1 - L’affermazione dell’impero bizantino

Unità 10 IL TARDOANTICO E L’ALTO MEDIOEVO >> Capitolo 28 – L’impero romano d’Oriente

1. L’affermazione dell’impero bizantino

Mentre in Europa occidentale si sviluppavano i nuovi regni romano-germanici, nell’impero d’Oriente l’eredità politica e culturale greco-romana dava vita a una civiltà dalle caratteristiche in gran parte inedite e originali. Dall’antico nome della sua capitale, Bisanzio – ancora in uso accanto alla denominazione voluta dall’imperatore Costantino, Costantinopoli –, in epoca moderna essa è stata chiamata civiltà bizantina. I Bizantini, tuttavia, definivano se stessi con il termine greco Romáioi, “Romani”, a riprova del legame culturale con la tradizione latina. Sebbene la lingua ufficiale dello Stato fosse il greco (come del resto già nell’ultima fase della storia unitaria dell’impero) e l’imperatore d’Oriente fosse chiamato basiléus, essi si consideravano infatti eredi e continuatori dell’impero romano.

Risorse economiche e militari

La sopravvivenza delle strutture statali dell’impero romano d’Oriente dipese in gran parte dalla forza del suo esercito, ben addestrato e fedele ai generali, meno propensi, come accadeva in Occidente, a dispute interne per la conquista del potere, e dalle ingenti risorse economiche di cui gli imperatori disponevano. Le ricchezze derivanti dal controllo dei traffici commerciali furono tra l’altro utilizzate per resistere alle invasioni straniere. Anche quando le popolazioni germaniche riuscirono a penetrare nell’impero, infatti, il pagamento di grandi somme di denaro – accanto alle trattative diplomatiche – consentì agli imperatori di scongiurare il dilagare degli invasori, che furono invece spinti verso Occidente. Ciò era avvenuto con i Visigoti e con gli Unni, allontanati dall’imperatore Teodosio II, e con gli Ostrogoti, respinti da Zenone.
La necessità di avere un esercito solido e ben addestrato nasceva soprattutto dalla minaccia persiana dei Sasanidi che, sebbene contenuti a partire dal 300 circa, continuarono a costituire un pericolo per Costantinopoli: in particolare dopo la campagna militare di Giuliano (363), i Sasanidi acquisirono territori in Mesopotamia e perfino in Armenia. Il fronte persiano continuò a impegnare una buona metà dell’esercito bizantino, composto, alla fine del IV secolo, da 131 reggimenti, con una forza militare oscillante tra le 65 000 e le 100 000 unità. Tra il V e il VI secolo l’impero bizantino mantenne tuttavia l’egemonia navale nel Mediterraneo e visse un periodo di intensa espansione economica e territoriale, accompagnato dalla crescita dei centri urbani e dall’aumento della popolazione. Gran parte delle risorse economiche, tuttavia, veniva utilizzata per finanziare le spese militari, mantenere l’apparato burocratico e assicurare il consenso delle masse urbane al potere attraverso elargizioni e spettacoli pubblici gratuiti. L’impero era dunque più fragile di quanto potesse apparire, e un’eventuale crisi economica si sarebbe rivelata disastrosa per la stessa continuità istituzionale.

Poteri che si sovrappongono: il cesaropapismo

La stabilità dello Stato consentì agli imperatori bizantini di consolidare la propria autorità, estesa a tutti gli aspetti della vita politica, economica e sociale e rafforzata dalla pressoché completa sovrapposizione tra potere civile e potere religioso. I rapporti tra l’imperatore e le autorità ecclesiastiche furono infatti improntati a ciò che gli storici hanno chiamato cesaropapismo. Grazie alla facoltà di nominare il patriarca di Costantinopoli, che guidava tutte le comunità cristiane d’Oriente, l’imperatore manteneva di fatto anche il primato in campo religioso e, pur riconoscendo l’autorità morale e spirituale del patriarca, poteva imporre le proprie decisioni al clero. L’ingerenza dell’imperatore negli affari religiosi aveva soprattutto scopi politici, non solo perché rafforzava l’idea che il suo potere assoluto avesse una legittimazione divina, ma anche perché l’intervento nelle dispute teologiche rappresentava uno strumento per influenzare i rapporti di forza tra Oriente e Occidente, attraverso le relazioni che intercorrevano tra la Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma.

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La difficoltà di comporre i conflitti dottrinari

Questa strategia si manifestò anche nella cura con la quale gli imperatori bizantini intervenivano affinché i confronti tra le dottrine teologiche non sfociassero in conflitti insanabili. Uno degli aspetti centrali affrontati dal clero cristiano riguardò, nel IV e nella prima metà del V secolo, la definizione di un sistema dottrinario il più convincente possibile. Il cristianesimo infatti, una volta riconosciuto dallo Stato, si stava diffondendo rapidamente. In mancanza però di testi scritti riconosciuti da tutte le comunità cristiane (poiché circolavano molti vangeli cosiddetti “apocrifi”) l’interpretazione del messaggio cristiano risultava spesso arbitraria. Per imporre un sistema di riferimento dottrinario comune ci furono dibattiti e confronti anche aspri: da un lato si ebbe l’intensa attività dei Padri della Chiesa (per esempio, san Basilio, san Giovanni Crisostomo, sant’Agostino di Ippona e san Girolamo, l’autore della Vulgata, la traduzione del Nuovo e dell’Antico Testamento in latino); dall’altro lato ebbero grande sviluppo interpretazioni alternative della dottrina cristiana, come i donatisti, i manichei, i monofisiti, i nestoriani e altri ancora, che coinvolgevano numerosi fedeli. Quando tali interpretazioni erano respinte venivano definite eresie e coloro che vi si riconoscevano diedero spesso vita a correnti scismatiche, di distacco dalla Chiesa ufficiale. Per dirimere queste controversie si fece spesso ricorso ai concili, nei quali i vescovi della cristianità dibattevano e cercavano di raggiungere un punto di compromesso o una condanna esplicita, come per esempio era accaduto in quello di Nicea nel 325, che aveva condannato l’arianesimo.

Le dispute teologiche e una nuova condanna delle eresie

Particolarmente importante, anche come esempio della strategia di intervento degli imperatori, fu la convocazione del concilio di Calcedonia da parte dell’imperatore Marciano (450-457) nel 451. In quell’occasione fu condannata l’eresia monofisita, elaborata dal teologo Èutiche agli inizi del V secolo. Mentre l’ortodossia cattolica postulava la doppia natura di Cristo – insieme uomo e Dio –, secondo il monofisismo la dimensione umana di Gesù era assorbita da quella divina, che era dunque la sua vera e unica natura. La prima conseguenza del concilio di Calcedonia fu la separazione delle Chiese orientali antiche (siriaca, armena, copta ed etiopica), che non riconobbero le decisioni dottrinali stabilite durante il concilio. A Calcedonia fu però sancita anche la preminenza del patriarcato di Costantinopoli su quelli di Antiochia e di Alessandria e la sua equiparazione alla sede apostolica di Roma. Tale provvedimento prendeva atto dell’importanza di Costantinopoli, la “nuova Roma” e la sede dell’impero, ma allo stesso tempo, ponendola sullo stesso piano di Roma, incrinava il primato del papa. Ne derivarono forti contrasti tra la Chiesa orientale e quella occidentale, che giunsero a provocare la rottura delle relazioni diplomatiche tra le due sedi apostoliche tra il 484 e il 518. L’episodio è conosciuto come scisma di Acacio, dal nome del patriarca di Costantinopoli che, con l’appoggio dell’imperatore Zenone, rifiutò di accettare la sua scomunica emanata in quell’occasione dal papa di Roma, Felice III. Le relazioni tra le Chiese occidentale e orientale tornarono alla normalità nel 519, con l’imperatore Giustino I che, allo scopo di consolidare la stabilità istituzionale, si impegnò nella riconciliazione tra le gerarchie ecclesiastiche e pose fine allo scisma riconoscendo il primato del papa.

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passato&presente

Clero: un termine che proviene dalla terra

Il termine deriva dal greco klêros, che significa “sorteggio”, ma anche “eredità”; nel mondo ellenico indicava infatti i lotti di terra divisi in parti uguali tra i nobili di Sparta e assegnati loro in eredità. Durante l’epoca della seconda colonizzazione greca del Mediterraneo (VIII-VI sec. a.C.), lo stesso termine fu utilizzato per denominare gli appezzamenti assegnati ai coloni nelle nuove terre. Con la diffusione del cristianesimo passò invece a indicare le autorità ecclesiastiche, forse perché, per lungo tempo, elette a sorte alla guida delle comunità o forse per il fatto che era loro assegnata l’amministrazione dei possedimenti terrieri lasciati in eredità dai fedeli.
Il clero ha subìto molte trasformazioni nel corso della storia; nella Chiesa cattolica è oggi composto da ecclesiastici che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine in almeno uno dei suoi tre gradi: il diaconato (assistenti dei sacerdoti), il presbiterato (i sacerdoti), l’episcopato (i vescovi).
La suddivisione in questi tre gradi indica già di per sé l’esistenza di diversi livelli di funzioni, di ruolo e dunque di potere (o “di servizio”, come talora si dice): si tratta dunque di un ordine con una specifica gerarchia piramidale.

Riforma agraria e aumento delle entrate: l’impero si rafforza

I successori dell’imperatore Zenone (476-491) furono impegnati nel rafforzamento del potere imperiale attraverso la difesa dei confini e il consolidamento dell’amministrazione statale. Anastasio (491-518) si preoccupò di risanare il bilancio statale, combattendo gli sprechi e rendendo più efficiente il governo dei territori sottoposti al dominio bizantino. Attraverso i funzionari statali, la burocrazia imperiale esercitava un controllo diretto sulla maggior parte delle attività produttive: dalla gestione delle manifatture a quella dei commerci di prodotti preziosi che provenivano dall’Oriente, come la seta e le spezie. Per favorire la crescita economica, Anastasio introdusse anche importanti riforme agrarie volte a limitare la formazione dei latifondi per favorire invece la piccola proprietà contadina. Se gran parte della ricchezza dell’impero derivava dagli scambi commerciali con l’Oriente, la sua base economica rimaneva solida soprattutto grazie all’abbondante produzione agricola di alcune regioni situate entro i suoi confini – come l’Egitto e le coste del mar Nero – che consentiva di sostenere la crescita della popolazione.
L’opera di riforme proseguì durante il regno di Giustino I (518-527), con il quale l’impero bizantino conobbe un periodo di intenso sviluppo economico che garantì l’aumento delle entrate fiscali. Furono queste le premesse dell’espansione territoriale che caratterizzò la politica estera dell’impero d’Oriente nel VI secolo. Le direttrici delle nuove imprese militari riguardarono prevalentemente le coste del Mediterraneo controllate dai regni romano-germanici, la cui fragilità favorì la vittoria degli eserciti bizantini. In questa politica di riconquista dei territori un tempo appartenuti all’autorità dell’imperatore romano ebbero un peso determinante gli interessi economici, dal momento che la sottomissione di nuove terre implicava lo sfruttamento delle loro risorse. Tuttavia, un peso rilevante ebbero anche le ragioni ideologiche che vedevano nella guerra contro l’Occidente “barbarico” la possibilità di una rinascita dell’impero romano.

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2. Il lungo regno di Giustiniano

Per garantire la continuità istituzionale ed evitare pericolose lotte per l’ascesa al trono imperiale, negli ultimi anni del suo regno Giustino I aveva introdotto il metodo della successione dinastica associando al trono il nipote, passato alla storia con il nome di Giustiniano I (527-565).

L’imperatore energico e lungimirante

Alla morte di Giustino, Giustiniano, reggente già da qualche tempo, divenne imperatore. Era di formazione e cultura latine e si rivelò ben presto uomo dal carattere fermo, dalla spiccata personalità e da una ferrea volontà: si distinse infatti in breve tempo per le notevoli capacità di governo e per l’efficacia delle sue strategie politiche. Sotto la sua guida l’impero romano d’Oriente raggiunse la massima espansione nel Mediterraneo; in questo periodo, inoltre, si consolidò la struttura statale che avrebbe resistito per quasi un millennio: solo la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani, nel 1453, avrebbe segnato il tramonto definitivo dell’impero romano d’Oriente.
L’età di Giustiniano rappresentò un’epoca di grande sviluppo per l’impero bizantino, non solo per le conquiste territoriali, ma anche per il consolidamento delle istituzioni statali e per la prosperità economica che la caratterizzò, nonostante episodi devastanti come la gravissima pandemia di peste, che tra il 541 e il 543 decimò una consistente parte della popolazione.
Sotto la sua guida furono favoriti i commerci con l’Oriente, in particolare con l’India e la Cina. Nel 552, durante una spedizione mercantile in Cina organizzata dai funzionari di corte, i mercanti bizantini riuscirono ad appropriarsi di alcuni bachi da seta. Fu così che a Costantinopoli venne introdotta la lavorazione della seta, le cui tecniche erano state fino a quel momento gelosamente custodite dagli artigiani e dai mercanti cinesi. La produzione del pregiato tessuto favorì un’ulteriore espansione delle attività commerciali, che generarono grandi profitti con l’esportazione della seta in tutto il mondo Mediterraneo.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille