Capitolo 26 - La divisione dell’impero

Capitolo 26 LA DIVISIONE DELL’IMPERO

i concetti chiave
  • L’impero è di fatto diviso: le regioni occidentali sono impoverite e pressate dalle incursioni dei Germani mentre la parte orientale è più protetta e solida economicamente
  • Diocleziano (285-305) cerca la stabilità: tetrarchia con due Augusti e due Cesari che governano le quattro parti dell’impero; riforma militare e amministrativa
  • La crisi accelera la trasformazione dell’economia: grandi proprietà terriere autosufficienti; i coloni si affidano sempre più al patronato, diventando servi della gleba
  • Con l’editto di Milano (313) Costantino concede libertà di culto ai cristiani, individuati come sostegno al suo potere; nel 324 riunifica l’impero e porta a Bisanzio la capitale, rinominandola Costantinopoli (330): il greco diventa la lingua dell’impero
  • Roma perde prestigio politico e ne acquista sul piano spirituale: il vescovo di Roma, il papa, è la guida della Chiesa, che assume anche funzioni sociali ed economiche
  • Di fronte a nuove incursioni germaniche, Valente consente insediamenti pacifici entro i confini dell’impero; Teodosio accoglie i Visigoti nei Balcani
  • Con l’editto di Tessalonica (380) Teodosio proclama il cristianesimo religione ufficiale e unica dell’impero; i pagani sono perseguitati
  • La divisione dell’impero tra Onorio e Arcadio crea due entità territoriali distinte (395)

L’AMBIENTE E LE RISORSE

L’inesorabile declino dell’Occidente

La crisi dell’impero romano, iniziata nel II secolo d.C., fu aggravata in quello successivo da molti fattori: la debolezza istituzionale, le difficoltà economiche, i confini assai estesi e sempre meno stabili e l’aumento delle migrazioni dei popoli germanici (le vedremo in dettaglio nel capitolo 27), che da tempo premevano alle frontiere settentrionali e orientali dell’impero. Nel corso del IV secolo si profilarono inoltre nuovi equilibri tra le regioni occidentali e quelle orientali del Mediterraneo, che mostrarono fisionomie politiche ed economiche sempre più separate.

Oriente e Occidente: l’impero “a due velocità”

La crisi economica e politica aveva indebolito l’impero: i confini, come accennato, erano sempre più insicuri, anche perché il precario bilancio statale non concedeva la possibilità di finanziare adeguatamente il presidio delle frontiere. Nel IV secolo l’impero era ormai diviso in due zone ben distinte: nelle province orientali le condizioni di vita della popolazione, meno soggette a saccheggi nelle campagne e nelle città, erano nettamente migliori rispetto a quelle delle regioni occidentali e della penisola italica, colpite dalle frequenti incursioni da parte dei popoli germanici. L’Oriente romano era inoltre favorito dalla sua posizione geografica, in quanto punto di snodo delle comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente. La via della seta, in particolare, continuava a garantire l’approvvigionamento di beni preziosi, rivenduti a prezzi elevati in tutto l’impero. Assai peggiori erano invece le condizioni delle regioni occidentali. Qui, il commercio con i popoli germanici si limitava allo scambio di materie prime reperibili anche in altri mercati (come il ferro, che abbondava in Oriente), a prodotti dallo scarso valore aggiunto (come le pelli animali) e, in parte, al commercio dell’ambra, che proveniva dalle regioni baltiche, arrivava ad Aquileia dove veniva lavorata e poi giungeva a Roma dove era per lo più usata come profumatore. La parte occidentale dell’impero dipendeva dunque dall’Oriente, da cui importava prodotti pregiati. Questo quadro commerciale determinò nel lungo periodo un fortissimo squilibrio finanziario a favore dell’Oriente, verso cui affluivano i metalli preziosi scambiati dall’Occidente con le merci importate.
Il declino economico dell’Occidente ebbe ovviamente ripercussioni sociali notevoli: i ceti mercantili e artigiani praticamente scomparvero, determinando il venir meno di una “classe media” che aveva avuto un ruolo importante nell’economia imperiale. Le disuguaglianze tra gli honestiores (i ricchi proprietari terrieri e i funzionari imperiali) e la massa degli humiliores (in cui rientrava tutto il resto della popolazione, ridotta in miseria) si accentuarono ancora di più.

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Bisanzio, la “nuova Roma” sempre più ricca

Tra le regioni orientali che trassero i maggiori benefici da questi nuovi equilibri vi fu la penisola anatolica (oggi parte della Turchia), a est della città di Bisanzio (l’odierna Istanbul). Del tutto risparmiata da incursioni di popolazioni bellicose, essa prosperò grazie alle intense attività mercantili con l’Oriente. Oltre alla via della seta, una delle principali vie di comunicazione che collegava il Mediterraneo con l’Asia centrale era infatti la via scitica (il cui nome deriva dagli Sciti, la popolazione nomade che anticamente abitava le steppe asiatiche presenti sul suo tragitto). Entrambi i percorsi confluivano a Bisanzio (l’attuale Istanbul, in Turchia), che si trovava inoltre all’incrocio tra le vie marittime che collegavano l’Egeo e il mar Nero, sulle rive del Bosforo. La città poteva dunque controllare la maggior parte dei commerci che passava lungo questi percorsi. Si trattava di traffici di merci preziose e ricercate (profumi, gioielli, spezie e tessuti pregiati) che provenivano dall’Asia e soddisfacevano la domanda di beni di lusso delle classi sociali più ricche delle regioni occidentali del Mediterraneo.
Questi commerci garantirono enormi guadagni ai mercanti di Bisanzio, che in breve tempo divenne una delle città più prospere dell’impero, mettendo definitivamente in ombra la penisola italica e Roma.

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Nel cuore della STORIA

La seta: un tessuto prezioso dall’anima segreta

La via della seta (termine coniato dal geografo tedesco Ferdinand von Richthofen nel 1877) indicava l’intrico di percorsi che portavano la seta dalla Cina all’Occidente e, più in generale, che collegavano Estremo Oriente e Occidente: dalla città di Chang’an, attraverso il deserto del Taklamakan, la città di Kashgar e poi il Pamir e l’Afghanistan, portava al porto trafficatissimo di Antiochia.
Della sua storia sappiamo, grazie all’annalistica dinastica cinese, che ebbe un inizio attorno alla metà del II secolo a.C. con vicende che talora hanno un sapore leggendario. Nel primo documento noto (Annali Han) si dice, per esempio, che «il re di Ta-ch’in [o Da Qin, così era detta Roma] desiderava da lungo tempo inviare un’ambasciata in Cina, ma siccome i Parti vogliono avere seta cinese per rivenderla a quelli di Ta-ch’in, bloccano la via in modo da rendergli impossibili le comunicazioni dirette». Probabilmente nessun romano arrivò mai in Cina, inoltre a limitare e a mediare il contatto diretto vi erano i Parti Arsacidi e poi i Sasanidi, loro successori, spesso in conflitto con i Romani.

Il misterioso tessuto compare in Grecia

Proprio attraverso i Persiani la seta arrivò in Grecia: tra i primi a citarla in uno scritto vi fu il filosofo Aristotele. Di questo prezioso tessuto però circolavano soprattutto immagini favolistiche. Virgilio, nelle Georgiche, scrisse che la seta era prodotta da un albero e raccolta con un pettine; Plinio il Vecchio confermò: «Staccano una peluria bianca dalle foglie e la innaffiano; le donne quindi eseguono il doppio lavoro di dipanarla e di tesserla». La produzione della seta infatti fu a lungo un segreto custodito gelosamente che sarà svelato solo alla corte di Giustiniano a Bisanzio nel VI secolo d.C.: alcuni monaci viaggiatori erano infatti riusciti a comprendere come allevare i bachi e l’arte complessa di estrarne la seta.

La seta a Roma: un oggetto di culto

A Roma il prezioso tessuto fece la sua comparsa nel II secolo a.C.: la terra da cui proveniva fu chiamata Serica, Terra della seta, e i suoi abitanti Seres. L’uso della seta si diffuse rapidamente tra i ricchi romani e nel 16 d.C. il senato, sotto l’imperatore Tiberio, ne vietò l’uso per gli uomini, dato il suo costo elevatissimo; successivamente, Seneca arrivò persino ad associarne l’utilizzo alla decadenza dei costumi. La seta era diventata dunque un oggetto di culto per la nobiltà romana: indossarne un capo significava essere “alla moda”, sfoggiare lusso e mondanità. Certo la passione per la seta costò assai cara all’impero: il tessuto era raro e prezioso e l’importazione delle pezze per contro significava un flusso di oro e di denaro che viaggiava costantemente da Roma verso la Cina. La crisi del III secolo, con il rallentamento delle attività economiche, vide man mano diminuire anche l’arrivo della seta, che però tornò a essere presente nella penisola dal XII secolo, quando cominciò a essere prodotta a livello locale, splendida e preziosa come quella che per secoli era giunta dalla Cina.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille