Basilio II li annientò, estendendo i confini dell’impero fino al mar Adriatico, gli valse il nome di “Bulgaroctono”, ossia “sterminatore dei Bulgari”.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille