L’ambiente e le risorse - Si modifica il paesaggio europeo: il ritorno delle foreste

Unità 10 IL TARDOANTICO E L’ALTO MEDIOEVO >> Capitolo 27 – La fine dell’impero romano d’Occidente

L’AMBIENTE E LE RISORSE

Si modifica il paesaggio europeo: il ritorno delle foreste

Un regresso generalizzato

Tra le probabili cause della crisi a cui andarono incontro le popolazioni europee a partire dalla seconda metà del V secolo vi furono anche condizioni climatiche impreviste. Durante il tardo impero romano si registrò l’inizio di un periodo di irrigidimento del clima che portò a inverni molto freddi e asciutti. Le coltivazioni delle viti e degli ulivi, soprattutto nelle zone collinari, ne soffrirono gravemente: molte colline furono abbandonate e questo causò una minor manutenzione del territorio che si tradusse nell’aumento di erosione e di smottamenti. Era un circolo vizioso, poiché la fragilità del terreno collinare costringeva le genti ad abbandonare le terre. Anche la pianura soffrì di questo calo termico che, unito a un intenso sfruttamento dei suoli, vide crollare la produzione agricola.

Il circolo vizioso della crisi e il cambiamento del territorio

La caduta dell’impero romano d’Occidente ebbe conseguenze disastrose: lo spopolamento delle città e il decadimento del sistema viario, che contribuì alla contrazione degli scambi. Infine le rotte marittime, non più controllate dalla flotta imperiale, rimasero a loro volta esposte alle razzie di pirati e briganti.
Il crollo della produzione agricola e lo spopolamento delle campagne si alimentarono a vicenda: l’esito furono gravissime carestie alimentari seguite da altrettanto devastanti epidemie, che decimarono la popolazione.
Il notevole calo demografico, che interessò tutte le regioni un tempo appartenute all’impero, riguardò anche, e soprattutto, l’Italia. All’epoca di Augusto e nei due secoli successivi vivevano nella penisola più di 7 milioni di abitanti; il loro numero diminuì bruscamente di circa un terzo durante la crisi del III secolo, e scese quasi alla metà nel V secolo, durante l’epoca delle invasioni e della successiva caduta dell’impero d’Occidente.
La progressiva diminuzione della popolazione e l’aumento delle terre incolte favorirono una nuova espansione delle foreste ( carta), che in molte regioni tornarono a occupare terre che erano state diboscate e dissodate al tempo dell’occupazione romana.
Mentre le terre fertili si riducevano e i campi coltivati lasciavano spazio ai boschi e alla vegetazione spontanea, il patrimonio forestale europeo tornava a crescere anche perché si ridussero i consumi di legna, da secoli utilizzata in grandi quantità per il riscaldamento delle abitazioni, come combustibile per le attività produttive (le fornaci dei fabbri, per esempio), nell’edilizia, nella cantieristica navale e nelle attività militari. La vegetazione spontanea tornò a coprire anche le strade sempre meno battute da mercanti e viaggiatori, e le rive dei corsi d’acqua rendendoli sempre meno facili alla navigazione.

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Il regresso agricolo

Accanto alla riduzione delle superfici coltivate, nell’epoca tardoantica e altomedievale l’agricoltura subì anche un netto regresso tecnico. Come accennato, i popoli germanici non conoscevano le evolute tecniche agricole praticate da secoli nel mondo romano, dunque molti strumenti che richiedevano conoscenze tecnologiche avanzate (come gli argani e le gru per la costruzione degli argini o per la bonifica dei terreni) non furono più utilizzati. L’evoluzione degli attrezzi di uso quotidiano e dei metodi di lavorazione dei campi subì un arresto, anziché svilupparsi e adattarsi alle mutate condizioni produttive. Il tipo di aratro diffuso in gran parte delle campagne europee, per esempio, era uno strumento rudimentale, praticamente identico a quello delle antiche civiltà fluviali: adatto alle terre friabili dell’Europa mediterranea, ma inadeguato al dissodamento dei terreni duri e compatti dell’Europa centrale e settentrionale. Anche il giogo per legare gli aratri al dorso degli animali da tiro era rimasto pressoché immutato per millenni (sarebbe stato modificato solo dopo l’anno Mille, consentendo finalmente una trazione più efficiente e una fatica minore a carico degli animali). Il regresso tecnico portò anche alla scomparsa o alla riduzione di molte delle abilità e delle competenze di artigiani e costruttori, un patrimonio di cultura materiale di difficile recupero.
Il declino demografico, l’abbandono delle campagne e il venir meno di un bagaglio tecnologico accumulato nei secoli determinarono una notevole riduzione della capacità produttiva dell’agricoltura europea. Essa rimaneva in grado di sfamare una popolazione ridotta, ma la sua capacità di generare esportazioni e flussi commerciali era decisamente compromessa.

L’economia di sussistenza

Questa situazione fu anche una conseguenza della nuova organizzazione delle aree rurali e dei rapporti sociali vigenti nelle campagne. Anche quando si insediarono nelle nuove terre, i Germani rimasero prevalentemente dediti alle attività militari e al più alla pastorizia affidata a donne e bambini. Al ceto contadino di origine romana continuarono a essere affidati i lavori agricoli, ma non si trattava quasi più di coloni responsabili del proprio appezzamento di terreno, bensì di contadini spesso ridotti in condizioni servili.
All’interno delle nuove formazioni statali, la divisione delle terre si fondò sul principio dell’hospitalitas, in base al quale un terzo dei possedimenti fondiari era assegnato ai nuovi dominatori, mentre il resto era lasciato ai possessori originari. Questo tipo di organizzazione della proprietà fondiaria aggravò la diminuzione della resa produttiva dei campi, soprattutto perché, a differenza dei latifondisti di epoca romana, che avevano tratto grandi profitti dallo sviluppo delle colture più redditizie e dall’esportazione dei loro prodotti, i nuovi padroni non erano interessati all’espansione commerciale derivante dalla vendita dei beni agricoli, ma solo all’autoconsumo.
Il regresso dell’agricoltura europea, a partire dal V secolo, fu un elemento del più ampio declino economico che accompagnò la fine dell’impero romano in Occidente. In questo contesto, i fattori di crisi tesero ad amplificarsi reciprocamente. Il crollo dei commerci, per esempio, determinò una maggiore difficoltà nell’approvvigionamento dei metalli che aggravò la contrazione delle attività artigianali, già colpite dallo spopolamento delle città. La mancanza di artigiani in grado di produrre strumenti complessi comportò il ritorno all’uso di attrezzi agricoli in legno che, essendo meno efficienti, determinavano rese inferiori. La diminuzione dei raccolti influì a sua volta sulla disponibilità di cibo, alimentando una spirale regressiva che avrebbe caratterizzato a lungo l’economia e la vita sociale dell’Europa.
Analogamente, la riduzione degli scambi commerciali disincentivò gli investimenti nelle produzioni destinate all’esportazione, come l’olio e il vino. Il posto dei vigneti e degli uliveti fu preso, almeno dove le condizioni climatiche e le caratteristiche dei terreni lo permisero, dalle coltivazioni di cereali, che avrebbero costituito per secoli la base dell’alimentazione europea, ma che, essendo poco redditizie, non generavano profitti da reinvestire nel miglioramento delle tecniche agricole o nei commerci e nell’artigianato.
Il ritorno a un’ economia di sussistenza o di autoconsumo si tradusse anche in una sostanziale scomparsa della circolazione monetaria e nella ripresa di attività che nell’economia romana erano divenute marginali. Per integrare le scarse risorse alimentari ottenute dalle attività agricole, la popolazione europea tornò a dedicarsi in maggior misura alla pastorizia, alla raccolta di vegetali spontanei e alla caccia. L’avanzamento dell’incolto favorì l’uso comune dei prati e dei boschi: nelle terre comuni i pastori potevano condurre liberamente i propri animali al pascolo, mentre i boschi, oltre al legname per le costruzioni o per il riscaldamento, fornivano frutti selvatici e selvaggina.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille