Le persecuzioni contro i cristiani
Le riforme di Diocleziano non si limitarono a interventi di tipo economico e sociale. Per consolidare il potere assoluto dell’imperatore come figura suprema dell’amministrazione, ed eliminare ogni dissenso che potesse incrinare la sicurezza dell’impero, egli contrastò la diffusione della religione cristiana, che si rifiutava di riconoscere il carattere divino della sua autorità e giudicava la sua politica autoritaria e prevaricatoria. Fu così che, con l’avvicinarsi del momento dell’abdicazione, l’imperatore decise di dare avvio, con la mobilitazione di tutto l’apparato repressivo dello Stato, a pesanti persecuzioni nei confronti dei cristiani.
Nel 303 Diocleziano emanò un editto che prevedeva la soppressione delle comunità
cristiane e la confisca dei loro beni; il provvedimento nascondeva, ancora una volta, anche l’esigenza di recuperare introiti per le finanze imperiali.
Nel 304 un nuovo editto impose la persecuzione dei cristiani in tutti i territori
imperiali. La norma non ottenne però il risultato per cui era stata emanata: l’inarrestabile diffusione della nuova religione, che si era ormai affermata in tutte le classi sociali e in tutte le province dell’impero, proseguì infatti anche dopo la fine del suo regno.
Nel 305, in ottemperanza ai princìpi della tetrarchia da lui introdotta, che prevedeva una durata massima di vent’anni per la carica di Augusto, Diocleziano si ritirò a vita
privata nel suo palazzo di Spalato, in Dalmazia, sulle coste dell’odierna Croazia, dove morì nel 313. Egli cedette le cariche di Augusto a Galerio, mentre Massimiano nominò suo successore Costanzo Cloro. I nuovi Augusti, a loro volta, nominarono i loro successori, Massimino Daia (Cesare per l’Oriente) e Flavio Valerio (Cesare per l’Occidente).