2 - Le riforme di Ottaviano in tutto l’impero

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 21 – La costruzione e il consolidamento dell’impero

Le iniziative di Ottaviano per ripristinare la pace e l’equilibrio

Nella sua opera di ristrutturazione dello Stato, Ottaviano era consapevole della necessità di ottenere sia il consenso dei ceti più influenti nella società, sia il sostegno della popolazione, sempre pronta alla ribellione nelle fasi più turbolente della vita politica e sociale di Roma. Le sue riforme furono dunque studiate attentamente al fine di assicurare vantaggi a tutte le classi sociali.
Un problema assai delicato che poteva pregiudicare qualsiasi tentativo di pacificazione sociale riguardava la sistemazione dei veterani dell’esercito. Dopo Azio Ottaviano diminuì notevolmente il numero dei soldati in servizio, riformando contemporaneamente l’esercito: era importante trovare una soluzione che fosse soddisfacente per i veterani, mantenesse saldo il loro consenso e non fosse eccessivamente onerosa per lo Stato. Ottaviano ricompensò i soldati congedati con terreni sottratti ai ceti possidenti in Italia e nelle province consegnando a ciascuno di loro dai 25 ai 50 iugeri di terra (una quantità corrispondente a 6-13 ettari), recuperati confiscando terre alle città che si erano schierate a favore di Antonio e ai suoi sostenitori o acquistando terreni (in Macedonia e in Illiria, per esempio) con il bottino di guerra e con il ricco tesoro egiziano sequestrato.
Nonostante il ridimensionamento politico del senato, ai senatori fu concesso di mantenere le proprietà terriere, che procuravano loro rendite elevate e dunque un ruolo importante nella vita sociale. La carica di senatore inoltre divenne ereditaria, garantendo ai discendenti la conservazione dei privilegi dei padri. I cavalieri, come abbiamo visto, entrarono invece nell’apparato statale come funzionari, governatori delle province o ufficiali dell’esercito, godendo di un’elevata remunerazione. La plebe romana, infine, era di fatto mantenuta dalle elargizioni pubbliche di denaro e di cereali, e aveva inoltre la possibilità di trovare occupazione nei cantieri aperti per la realizzazione delle grandi opere pubbliche finanziate dall’amministrazione statale.
Già a partire dalle guerre civili del I secolo a.C., del resto, distribuzioni pubbliche di denaro o di grano erano state usate per sostenere le fasce sociali deboli di Roma, quel proletariato che non possedeva terre e non traeva guadagni dalle attività commerciali. Con questo sistema lo Stato si assicurava il consenso della plebe e il mantenimento dell’ordine sociale. Più ancora che dallo Stato, le distribuzioni di denaro e di grano, l’organizzazione di feste e di spettacoli gratuiti nei circhi e negli anfiteatri, la costruzione di opere pubbliche (templi, terme, fori ecc.) erano finanziate dai ricchi desiderosi di ottenere cariche pubbliche (questa pratica, che già abbiamo visto in uso nell’antica Grecia, è detta  evergetismo).
Il consenso ottenuto da Augusto non era dunque del tutto incondizionato, e dovette più volte tenere conto dei molti interessi che contrapponevano i diversi gruppi sociali.

La propaganda in un gioiello

La cosiddetta Gemma augustea risale agli inizi del I secolo a.C. Si tratta di un grande cammeo in onice (23x19 cm), un tipo di gioiello ricavato dall’incisione di pietre preziose quali l’agata, la sardonica oppure, come in questo caso, l’onice, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Pare che fosse un vero e proprio manifesto di propaganda imperiale, realizzato per celebrare la potenza, la pace e la ricchezza che la casa di Augusto donava alla Terra. La decorazione è divisa in due parti. La più rilevante è quella superiore, al centro della quale c’è Augusto, seduto e abbigliato come Giove capitolino; seduta alla sua destra è la dea Roma, che lo guarda compiaciuta.
Alle spalle di Augusto, la personificazione del Mondo Abitato, cioè Ecumene, con accanto Oceano e Terra, gli pone sul capo una corona. Sulla sinistra, Tiberio e il figlio adottivo Augusto stanno scendendo da un carro, con Germanico.

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2. Le riforme di Ottaviano in tutto l’impero

L’attività riformatrice di Augusto non si limitò alla politica interna, ma mirò anche a garantire la pace e il controllo di Roma nei territori sottomessi. Per raggiungere questo obiettivo, egli promosse la riorganizzazione delle province, la riforma dell’esercito e una politica estera improntata, più che a grandi iniziative di espansione territoriale, al consolidamento delle conquiste realizzate.

La riforma territoriale

Nel 7 d.C. l’Italia fu suddivisa in undici regioni, in base alle caratteristiche geografiche del territorio e alle tradizioni storiche e culturali delle popolazioni italiche. Tutti gli altri territori rientrarono invece nella riorganizzazione operata da Augusto, che suddivise le province in due tipologie:

  • le province senatorie (per esempio la Grecia, la Numidia e l’Asia minore) furono affidate a governatori nominati dal senato; poiché non presentavano rischi di ribellione da parte delle popolazioni sottomesse e, non trovandosi ai confini dei domini di Roma, non erano minacciate da nemici esterni, non ospitavano cospicui contingenti militari. Per questo motivo Augusto concesse che fossero guidate da individui di nomina senatoria, che in ogni caso non avevano il comando delle legioni, poiché dal 23 a.C. esso era assegnato esclusivamente a Ottaviano attraverso l’incarico proconsolare;
  • le province imperiali, tra le quali vi erano i territori più ricchi e quelli più a rischio dal punto di vista militare – come la Gallia, minacciata dalle invasioni delle popolazioni germaniche, e la Giudea, percorsa da focolai di rivolta –, furono invece sottoposte al controllo diretto di Augusto, che le affidò a funzionari scelti personalmente tra i membri dell’ordine equestre o tra i liberti (schiavi liberati ed elevati al rango di cavalieri).

passato&presente

Le regioni italiane

L’odierna suddivisione regionale dello Stato italiano ricalca in buona parte quella stabilita da Augusto. Oltre alla Sicilia e alla Sardegna, province romane fin dai tempi delle guerre puniche e quindi escluse dall’organizzazione regionale augustea, le maggiori differenze riguardano i confini della Transpadana (corrispondente agli attuali Piemonte, Lombardia settentrionale e Valle d’Aosta), che inglobavano anche territori oggi compresi nella Confederazione Elvetica; la Venetia et Histria, che dalla Lombardia orientale si spingeva fino alle coste settentrionali dell’odierna Croazia (l’area istriana, per l’appunto); il Latium et Campania e l’Apulia et Calabria, che, come indicano le denominazioni stesse, comprendevano territori appartenenti a più di una regione attuale o il cui nome è utilizzato oggi per indicare altre zone. Gli antichi italici stanziati sulle coste ioniche della Puglia, per esempio, erano chiamati Calabri; solo a partire dal VII secolo d.C. il loro nome sarebbe stato utilizzato per identificare i territori della Calabria odierna.
Ci sono quindi sostanziali differenze tra i confini delle regioni augustee e quelli attuali, basti pensare che delle odierne 18 regioni continentali ne corrispondono 11 di epoca romana. Queste differenze riguardano i confini della Liguria, che sotto Augusto era molto più estesa rispetto alla Liguria contemporanea. È interessante, a questo proposito, notare che esistono toponimi di cittadine piemontesi in cui è evidente un’antica appartenenza ligure: Novi Ligure e Roccaforte Ligure, entrambe in provincia di Alessandria.

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La riforma fiscale

Con la nuova suddivisione delle province Augusto poteva controllare buona parte delle enormi risorse economiche che affluivano a Roma, essenziali a garantire una politica che non incrinasse il tanto ricercato consenso. I tributi riscossi nelle province senatorie confluivano nell’erario, cioè nelle casse statali, con cui si sovvenzionavano le opere pubbliche e gli approvvigionamenti dell’esercito. I tributi provenienti dalle province imperiali costituivano invece il patrimonio personale di Ottaviano, il fisco imperiale, impiegato per finanziare le elargizioni pubbliche e per altre opere propagandistiche.
Anche il sistema della riscossione dei tributi fu completamente riformato: gli appalti un tempo concessi ai pubblicani furono assegnati alle autorità delle province; questa soluzione permise di eliminare la mediazione dei pubblicani, ponendo un freno alla corruzione; inoltre, affidando i compiti amministrativi alle classi dirigenti locali, aumentò la loro fedeltà nei confronti delle istituzioni statali, elemento che favorì un generale consolidamento del controllo di Roma sulle province.
La riorganizzazione delle province e il potenziamento delle istituzioni locali, in ultima analisi, contribuirono a rendere più solido l’apparato statale, favorendo una più capillare penetrazione delle leggi, delle tradizioni e della cultura romana in tutto l’impero.
Nelle province però, pur essendo stata eliminata la figura dei pubblicani, continuarono a verificarsi gravi fenomeni di corruzione, dovuti ai rapporti clientelari che nascevano tra i governatori e la cerchia dei senatori che ne sostenevano la nomina. Di conseguenza, la scelta dei governatori spesso non avveniva in base alle loro effettive capacità, ma alle conoscenze politiche. Inoltre, il fatto che il loro potere fosse limitato e che alla fine del mandato perdessero tutti i loro privilegi contribuì al malgoverno delle province senatorie. La mancanza di una continuità nella politica di governo, infatti, oltre a compromettere lo sviluppo economico e sociale dei territori sottomessi, favoriva il fatto che i governatori più disonesti cercassero di accaparrarsi più ricchezze possibili durante il loro breve incarico.

Erario e fisco

Ai tempi di Augusto, come abbiamo visto, erario e fisco erano nettamente distinti. L’erario (da aes, “bronzo”, il metallo utilizzato per le monete più diffuse a Roma) indicava le casse statali; il fisco (da fiscus, il “cesto” in cui venivano depositati i soldi raccolti dagli esattori) identificava invece il tesoro privato dell’imperatore.
Anche se i due termini sono oggi comunemente usati come sinonimi per indicare le risorse finanziarie di uno Stato, in realtà essi designano ambiti diversi: l’erario indica le effettive finanze dello Stato, mentre il fisco è da identificarsi con lo Stato, più precisamente con il sistema e l’organo statale preposto all’assegnazione e alla riscossione delle imposte. Queste, a loro volta, sono classificate in varie tipologie: le imposte erariali sono quelle applicate direttamente dallo Stato (si pagano per esempio sulle rendite dei terreni e dei fabbricati), in opposizione alle imposte riscosse dagli enti locali (anche attraverso agenzie specializzate). Altra importante distinzione è quella che corre tra imposte dirette (come l’imposta basata sul reddito delle persone fisiche) e imposte indirette (come l’Iva, l’Imposta sul Valore Aggiunto che si applica alla vendita di beni e servizi, o le imposte di bollo, necessarie per la validazione degli atti amministrativi).

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille