Capitolo 21 - La costruzione e il consolidamento dell’impero

Capitolo 21 LA COSTRUZIONE E IL CONSOLIDAMENTO DELL’IMPERO

i concetti chiave
  • Pax augustea: il lungo periodo di pace sotto Ottaviano Augusto favorisce lo sviluppo dei commerci, dell’agricoltura e delle città
  • A Roma affluiscono grandi quantità di prodotti delle province, sempre più concorrenziali
  • Ottaviano mantiene formalmente le istituzioni repubblicane, ma accentra su di sé poteri sempre maggiori
  • L’amministrazione pubblica viene riorganizzata con cariche affidate prevalentemente a persone di fiducia dell’imperatore
  • L’impero viene suddiviso in regioni e province; viene riorganizzato il sistema di riscossione dei tributi e l’esercito
  • Conflitti ai confini: accordo con i Parti e nuove conquiste, ma limiti all’espansione in Nord Africa e contro i Germani
  • Il circolo culturale di Mecenate accoglie intellettuali e poeti, tra cui Virgilio, Orazio, Tito Livio: nasce la cultura dell’impero

L’AMBIENTE E LE RISORSE

Roma al centro del Mediterraneo

Nel I secolo d.C. Roma consolidò la propria egemonia sui territori conquistati, assumendo il controllo del Mediterraneo e il dominio sulle coste grazie alla presenza delle legioni e al presidio della flotta. Tale supremazia diede avvio a un periodo di pace all’interno del mondo romano, destinato a durare oltre due secoli. Ciò permise un intenso sviluppo economico: l’assenza di nuove guerre, infatti, favorì i commerci, che fiorirono anche grazie a una rete di strade sempre più sicure in grado di collegare tutte le province e, sul mare, alla protezione dalle incursioni dei pirati garantita dalle navi militari. Il Mediterraneo si trasformò dunque in un unico grande mercato con al centro Roma, verso la quale confluivano grandi ricchezze provenienti dalle province.

Lo sviluppo urbano: una rete di città per stabilizzare il potere

Le vie di comunicazione permisero una circolazione di merci e denari (e con essi, di persone, culture, idee e conoscenze) sempre più agevole e veloce: ciò favorì lo sviluppo dei commerci che, a loro volta, costituirono un importante stimolo per i consumi e per l’incremento della produzione agricola e artigianale, in un processo che coinvolse tutte le province romane.
Roma, soprattutto durante il periodo del principato di Augusto, puntò sulle città come centri amministrativi, militari, commerciali e ne garantì di conseguenza la crescita. La capitale in età augustea contava oltre un milione di abitanti, mentre Alessandria d’Egitto e Antiochia – rispettivamente seconda e terza città dell’impero – raggiunsero una popolazione di quasi 300 000 abitanti. Una decina di città, poi, tra cui Marsiglia, Tarragona, Cartagine, Smirne ed Efeso, superavano i 100 000 abitanti, mentre la stragrande maggioranza si attestava intorno ai 10 000.
La rete urbana che faceva perno su Roma era formata sia da centri di lunga tradizione sia da colonie di recente fondazione, spesso popolate con legionari congedati dall’esercito, oppure da avamposti militari fortificati, come Augusta Taurinorum (Torino), Bonna (Bonn), Vindobona (Vienna).
Questa urbanizzazione diffusa rispondeva a esigenze ben precise: grazie al coinvolgimento delle élite locali e alla concentrazione delle truppe, le città più forti consentivano un controllo migliore del territorio. In più, esse favorivano il commercio, poiché da una parte rappresentavano il vero fulcro degli scambi, dove confluivano i prodotti agricoli, artigianali, commerciali, e dall’altra assumevano, il ruolo di centri di produzione artigianale e di centri culturali. Le realtà urbane, accomunate dagli stessi interessi sociali, economici, culturali, intensificarono così i rapporti politici e diplomatici, instaurando o rafforzando alleanze: si diffondevano insomma i costumi e i valori dell’ urbanitas romana.
Anche le opere pubbliche edificate nelle province testimoniavano lo sviluppo della società romana del I secolo d.C.: strade, acquedotti, ponti e mura difensive trasformarono il paesaggio dei territori conquistati, mentre nelle città sorsero imponenti edifici pubblici, come i fori, gli impianti termali, gli anfiteatri e i circhi per gli spettacoli.

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Il Foro di Roma, il centro della vita pubblica

Il Foro era uno dei luoghi più rappresentativi e frequentati del mondo romano, centro della vita politica, degli affari, del mercato. Fino all’età imperiale, il Foro era anche uno dei luoghi più prestigiosi della capitale. Cambiò aspetto più volte, fino ad acquisire quello monumentale di cui abbiamo ancora oggi testimonianza. Nel Foro vi era la tribuna oratoria (rostra) dalla quale gli oratori arringavano la folla (proprio da questa tribuna celebrò la sua orazione Marco Antonio dopo l’assassinio di Cesare), luogo importante che Ottaviano farà ulteriormente ampliare. Nel Foro erano inoltre collocate la Curia, sede del senato, il santuario di Saturno che custodiva il patrimonio dello Stato, il tempio circolare di Vesta, la dimora del Pontifex maximus, il tribunale. Al mattino vi si affollavano uomini politici in toga, cambiavalute, avvocati, magistrati, mentre al pomeriggio era più frequentato dalle classi popolari. Accanto al Foro si sviluppava il reticolo dei mercati, vivaci e sempre molto animati.

Le nuove direttrici della produzione agricola

L’intenso sviluppo della rete di città, favorito dall’espansione economica imperiale, sollecitò la produzione agricola delle campagne, che ebbe uno sviluppo altrettanto importante di quello urbano. Le guerre civili, con il frazionamento dei patrimoni terrieri voluto prima da Cesare e poi da Ottaviano per distribuire terre ai veterani e mantenere il consenso del ceto contadino, avevano comportato una netta riduzione dei latifondi, con il conseguente indebolimento del potere economico e sociale dei grandi proprietari. A questo contribuì anche il minore afflusso di schiavi dovuto all’arrestarsi dell’espansione territoriale, che aveva determinato una maggiore offerta di manodopera a bassissimo costo da impiegare proprio nei latifondi.
La crescita dell’economia agricola, partendo da questi presupposti, avvenne nei secoli del principato seguendo tre direttrici.

  • La messa a coltura di nuove terre. Dal momento che vi erano in abbondanza appezzamenti tenuti incolti, una parte di essi rimase destinata all’allevamento e alla transumanza, mentre altre porzioni di territorio coltivabile furono progressivamente destinate alla produzione, come la fertile pianura attorno al Po, oppure quella a sud del Danubio, o ancora le terre dell’Africa settentrionale e quelle siriane.
  • La maggior attenzione per le tecniche di coltivazione e per l’organizzazione e gestione della produzione. I trattati di agronomia di Varrone, Columella e Plinio il Vecchio (scrittori e letterati romani attivi nel I secolo d.C.) sono la dimostrazione del crescente interesse dei proprietari terrieri non solo per il possesso delle terre in sé, ma anche per la loro capacità di resa. La tecnologia agricola in epoca imperiale si perfezionò e si specializzò attraverso numerose innovazioni: nell’Alto Reno per esempio venne introdotto l’aratro a ruote; venne migliorato l’ erpice, strumento per spianare i terreni; entrò nell’uso la mietitrice che separava la paglia dal grano, diffusa soprattutto nella Gallia nord-occidentale. Con tali innovazioni, a un’agricoltura di tipo essenzialmente estensivo se ne affiancava una maggiormente intensiva che richiedeva una minore manodopera.
  • La sperimentazione di nuove colture. Accanto al grano, la cui produzione si estese dalla Sicilia alla Siria e alla Tunisia, comparvero maggiori varietà di legumi, come per esempio ceci, lupini, fave e lenticchie rosse, che entrarono sempre più nell’alimentazione e contribuirono a migliorarne anche la qualità, poiché erano più economici della carne ed erano ricchi di proteine. Tutt’oggi questi legumi, che nei secoli sono stati migliorati e selezionati, costituiscono eccellenze nella produzione agricola italiana.
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La vivacità produttiva delle province

La ricchezza della penisola italica e della sua capitale, Roma, dipendeva sempre più dalla grande quantità di merci prodotte ed esportate dai territori delle province. Dalle miniere della penisola iberica continuavano ad affluire verso l’Italia grandi quantità di minerali (argento, oro, ferro, piombo, rame e stagno), usati come materie prime dagli artigiani italici. Dall’Europa centrale giungevano pelli, bestiame e schiavi. Dalle terre affacciate sul mar Baltico proveniva l’ambra (materiale costituito dalla resina fossile delle conifere diffuse in quelle regioni), importata per la realizzazione di manufatti pregiati. Dall’Egitto, vero e proprio “granaio” di Roma, venivano importate grandi quantità di cereali, mentre dal resto dell’Africa settentrionale giungevano avorio, oro, incenso e schiavi, insieme agli animali feroci (per esempio i leoni) catturati per essere utilizzati negli spettacoli pubblici.
Anche i contatti commerciali con i popoli che vivevano oltre i confini dei territori sottomessi da Roma si intensificarono. Dalle isole britanniche affluivano nel Mediterraneo grandi quantità di stagno e ferro; dall’Asia si importavano gioielli e profumi, molto ricercati dai ceti più ricchi, insieme a tessuti di lana, di lino e di seta, quest’ultima proveniente dalla Cina attraverso il lungo percorso della via della seta.
La penisola italica si trovava al centro della vasta rete stradale, fluviale e marittima che collegava l’  ecumene romana, e godette in modo particolare dei benefici derivanti dall’incremento degli scambi commerciali. Le risorse provenienti dalle province sotto forma di tributi, di beni alimentari e di merci di varia natura erano utilizzate, tra l’altro, per finanziare le elargizioni pubbliche organizzate dalle autorità statali. Grazie a questo afflusso massiccio, Roma garantiva il sostentamento di una popolazione in costante aumento e soddisfaceva la domanda di beni di lusso della classe dirigente e dell’aristocrazia urbana.

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La crescente debolezza economica della penisola

L’operosità delle province non era però soltanto fonte di ricchezza per Roma, poiché in prospettiva rappresentava anche una minaccia per l’economia della penisola. Nella produzione agricola la concorrenza delle province occidentali cominciò infatti a pesare: la coltivazione della vite e dell’ulivo, per esempio, si diffuse con successo in Spagna e nella Gallia, le quali, grazie a costi di produzione più contenuti, superarono progressivamente l’Italia nell’esportazione di vino e olio.
L’artigianato italico cominciò a decadere a causa dell’espansione delle attività manifatturiere della Gallia, i cui artigiani erano particolarmente abili nella produzione di oggetti di vetro e di ceramica, in concorrenza con la medesima produzione in Campania. La crescita economica della provincia gallica fu favorita anche dalla presenza di importanti fiumi navigabili, da tempo utilizzati come via di comunicazione per i commerci, e dalla presenza di numerose legioni che, stanziate a difesa dei confini minacciati dalle popolazioni nomadi dell’Europa centrale, necessitavano di ingenti rifornimenti e contribuivano quindi a stimolare la produzione agricola e artigianale di tutta l’area.
La concorrenza delle province era favorita anche da fattori economici interni alla penisola. La ricchezza e il lusso che caratterizzarono la vita di Roma e di molte altre città italiche a partire dal I secolo d.C. contribuirono infatti a far aumentare i prezzi delle merci (fenomeno che prenderà il nome di inflazione) e il costo della vita. Nelle province, invece, le materie prime e la manodopera mantennero costi più bassi e, di conseguenza, i manufatti prodotti in quelle aree continuarono a essere messi in commercio a prezzi più convenienti di quelli realizzati dagli artigiani italici.

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Oro e argento dalla penisola verso le province

Per pagare le merci importate, una grande quantità di oro e di argento, sotto forma di monete e metalli preziosi, era continuamente trasferita dall’Italia verso le province: al flusso delle merci in ingresso, in altre parole, faceva riscontro un flusso di pari valore in uscita. Una testimonianza materiale di questo fenomeno è stata fornita dagli scavi archeologici condotti nel secolo scorso a Ostia, il porto di Roma, nel quale attraccavano le navi che rifornivano la città. Attraverso l’analisi dei resti delle anfore, sulle quali erano impressi sigilli che permettono di risalire alle loro zone di provenienza, emerge una traccia evidente dell’inversione dei traffici commerciali: a partire dal I secolo d.C. si nota la progressiva diminuzione dei recipienti per le merci prodotte nella penisola italica, che in età repubblicana manteneva il monopolio commerciale, e l’aumento di quelli realizzati nelle province, in particolare in Spagna e in Gallia.
Nel corso dei secoli questo fenomeno avrebbe assunto dimensioni sempre più rilevanti, soprattutto in seguito all’aumento dei traffici commerciali con l’Oriente, dal quale, come abbiamo visto, giungevano merci preziose che venivano pagate con grandi quantità di oro. Ciò avrebbe determinato una forte diminuzione delle riserve di metalli preziosi a Roma e nel resto d’Italia, contribuendo alla perdita, da parte della penisola, dell’egemonia economica.

1. Ottaviano al potere: nasce il principato

Dopo aver sconfitto Antonio, il suo ultimo rivale, nella battaglia di Azio (31 a.C.), Ottaviano raggiunse una posizione di potere straordinaria, mai occupata a Roma da nessun altro personaggio politico. A una autorità illimitata in politica interna egli unì il dominio incontrastato di Roma sul Mediterraneo. Pur presentandosi come il “restauratore” della repubblica, di cui mantenne formalmente tutte le magistrature, egli creò infatti un nuovo modello istituzionale, il principato.
Durante le guerre civili la nobiltà senatoria, che per decenni aveva costituito l’unica opposizione ai tentativi autoritari attuati dai generali dell’esercito – protagonisti della scena politica e militare da oltre mezzo secolo –, aveva perso gran parte della sua influenza, mutando radicalmente il contesto politico. Il senato era ora composto in prevalenza da uomini scelti da Ottaviano o comunque incapaci di contrastarlo; egli inoltre era riuscito a ottenere anche il consenso di gran parte della popolazione, presentandosi come il custode della concordia civile all’interno dello Stato e il garante di un periodo di pace che, dopo secoli di guerre, avrebbe favorito la prosperità di Roma.
Alla fine del I secolo a.C., dunque, Ottaviano teneva saldamente nelle proprie mani il potere militare, politico e religioso. La sua autorità era ormai paragonabile a quella detenuta dai sovrani ellenistici e infatti, tra i suoi successori, per definire le caratteristiche dello Stato romano si sarebbe affermata la denominazione di “impero” (imperium): il termine definiva in origine il comando militare e già da tempo indicava il dominio che Roma aveva stabilito nel Mediterraneo, ma, da Ottaviano in poi, esso passò a esprimere un potere assoluto esteso sulle questioni di politica interna ed estera e su tutti gli aspetti della vita sociale.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille