2 - Costantino e l’impero cristiano

Unità 10 IL TARDOANTICO E L’ALTO MEDIOEVO >> Capitolo 26 – La divisione dell’impero

Le persecuzioni contro i cristiani

Le riforme di Diocleziano non si limitarono a interventi di tipo economico e sociale. Per consolidare il potere assoluto dell’imperatore come figura suprema dell’amministrazione, ed eliminare ogni dissenso che potesse incrinare la sicurezza dell’impero, egli contrastò la diffusione della religione cristiana, che si rifiutava di riconoscere il carattere divino della sua autorità e giudicava la sua politica autoritaria e prevaricatoria. Fu così che, con l’avvicinarsi del momento dell’abdicazione, l’imperatore decise di dare avvio, con la mobilitazione di tutto l’apparato repressivo dello Stato, a pesanti persecuzioni nei confronti dei cristiani.
Nel 303 Diocleziano emanò un editto che prevedeva la soppressione delle comunità cristiane e la confisca dei loro beni; il provvedimento nascondeva, ancora una volta, anche l’esigenza di recuperare introiti per le finanze imperiali.
Nel 304 un nuovo editto impose la persecuzione dei cristiani in tutti i territori imperiali. La norma non ottenne però il risultato per cui era stata emanata: l’inarrestabile diffusione della nuova religione, che si era ormai affermata in tutte le classi sociali e in tutte le province dell’impero, proseguì infatti anche dopo la fine del suo regno.
Nel 305, in ottemperanza ai princìpi della tetrarchia da lui introdotta, che prevedeva una durata massima di vent’anni per la carica di Augusto, Diocleziano si ritirò a vita privata nel suo palazzo di Spalato, in Dalmazia, sulle coste dell’odierna Croazia, dove morì nel 313. Egli cedette le cariche di Augusto a Galerio, mentre Massimiano nominò suo successore Costanzo Cloro. I nuovi Augusti, a loro volta, nominarono i loro successori, Massimino Daia (Cesare per l’Oriente) e Flavio Valerio (Cesare per l’Occidente).

Il palazzo imperiale di Spalato

Il sontuoso palazzo privato che Diocleziano si fece costruire a Spalato tra il 300 e il 305 d.C. rispondeva a una doppia esigenza: il suo sfarzo mirava a esaltare la figura dell’imperatore e il suo potere assoluto, mentre il sistema di fortificazioni che lo circondava aveva lo scopo di salvaguardare la sua sicurezza personale.
La struttura del palazzo ricalcava quella degli accampamenti militari, con collegamenti interni che si intersecavano perpendicolarmente e una poderosa cinta muraria, completata da quattro torri difensive e di avvistamento agli angoli. Un lato della struttura si affacciava sul mare, in modo che anche in caso di assedio da terra i rifornimenti potessero continuare ad arrivare.
Gli edifici interni, che comprendevano anche un tempio e un mausoleo per l’imperatore, erano adornati da splendidi colonnati e rivestimenti marmorei, di elevato valore artistico.

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Le riforme attuate da Diocleziano erano riuscite a restituire solidità allo Stato, rafforzando un potere imperiale travolto dalle discordie civili e dall’anarchia militare. La rinascita ebbe però vita breve: i suoi principali provvedimenti – l’introduzione del sistema tetrarchico, la divinizzazione della figura dell’imperatore e le persecuzioni contro i culti religiosi considerati pericolosi per il potere assoluto – vennero presto cancellati da una nuova organizzazione politica e da nuovi importanti sviluppi in campo religioso.

Nuove guerre civili

Il sistema tetrarchico entrò in crisi nel 306 quando, alla morte di Costanzo Cloro, Augusto d’Occidente, le truppe stanziate in Britannia proclamarono al suo posto il figlio Costantino. L’episodio creò una grave frattura all’interno delle istituzioni romane, poiché le regole imposte da Diocleziano avrebbero previsto il passaggio del potere nella parte occidentale dell’impero al Cesare Flavio Valerio. Scoppiarono così nuove guerre civili; in particolare, insorsero i contingenti militari di Licinio, comandante delle truppe in Dacia, e di Massenzio, figlio di Massimiano. Massenzio impose il proprio potere sull’Italia e sull’Africa, e per alcuni anni riuscì a legittimare la propria autorità imperiale, non riconosciuta ufficialmente da alcuna istituzione romana ma sostenuta dai pretoriani, desiderosi di ripristinare a loro volta il predominio militare sulla penisola e sulle altre province. Massenzio ebbe dalla sua anche il consenso della popolazione di Roma, alla quale garantì gli approvvigionamenti di grano e di olio dalle coste africane.
Per sconfiggere il rivale Flavio Valerio, che era sostenuto anche dall’Augusto d’Oriente Galerio, Massenzio richiamò al potere il padre, Massimiano, e cercò l’alleanza con Costantino. Dopo la sconfitta di Flavio Valerio (307) e la morte di Galerio (311), Massenzio sembrava destinato a conquistare il potere sulla parte occidentale, mentre su quella orientale era ancora in atto un’aspra contesa tra Licinio e Massimino Daia, legittimo successore designato da Galerio.

L’ascesa di Costantino

Alcuni episodi avevano però indebolito irrimediabilmente l’autorità di Massenzio. Nel 308 il comandante dell’Africa Lucio Domizio Alessandro attuò una secessione, privando così l’Italia dei preziosi rifornimenti alimentari sui quali si basava il consenso popolare di Massenzio. Inoltre, negli stessi anni Costantino acquistò un peso politico sempre più determinante, ottenendo anche il sostegno di Licinio.
Costantino mosse dunque le sue truppe dall’Europa settentrionale all’Italia. Dopo aver vinto la battaglia di Verona, si diresse verso Roma, dove sconfisse Massenzio nella battaglia di ponte Milvio (312) e si impose come Augusto d’Occidente. L’Oriente fu invece assegnato a Licinio, che nel 313 sconfisse definitivamente il rivale Massimino Daia. Secondo la tradizione narrata da Lattanzio, scrittore cristiano e futuro istitutore dei figli di Costantino, il buon esito della battaglia di ponte Milvio fu predetto a Costantino da una visione divina, che gli consigliò, in sogno, di far incidere sugli scudi dei suoi soldati un simbolo della religione cristiana a garanzia della vittoria. Si trattava del monogramma di Cristo, formato dalle iniziali del suo nome – le lettere greche X (pronuncia chi) e P (pronuncia rho) sovrapposte –, che compare in numerose raffigurazioni cristiane del IV secolo. Al di là della sua veridicità, l’episodio mostra un cambiamento importante nella strategia politica di Costantino. Fino a pochi anni prima egli era stato un seguace dei culti di divinità solari di origine orientale, identificati con il dio greco-romano Apollo e molto diffusi nell’impero. La conversione al cristianesimo, avvenuta in concomitanza con la vittoria contro Massenzio, è una prova che la nuova fede religiosa aveva ormai raggiunto i vertici dell’impero.

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L’editto di Milano: libertà di culto per i cristiani

Subito dopo aver ottenuto il potere, Costantino e Licinio promulgarono una legge valida per tutto l’impero, il cosiddetto editto di Milano del 313, che concedeva la libertà di culto a tutte le religioni diffuse nell’impero.
La libera pratica della maggior parte dei culti di origine orientale era in realtà già stata consentita ufficialmente dalle istituzioni romane da molto tempo: l’editto di Milano costituiva quindi un riconoscimento rivolto in particolare ai cristiani. Più che sulla tradizionale tolleranza che aveva sempre caratterizzato l’atteggiamento di Roma nell’ambito delle questioni religiose, però, il provvedimento era fondato su ragioni di ordine politico ed economico.
Costantino individuò nei cristiani un solido sostegno politico per la sua ascesa al trono imperiale e per il mantenimento del potere. Essi, infatti, costituivano una categoria trasversale a tutte le classi sociali e, ormai da tempo, avevano raggiunto posizioni di rilievo nell’amministrazione statale e nell’esercito. L’appoggio dei cristiani era inoltre fondamentale dal punto di vista economico. L’esperienza di Diocleziano – le cui persecuzioni e confische non avevano risanato il bilancio statale – mostrava che per risollevare le finanze pubbliche i cristiani, più che come sudditi, erano importanti come contribuenti. Per renderli tali, però, era inevitabile garantirne la piena integrazione nell’organizzazione imperiale.

La riunificazione dell’impero

Licinio, che pochi anni prima aveva sostenuto per opportunismo politico la concessione della libertà di culto ai cristiani, senza aderire alla loro fede, considerava con sospetto l’eccessiva influenza che questi avevano acquisito nello Stato romano e non era disposto a promuoverli in posizioni di comando nell’amministrazione imperiale. Il suo orientamento, che si concretizzò nella ripresa delle persecuzioni nella parte orientale dell’impero, spinse Costantino a intervenire. Presentandosi ormai come strenuo difensore dei cristiani, nel 324 Costantino mosse guerra contro Licinio, lo sconfisse e ottenne così pieni poteri su tutto l’impero, riunendo nelle sue mani il controllo di Oriente e Occidente.

I benefici ai cristiani

Riunificato l’impero, Costantino si dedicò alla riforma dello Stato, basandone la riorganizzazione sull’inclusione dei cristiani nella struttura burocratica: i vertici dell’amministrazione e dell’esercito furono infatti assegnati a intellettuali e funzionari di estrazione cristiana. La valorizzazione del ruolo dei cristiani passò anche per altri provvedimenti, come gli importanti benefici economici e giuridici riconosciuti ai fedeli e ai membri della Chiesa: l’esenzione dal pagamento delle tasse per i sacerdoti e il riconoscimento giuridico delle sentenze sulle controversie tra i fedeli emesse da tribunali composti esclusivamente da membri della Chiesa. L’integrazione tra il potere imperiale e la religione cristiana fu consolidata anche dal riconoscimento, da parte dello Stato, delle suddivisioni territoriali ecclesiastiche, le circoscrizioni, ricalcate sulle diocesi e sulle province che erano state introdotte da Diocleziano. Esse erano sottoposte al controllo dei vescovi, la cui autorità era appunto riconosciuta anche dal potere politico imperiale.
In seguito a queste riforme, i funzionari posti ai vertici della burocrazia divennero sempre più influenti, trasformandosi progressivamente in un’élite sociale che trasmetteva i propri privilegi per via ereditaria.
L’esercito fu inoltre rafforzato dall’ingresso nelle sue file dei popoli germanici già presenti nei confini imperiali, mentre venne limitato il potere dei pretoriani, che avevano spesso promosso congiure e sanguinose lotte per il potere.

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Le riforme economiche

Costantino attuò inoltre alcune riforme economiche, con l’introduzione di tasse quinquennali sulle attività agricole e artigianali e, soprattutto, l’emissione di una nuova moneta d’oro, il solidus (da cui deriverà la parola “soldo”). Con essa si ancorava quasi tutto il sistema economico a una moneta a base esclusivamente aurea, a differenza dei periodi precedenti. La nuova moneta – che sarebbe rimasta in circolazione nei secoli successivi – sostenne gli scambi commerciali, colpiti dai processi inflattivi dei decenni precedenti.
Allo stesso tempo, però, la presenza sul mercato di una moneta “forte” aggravò la svalutazione di quelle emesse in precedenza, che avevano una ridotta percentuale di metallo prezioso e quindi un valore inferiore.

Costantinopoli, la nuova capitale dell’impero

Tra le riforme di Costantino vi fu anche il trasferimento della capitale imperiale da Roma a Bisanzio, che egli ribattezzò Costantinopoli (“città di Costantino”), nel 330. La fondazione della nuova capitale rispondeva in primo luogo all’obiettivo dell’imperatore di mostrare l’eternità della sua grandezza, ma aveva anche altri scopi. Le ragioni del trasferimento erano infatti di natura economica, strategica e politico-religiosa.
Come abbiamo visto, i principali traffici commerciali dell’impero coinvolgevano in modo sempre più esclusivo le zone orientali, mentre l’Occidente, e l’Italia in particolare, si trovavano in una fase di profondo declino economico. La posizione geografica di Costantinopoli favoriva un più efficiente controllo sulle attività mercantili, che garantivano entrate fondamentali per il bilancio statale. Meglio difendibile, rispetto a Roma o a Milano, dalle minacce dei popoli che premevano lungo i confini dell’Europa centrale, Costantinopoli garantiva una maggiore sicurezza alla sede imperiale. Infine, il trasferimento della capitale eliminava i rischi di congiure politiche organizzate dalla nobiltà romana, ostile all’imperatore perché contraria alle concessioni che Costantino aveva accordato ai cristiani.
L’intenzione di Costantino, che in questo si mostrava continuatore della politica riformatrice di Diocleziano, era di rendere la capitale il centro amministrativo dell’impero dove potessero risiedere, accanto all’imperatore, un permanente consiglio di corte, il capo dell’amministrazione, il capo della burocrazia, i funzionari che dirigevano gli uffici finanziari e tutto il numeroso personale connesso a questi organi.
Lo spostamento della capitale finì però anche per comportare un profondo cambiamento culturale, con la progressiva adozione di cerimoniali e stili di corte sempre più vicini a quelli delle monarchie orientali. Inoltre, dal momento che nelle regioni orientali si parlava il greco, esso divenne la lingua ufficiale dell’impero.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille