La religione come strumento politico
L’atteggiamento di Giustiniano in tema di rapporti tra autorità civile e religiosa fu una delle più forti espressioni di cesaropapismo: l’interesse dell’imperatore fu rivolto non tanto alla definizione di nuovi dogmi teologici, quanto al perseguimento di obiettivi politici ed economici attraverso lo strumento della religione. La Chiesa pertanto svolgeva un ruolo fondamentale. Egli aveva infatti scritto: «I più eminenti doni di Dio tra gli uomini, accordati dal sommo Bene, sono la dignità sacerdotale [sacerdotium] e la carica secolare di imperatore [imperium]; dei due la prima è al servizio degli interessi divini, la seconda invece guida le questioni umane e provvede per loro; entrambe però scaturiscono dalla stessa e unica sorgente e ornano la vita umana. Perciò non vi è nulla che stia a cuore al sovrano del mondo quanto la dignità dei sacerdoti, tanto più che questi sempre pregano Dio a favore dell’imperatore» e queste riflessioni guidarono la sua azione di governo.
Giustiniano promosse la persecuzione dei culti pagani e delle eresie cristiane diffusi all’interno dell’impero d’Oriente proprio per garantire l’unità religiosa dei suoi sudditi con un obiettivo politico: sradicando ogni fede diversa da quella ufficiale, egli poteva mantenere più facilmente la solidità dell’impero, senza contare che le confische dei beni delle comunità religiose soppresse fruttavano allo Stato notevoli entrate. L’azione repressiva di Giustiniano non si limitò però al campo religioso: egli contrastò duramente anche tutti i centri culturali che riteneva potessero insidiare la sua autorità, tra cui le scuole
filosofiche, come l’Accademia di Atene, che fu chiusa per decreto imperiale nel 529. Fondata da Platone nel 387 a.C., con la sua tradizione secolare l’Accademia aveva costituito uno dei poli intellettuali più attivi nella conservazione e nella diffusione della cultura e del pensiero greco.