Il Corpus era diviso in tre parti:
- il Codice, che metteva insieme tutte le leggi imperiali a partire dal II secolo d.C.;
- il Digesto (dal latino digerere, “ordinare”), una classificazione sistematica che raccoglieva le sentenze e i commenti dei più noti giuristi di età imperiale;
- le Istituzioni, un trattato di giurisprudenza utilizzato per lo studio del diritto.
In seguito furono aggiunte le Novelle, che raccoglievano le nuove leggi emesse da Giustiniano dopo la pubblicazione del Corpus.
La suddivisione per argomenti e la consultazione delle numerose norme di epoche diverse era in questo modo resa più agevole, e di conseguenza era resa più facile la loro interpretazione e applicazione.
L’opera tuttavia non fu soltanto una riorganizzazione di leggi già esistenti, poiché i giuristi imperiali che vi lavorarono compirono anche un’opera di selezione delle norme, e in alcuni casi le modificarono al fine di produrre una legislazione più coerente e adatta alle necessità dei tempi, con l’obiettivo di superare e sanare le contraddizioni fra l’una e l’altra legge vigente.
La riforma di Giustiniano rappresentò un altro modo per rafforzare la solidità dello Stato e il potere del sovrano attraverso l’unificazione, sotto un sistema di leggi comuni, di tutte le popolazioni e di tutti i territori compresi nel vastissimo impero. Com’era accaduto già molte volte in passato – fin dai tempi del primo codice di leggi scritte elaborato sotto il sovrano babilonese Hammurabi, nel II millennio a.C. – la codificazione di norme valide per tutti i sudditi di uno Stato rivestiva un’importanza fondamentale come strumento di potere e di governo.
Il codice di Giustiniano ha rappresentato un modello per le raccolte di leggi successive e per la codificazione del diritto – vale a dire per l’attività di sistemazione e riordino delle norme giuridiche in un “codice” – in molti Stati d’Europa, anche in epoca moderna.