1 - La centralizzazione del potere all’origine di una storia millenaria

Unità 3 ACQUE E TERRA: EGITTO E PALESTINA >> Capitolo 5 – L’Egitto: tre millenni di civiltà

1. La centralizzazione del potere all’origine di una storia millenaria

Le caratteristiche peculiari della valle del Nilo spiegano la straordinaria continuità culturale e politica che la civiltà egizia ha mantenuto per quasi tre millenni, nonostante l’avvicendamento di molte dinastie di sovrani. Come abbiamo visto, da un lato la presenza di un fiume facilmente navigabile favoriva gli scambi commerciali e i contatti culturali, dall’altro il deserto costituiva una barriera naturale che, al contrario di quanto era avvenuto in Mesopotamia, preservò l’Egitto dalle invasioni dei popoli stranieri per gran parte della sua storia. Testimonianza architettonica di questo relativo isolamento dei centri urbani è l’assenza di mura difensive.
Isolate dalle altre popolazioni, le città egizie non erano però indipendenti e in lotta tra loro (come era accaduto ai Sumeri), ma si riunirono in grandi organismi statali, strutture amministrative e di potere che controllavano territori più vasti di quelli governati dalle città-Stato sumere. L’azione di coordinamento svolta da queste amministrazioni statali si rivelò efficace e consentì il progresso economico delle comunità. A sua volta, la prosperità economica assicurò un ampio consenso, da parte della popolazione, verso chi deteneva il potere, favorendo il processo che nei secoli successivi avrebbe portato in Egitto alla formazione di un potere centrale unico.

• SOTTO LA LENTE • CIVILTÀ

Le antiche civiltà idrauliche asiatiche: India e Cina

La nascita e lo sviluppo di civiltà idrauliche non hanno riguardato solo l’area mesopotamica ed egizia, ma anche l’Estremo Oriente.

Lungo il fiume Indo
Nel corso del III millennio a.C. sorse un’importante civiltà presso il fiume Indo, nella parte nordoccidentale del subcontinente indiano (attuale Pakistan). In quest’area, grazie ai commerci che si erano sviluppati con la civiltà sumera, si diffusero sia la coltivazione dei cereali, sia le tecniche di regolazione delle acque per lo sfruttamento dei bacini fluviali.
Il livello di sviluppo raggiunto dalle popolazioni della valle dell’Indo è testimoniato dalla costruzione di importanti centri urbani, come Harappa e Mohenjo-Daro (quest’ultima oggi inserita dall’Unesco nei siti considerati patrimonio dell’umanità), che avevano caratteristiche simili a quelle delle città nate in Mesopotamia a opera dei Sumeri. Fioriti in un periodo compreso tra il 2300 e il 1700 a.C., questi centri urbani erano dotati di fortezze protette da ampie mura e di acquedotti che portavano le acque all’interno delle zone abitate.

La “terra gialla” e l’impero Shang
Anche in Cina, nella valle del Fiume Giallo, nel III millennio a.C. sorse una ricca civiltà, il cui sviluppo venne favorito dalla fertilità delle terre nei pressi del bacino fluviale. L’espansione agricola fu infatti sostenuta dalla presenza di un elemento naturale molto particolare: il löss. Questo termine di origine tedesca indica una polvere finissima di colore giallo chiaro, simile alla sabbia, che gli antichi cinesi chiamavano huang tu, “terra gialla”. I venti la trasportavano dai deserti e dalle steppe dell’Asia centrale fino alle rive del Fiume Giallo (Huang He), che prendeva il nome proprio dalla colorazione di questa polvere. Nella stagione delle piogge, il löss formava un fango melmoso che ostruiva il passaggio del fiume e ne provocava lo straripamento. In questo modo i terreni circostanti venivano coperti dalle sue acque ricche di sostanze fertilizzanti. Una volta prosciugati, i campi erano pronti per essere coltivati con i cereali tipici di queste zone, soprattutto il miglio e il riso.
Nel corso dei millenni, le opere idrauliche che consentirono di evitare le piene rovinose del grande Fiume Giallo permisero l’affermazione di una civiltà molto organizzata e prospera: l’impero Shang, dal nome della dinastia che nel II millennio a.C. estese il proprio dominio su gran parte della Cina settentrionale.

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L’Egitto predinastico e l’unificazione (3100-2600 a.C.)

Le prime organizzazioni statali della valle del Nilo sorsero verso la fine del IV millennio a.C. Il territorio era allora diviso in due regni: il basso Egitto, a nord, che amministrava il basso corso del Nilo, l’alto Egitto, a sud, che controllava l’alto corso del fiume. Il basso Egitto era caratterizzato dalla presenza del delta del fiume, da ampie e fertili pianure e dallo sbocco sul mare: le sue principali risorse erano dunque la produzione di cereali e gli scambi commerciali con le città del Vicino Oriente, che avvenivano via mare e lungo le piste carovaniere tracciate attraverso il deserto del Sinai fin dall’epoca neolitica. La ricchezza dell’alto Egitto, invece, consisteva nella presenza di miniere di oro e di pietre preziose, oltre che nella coltivazione di cereali praticata lungo il fiume.
La fase storica in cui il territorio rimase diviso in alto e basso Egitto è stata definita periodo predinastico, cioè precedente all’affermazione delle dinastie dei faraoni, i sovrani che avrebbero segnato la storia della civiltà egizia nei millenni successivi.
Tra il IV e il III millennio a.C. alto e basso Egitto furono unificati sotto un unico potere, che la tradizione attribuisce al leggendario faraone Menes, identificato dagli storici in un personaggio realmente esistito, il sovrano Narmer. A partire da questo periodo si affermò anche la consuetudine, da parte del sovrano, di trasmettere il potere ai suoi discendenti. Iniziò così la serie di dinastie che ha caratterizzato la storia dell’antico Egitto sino alla fine del I millennio a.C.

L’organizzazione sociale

La struttura sociale del regno egizio in seguito all’unificazione era in gran parte simile a quella delle città-Stato mesopotamiche. Al vertice vi era un sovrano assoluto, il faraone, coadiuvato dalla classe sacerdotale (di cui facevano parte scribi e funzionari), che amministrava l’economia statale e occupava i ruoli più importanti nella società.
L’amministrazione del regno remunerava con i cereali conservati nei magazzini il lavoro svolto dai gruppi sociali gerarchicamente subordinati: i guerrieri, gli artigiani, i mercanti e i contadini. Questi ultimi costituivano la classe sociale più numerosa e garantivano il sostentamento di tutta la popolazione grazie al loro lavoro nei campi. Essi coltivavano le terre del faraone, ma potevano anche ottenere porzioni di terra in affitto per il proprio sostentamento.
Un ruolo di rilievo era svolto dagli scribi, funzionari che sapevano leggere e scrivere e quindi possedevano uno strumento fondamentale per l’organizzazione dello Stato: lavorando negli apparati burocratici, essi infatti compilavano documenti, stilavano atti relativi a ogni genere di transazione economica e registravano le attività che si svolgevano nel regno. Grazie alla scrittura, gli scribi hanno compilato cronache e registrato eventi che hanno permesso agli storici di venire a conoscenza di notizie fondamentali sulla civiltà egizia.
All’ultimo posto della scala sociale si trovavano gli schiavi, per lo più prigionieri di guerra, impiegati dai loro padroni per i lavori più umili. Tuttavia essi erano generalmente trattati con rispetto, purché non cercassero di fuggire, altrimenti erano passibili di condanna a morte.

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TESTIMONIANZE DELLA STORIA

ESSERE SCRIBA: IL PRIVILEGIO DEL SAPERE

Nel testo qui riportato possiamo cogliere accenni e testimonianze sulla struttura del potere nell’antico Egitto. Come abbiamo visto, ai vertici della piramide sociale c’era il faraone: egli aveva il sostegno e l’appoggio della classe sacerdotale, che in cambio riceveva grandi privilegi.
Sul secondo gradino della piramide si collocavano gli scribi, coloro che possedevano ed esercitavano lo strumento della scrittura, unici detentori della cultura e per questo fortemente privilegiati. Essi trasmettevano il sapere in apposite scuole, che per un certo periodo, al fine di mantenere il sapere all’interno della classe sacerdotale, erano riservate ai soli scribi. Ecco perché un padre incita ed esorta il figlio affinché accetti di studiare da scriba, consapevole dei privilegi che egli potrebbe un giorno raggiungere.



“Io ho conosciuto fatiche, ma tu devi dedicarti allo scrivere, perché ho visto chi è libero dal suo lavoro [lo scriba]: ecco, non c’è nulla più utile dei libri […].
Farò in modo che tu ami i libri più che tua madre; ti metterò davanti agli occhi la sua bellezza: è davvero più grande che ogni professione, non esiste il suo simile in questo Paese. (Lo scriba) ha appena cominciato a fiorire, è ancora bambino, e già lo salutano, lo si manda come messaggero, e non ritorna per mettersi in abito da lavoro. Non ho visto uno scalpellino (inviato) come messaggero, non viene mandato un orefice. Ma ho visto il fabbro al suo lavoro, alla bocca della sua fornace: le sue dita sono come [pelle] di coccodrillo, puzza più che le uova di pesce. Ogni falegname tiene lo scalpello, è più stanco dello zappatore: il suo campo è il legno, la sua zappa il bulino di rame. Di notte è stanco morto, perché ha fatto più di quello che potevano fare le sue braccia, e anche di notte vi è luce1. […]
Il contadino si lamenta eternamente, la sua voce è più alta di quella del corvo […], egli si affatica in mezzo ai pantani ed è sempre stracciato. Egli sta bene come si sta bene tra i leoni: la frusta è dolorosa contro di lui ed egli ne soffre; quando esce di là, dalle campagne arriva a sera a casa sua, lo ha spossato il viaggio [fino a casa]. […]
Ecco, non esiste alcun mestiere senza qualcuno che dia ordini eccetto quello di scriba, perché è lui che dà ordini. Se saprai scrivere, starai meglio che nei mestieri che ti ho messo davanti.
Ecco, è compagno della sua propria miseria [ogni altro mestiere], mentre non si dice “contadino” a un tale uomo [lo scriba].”


L. Giacone, Il potere politico nel mondo antico, Sei, Torino 1983



1. vi è luce: lavora.


PER FISSARE I CONCETTI
  • Quali professioni cita l’autore e in quale rapporto sono con il mestiere di scriba?
  • Perché la scrittura riveste un ruolo così importante?

Il potere dei faraoni e dei sacerdoti

Il potere centrale del faraone derivava dal suo essere depositario delle conoscenze idrauliche necessarie a garantire la prosperità al popolo egizio. Per questo motivo egli era considerato una vera e propria divinità in terra. Il suo potere era assoluto, a lui spettava il controllo di ogni risorsa del regno, a partire dalle terre, che erano tutte di sua proprietà. Questa concezione del potere come proveniente direttamente dalla volontà degli dèi è il primo esempio di teocrazia.
I sacerdoti invece, oltre a celebrare i culti delle diverse divinità, amministravano le terre e registravano le entrate e le uscite delle merci custodite nei magazzini.
I membri di questo gruppo sociale, tramandando esclusivamente all’interno della loro cerchia le conoscenze necessarie a svolgere i compiti amministrativi, si garantivano di fatto il mantenimento dei propri privilegi all’ombra del potere assoluto del faraone. Quando il potere dello Stato era stabile, poiché una buona gestione dei lavori idraulici assicurava benessere a tutta la popolazione, essi davano il proprio consenso ai sovrani; quando invece le carestie o altri eventi negativi indebolivano l’autorità del faraone, essi rivendicavano l’autonomia dal potere centrale e minacciavano di rompere l’unità politica del regno creando piccoli Stati indipendenti. Questi contrasti favorirono ciclicamente lo scoppio di numerose guerre civili, che portarono all’alternanza di molte dinastie di faraoni.

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2. Dall’Antico Regno al Nuovo Regno (2600-1070 a.C.)

La lunga storia della civiltà egizia è tradizionalmente suddivisa dagli storici moderni in tre grandi periodi: l’Antico Regno (2600-2150 a.C. ca.), il Medio Regno (2050-1780 a.C. ca.) e il Nuovo Regno (1550-1070 a.C. ca.). A conclusione del primo e del secondo periodo seguirono fasi di crisi sociale e politica, definite genericamente periodi intermedi e caratterizzate dall’indebolimento del potere dei faraoni.

Le prime dinastie e i faraoni tebani

Il potere centrale dei faraoni si mantenne saldo durante tutto l’Antico Regno. La capitale era Menfi, nel basso Egitto, ma l’influenza dei faraoni si estese anche verso sud, attraverso l’espansione territoriale nelle regioni della Nubia (appartenenti all’attuale Sudan).
Il dispendio di risorse economiche richiesto dalle opere intraprese dai faraoni delle prime dinastie poteva essere sostenuto soltanto finché abbondanti raccolti avessero garantito la prosperità del regno. Lo dimostra il fatto che la siccità e le conseguenti carestie verificatesi intorno al 2200 a.C. provocarono la crisi dell’Antico Regno e la sua frammentazione in numerosi piccoli Stati, sotto la guida dei sacerdoti locali: segno della continua tensione tra il faraone e la classe sacerdotale che metteva a rischio l’integrità del regno. Iniziò dunque una fase di instabilità politica, caratterizzata dall’assenza di un potere centrale, che la storiografia ha definito primo periodo intermedio (2150-2050 a.C.).
Dai conflitti interni causati dalla crisi emerse una nuova dinastia, originaria di Tebe (alto Egitto): il re Montuhotep riunificò sotto il suo comando tutta la valle del Nilo e diede avvio al periodo noto come Medio Regno, durante il quale riprese vigore il potere del faraone. Per garantire l’approvvigionamento delle risorse economiche necessarie al funzionamento dell’apparato statale – cresciuto al punto che la produzione agricola non era più in grado di mantenerlo – i faraoni tebani promossero una nuova politica di espansione territoriale verso la Nubia, ricca di oro e legname, che scarseggiavano in Egitto, e la Siria, dove imposero pesanti tributi alle popolazioni locali ridotte in schiavitù. Aumentò anche la superficie coltivata, grazie alle annessioni territoriali e ad ampi lavori di bonifica.

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Il secondo periodo intermedio e la dominazione degli Hyksos

La prosperità del regno egizio e la sua estensione costituivano una grande attrazione per le popolazioni nomadi che vivevano ai suoi confini: già dagli inizi del II millennio a.C. infatti alcune tribù di pastori nomadi di origine semitica, provenienti dalla Palestina, si erano gradualmente infiltrate con le loro greggi nei territori egizi in cerca di aree più ricche di vegetazione. Fino a quando il potere dei faraoni tebani si mantenne saldo, queste tribù vissero ai margini della ricca società egizia. La situazione cambiò con la crisi del Medio Regno e l’inizio del cosiddetto secondo periodo intermedio (1780-1550 a.C.). Intorno al 1640 a.C., infatti, i capi nomadi, chiamati dagli Egizi heka-khesut (“re stranieri”), da cui derivò in lingua greca il termine Hyksos, approfittarono dell’indebolimento del potere centrale e dei disordini sociali che ne seguirono per sottomettere il nord dell’Egitto.
Il breve successo militare degli Hyksos fu in buona parte dovuto alle conoscenze che avevano appreso dalle popolazioni del Vicino Oriente, in particolare le tecniche per costruire armi in bronzo e l’uso dei cavalli per il traino dei carri da guerra.

La rinascita dell’Egitto e la successiva minaccia ittita

Gli Hyksos erano riusciti a imporre il proprio dominio soprattutto a causa della momentanea debolezza del potere centrale egizio. Infatti, non appena una nuova dinastia tebana prese il sopravvento, essi furono cacciati dai territori che avevano occupato e l’Egitto fu di nuovo riunificato sotto il controllo delle dinastie del Nuovo Regno, durante il quale per la prima volta nella millenaria civiltà egizia la carica di faraone fu rivestita da una donna, Hatshepsut (1473-1458 a.C.). I successivi faraoni, tra i quali i più noti sono Tutankhamon (1358-1349 a.C.) e Ramses II (1279-1213 a.C.), utilizzarono le innovazioni tecnologiche diffuse dagli Hyksos, come i veloci carri da guerra, per conquistare nuovi territori in Fenicia, Palestina e nel nord della Siria, sebbene quest’ultima campagna militare fosse stata bloccata a più riprese nella battaglia di Qadesh (1284 a.C.) da una nuova potenza proveniente dal Vicino Oriente: l’impero ittita.

La battaglia di Qadesh: né vincitori né vinti

In questo rilievo proveniente dal tempio di Abu Simbel il faraone Ramses II è raffigurato come un grande condottiero che travolge i nemici su un carro da guerra trainato da cavalli. La rappresentazione fa parte di una serie di decorazioni che il sovrano egizio fece incidere sulle pareti di numerosi templi dopo la battaglia di Qadesh, presentata come un grande successo per l’esercito egizio. In realtà, come è stato possibile ricostruire da numerosi documenti, l’esito degli scontri non fu decisivo: entrambi gli eserciti subirono gravissime perdite e le truppe ittite riuscirono a bloccare i tentativi di invasione della Siria da parte degli Egizi.
Queste raffigurazioni della battaglia costituiscono una delle più antiche forme di propaganda politica: esse miravano a diffondere la convinzione che l’esercito avesse ottenuto un’importante vittoria militare; Ramses II intendeva infatti in questo modo assicurarsi il sostegno della popolazione.

Il tentativo di una riforma religiosa con un significato politico

Durante il Nuovo Regno vi fu il tentativo di una riforma religiosa, che però ebbe breve durata. In opposizione al culto del dio Amon, il faraone Amenhotep IV (1352-1336 a.C.) cercò di imporre in tutto l’Egitto il culto di un’unica divinità: Aton, il dio Sole, cambiando anche il proprio nome in Akhenaton, che significa “spirito di Aton”. Il motivo di questo grande cambiamento nascondeva una necessità politica: con il passaggio dalla religione politeistica tradizionale a un culto monoteistico, rivolto cioè a un’unica divinità, il faraone cercava di ricondurre lo Stato sotto un unico potere centrale, e intendeva indebolire la classe sacerdotale, che ne minava la compattezza politica e sociale. Tuttavia alla sua morte i successori ripristinarono la religione politeistica tradizionale, e nei decenni successivi le tendenze autonomistiche promosse dai sacerdoti attraverso i culti locali indebolirono ulteriormente l’unità del regno.

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L’Egitto verso la decadenza

Intorno al 1200 a.C. tutti i territori che si affacciavano sulle coste del Mediterraneo subirono le scorrerie e le invasioni dei cosiddetti “popoli del mare”, che provenivano probabilmente dall’Egeo. L’Egitto, già indebolito da divisioni interne, fu colpito da una grave crisi economica e politica; i faraoni persero il controllo di tutti i territori stranieri che avevano occupato e i regni si frammentarono di nuovo in piccoli Stati locali che, nel corso del I millennio a.C., furono facilmente sottomessi da varie popolazioni straniere.
La crisi del regno egizio fu amplificata dalle trasformazioni economiche e politiche che sconvolsero gli equilibri del Vicino Oriente nei secoli successivi.
Il potere dell’amministrazione statale non era più in grado di controllare i commerci di lunga distanza e il regno dipendeva sempre più dai mercanti stranieri per l’approvvigionamento delle materie prime.
Nel 671 a.C. l’Egitto cadde sotto la dominazione assira e, dopo la breve riunificazione realizzata dal faraone Psammetico (657 a.C.) e da suo figlio Neco, fu definitivamente assoggettato dai Persiani nel 525 a.C., diventando, con Cambise II, una satrapia persiana.
La storia millenaria degli Egizi divenne così patrimonio dei conquistatori, che contribuirono a diffondere le loro conquiste culturali e tecnologiche in tutto il Vicino Oriente.

3. Cultura, scienza e religione nel mondo egizio

Il simbolo più maestoso e affascinante del ruolo dei faraoni nella società egizia sono i grandi monumenti funebri con i quali veniva celebrato il loro potere. Le tombe più note e meglio conservate sono le  piramidi dell’Antico Regno, fatte costruire nei pressi di Giza dai faraoni Cheope, Chefren e Micerino nel tempo in cui solidità politica e prosperità economica del regno permettevano l’impiego di ingenti riserve da parte dell’amministrazione statale.

Le piramidi: culto, potere e genio architettonico

Poiché i faraoni erano considerati divinità dai loro sudditi, la costruzione di questi enormi monumenti era una forma di culto a loro dedicata nella speranza che, dal regno dei morti, essi avrebbero garantito alla comunità la stessa protezione e lo stesso benessere assicurati con la loro saggia amministrazione dello Stato mentre erano in vita. La magnificenza di questo culto funebre, che accompagnava la sepoltura dei faraoni con cibi e oggetti della vita quotidiana, rivela come in Egitto fosse diffusa la credenza nella sopravvivenza dopo la morte, derivata probabilmente dall’osservazione del ciclo delle stagioni e della rinnovata fertilità dei campi successiva alle piene periodiche del Nilo.
Le salme dei faraoni erano contenute in un sarcofago e accompagnate dal loro ricco corredo funebre. Per impedire che i ladri lo rubassero, gli architetti egizi progettarono passaggi segreti e cunicoli a fondo cieco, rendendo praticamente inaccessibili le camere in cui erano custodite le salme.
L’edificazione delle piramidi iniziava mentre i sovrani erano ancora in vita e prevedeva l’impiego di gran parte della popolazione, in corrispondenza dei periodi in cui non era impegnata nella coltivazione dei campi, durante la piena del Nilo. Dal momento che i lavoratori erano remunerati con i cereali accumulati nei magazzini, la costruzione delle piramidi garantiva cibo e lavoro alla popolazione, evitando l’insorgere di rivolte dovute alla mancanza di fonti di sostentamento. La costruzione delle piramidi era un’operazione lunga e complessa: presupponeva una progettazione architettonica di elevatissima competenza, un’organizzazione del lavoro capillare con una rigida divisione dei compiti di ciascuno e il coordinamento di centinaia di persone che ogni giorno affollavano i cantieri. Proprio durante la costruzione di questi immensi edifici avvenne il primo sciopero salariale della storia, probabilmente dovuto all’immensa fatica degli operai che lavoravano duramente e senza pause.
Inizialmente, soltanto i faraoni potevano permettersi il finanziamento di opere simili; in seguito, anche i membri della classe sacerdotale ebbero la possibilità di farsi edificare piccole piramidi come tombe personali. Sotto le dinastie del Nuovo Regno, questa tradizione architettonica fu poi soppiantata dalla costruzione di altri tipi di monumenti celebrativi, come i templi e le tombe reali. L’edificazione di una piramide, infatti, prevedeva l’impiego di ingenti riserve da parte dell’amministrazione statale e non fu più sostenibile nel periodo in cui la solidità politica e la prosperità economica del regno entrarono in crisi.

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Astronomia e piramidi

Questa carta, che raffigura la posizione geografica di alcune tra le principali piramidi, mostra le conoscenze astronomiche raggiunte dagli Egizi. Come si nota, vi era una perfetta corrispondenza tra la posizione di alcune stelle nella volta celeste rispetto alla via Lattea e quella delle piramidi rispetto al corso del fiume. La loro costruzione mirava dunque a rispecchiare sulla terra l’ordine delle costellazioni nel cielo, per rimarcare il carattere divino del potere dei sovrani egizi.

Conoscenza del tempo e anatomia: la scienza nell’antico Egitto

La perfezione architettonica delle piramidi testimonia l’elevato livello delle competenze geometriche e matematiche degli architetti egizi, sviluppate inizialmente per la necessità di tracciare i confini dei terreni dopo le piene del Nilo.
La cultura egizia raggiunse però notevoli risultati anche in altri campi. Ancora oggi il trascorrere del tempo è calcolato secondo metodi di misurazione che risalgono alle conoscenze astronomiche sviluppate dalle antiche civiltà fluviali per programmare in modo efficace i lavori idraulici e scandire i tempi delle attività agricole. Gli Egizi, per esempio, furono i primi ad adottare un calendario di 365 giorni, per molti aspetti simile al nostro.
Anche la cura dimostrata per il corpo dei defunti conferma il possesso di approfondite conoscenze anatomiche e mediche. Secondo gli Egizi l’immortalità era assicurata solo dalla conservazione dei corpi dei defunti, e questo spiega lo sviluppo della mummificazione, ossia l’insieme delle tecniche di imbalsamazione grazie alle quali era possibile preservare le salme dai processi di decomposizione. L’origine di questa pratica sembra legata alle condizioni ambientali del territorio egizio: il clima molto secco del deserto favoriva di per sé una rapida disidratazione dei corpi, che si conservavano in modo naturale; l’osservazione di questo fenomeno probabilmente spinse gli Egizi all’elaborazione di tecniche artificiali di imbalsamazione, attraverso l’impiego di sali disidratanti che consentivano di ottenere lo stesso effetto anche in luoghi meno asciutti, come l’interno delle piramidi.

La scrittura egizia: i geroglifici

Come era accaduto in Mesopotamia, anche in Egitto, intorno al 3200-3100 a.C., nacque l’esigenza di adottare un sistema di comunicazione che facesse uso di segni scritti.
La scrittura era considerata dagli Egizi un dono degli dèi, e in quanto tale era un privilegio riservato agli scribi della classe sacerdotale, che all’inizio la impiegavano per decorare le pareti dei templi e delle piramidi con iscrizioni sacre. Per questo motivo, i simboli che la componevano sono stati definiti dagli storici geroglifici, con un termine di derivazione greca che significa “incisioni sacre” (dal greco hieroglyphikós, composto di hierós, “sacro”, e glýphein, “incidere”). Si tratta di una scrittura molto complessa, caratterizzata dalla commistione di ideogrammi e fonogrammi, le cui possibilità combinatorie erano molteplici. I segni venivano solitamente scritti uno di seguito all’altro, senza spazi, spesso allineati senza criteri fissi, ma in base all’estetica e alle decisioni dello scriba, il tutto con una perizia e un’accuratezza che ne fecero fin dalle origini una scrittura adatta principalmente alle iscrizioni monumentali e funerarie.
Per le necessità quotidiane e per registrare i documenti contabili, i sacerdoti ricorrevano invece a una scrittura più stilizzata e più facile da tracciare, che i Greci chiamarono ieratica (dal greco hieratikós, “sacerdotale”, derivato da hierós, “sacro”). Nel I millennio a.C., poi, attorno al 650 a.C., si diffuse una scrittura ancor più semplificata utilizzata per le comunicazioni quotidiane, definita in seguito demotica (da demotikós, “popolare”, derivato da démos, “popolo”). Queste scritture si differenziano dai geroglifici per la forma dei segni, più scorrevoli e rapidi ma, ancora lontane dalla scrittura alfabetica, anch’esse presentano una mescolanza di ideogrammi e fonogrammi.
Come supporto per la scrittura si usavano i papiri, ottenuti dalle fibre dell’omonima pianta acquatica assai diffusa lungo il Nilo. Intrecciate e pressate, le fibre di papiro formavano fogli su cui venivano tracciati i simboli della scrittura per mezzo di inchiostri di vari colori derivati da sostanze naturali.
Per lungo tempo il significato dei geroglifici è rimasto del tutto sconosciuto. Solo all’inizio del XIX secolo, grazie a un ritrovamento archeologico e all’intuizione di uno studioso francese, Jean-François Champollion, è stato possibile comprendere questi simboli misteriosi. Studiando la stele di Rosetta, una pietra di basalto rinvenuta nel 1799 nell’omonima città sulla foce del Nilo, egli trovò la chiave per decifrare i geroglifici. La stele riportava infatti uno stesso testo (il decreto di un’assemblea di sacerdoti) in tre scritture diverse: geroglifica, demotica e greca. Mettendole a confronto, Champollion riuscì a tradurre alcuni segni; a partire da questi, nel corso del tempo gli studiosi hanno trovato il modo di interpretare tutte le fonti scritte egizie, grazie alle quali è stato possibile conoscere molti aspetti della grande civiltà del Nilo.

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La religione degli Egizi

Il potere dei faraoni era rafforzato dai culti religiosi praticati dalla popolazione. In Egitto esisteva infatti un forte nesso tra la religione e l’organizzazione gerarchica della società.
Al ruolo centrale del faraone era legata la venerazione popolare, diffusa in tutto il regno, per la principale divinità egizia, Ra, il dio Sole, di cui il sovrano era considerato il figlio. Scendendo nella scala gerarchica, al potere amministrativo dei governatori locali, che rappresentavano il faraone nelle diverse parti del regno, corrispondevano i culti di numerose divinità minori, venerate solo localmente in templi a loro dedicati.
Una caratteristica comune alla maggior parte delle divinità egizie era l’aspetto zoomorfo: venivano cioè raffigurate con sembianze animali. Ra era identificato con Horus, il dio dall’aspetto di falco; Amon era il dio ariete; Api il toro divino; Anubi il dio sciacallo; Thot il dio dalla testa di ibis (un uccello che vive lungo le rive del Nilo).
Probabilmente queste forme di rappresentazione erano connesse all’importanza che alcuni animali rivestivano nella vita quotidiana degli Egizi: per esempio il culto di Sobek, il dio coccodrillo, era legato al fatto che la comparsa di questo predatore presso le sponde del Nilo costituiva per i contadini un avvertimento dell’avvicinarsi della piena; allo stesso modo la dea Bastet, protettrice della casa, aveva sembianze di gatta perché i felini domestici cacciavano i roditori e preservavano così i preziosi cereali custoditi nei magazzini.
Il legame delle divinità egizie con i cicli della natura è messo bene in evidenza nell’antico mito di Iside e Osiride, rispettivamente madre e padre di Horus: Iside era la protettrice della famiglia e della fertilità, mentre Osiride governava il regno dei morti. Secondo la tradizione, Osiride era stato rapito e gettato nel Nilo dal fratello Seth, dio del male, invidioso del suo potere. Ritrovato dalla sua sposa, era stato catturato di nuovo da Seth, fatto a pezzi e disperso per tutto l’Egitto. Iside aveva allora ricomposto e mummificato il suo corpo, permettendo a Osiride di ritornare in vita come sovrano del regno dei morti. Il mito può essere ricollegato alla ciclicità della natura che ogni anno, grazie al fertile limo depositato dalle acque del Nilo, dava luogo alla rinascita della vegetazione presente lungo le sponde del fiume.

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• SOTTO LA LENTE • ALIMENTAZIONE

Pane, birra e legumi: la tavola degli Egizi

Pane e birra
Grazie alle pitture, ai numerosi papiri e al racconto di alcuni storici (tra cui il greco Erodoto) abbiamo importanti testimonianze sulla vita quotidiana del popolo egizio. Stando alla testimonianza del papiro Salt 124, il pane e la birra erano un’offerta comune agli dèi.
Spesso all’interno dei corredi funebri sono state ritrovate pagnotte mummificate. Conosciamo fra i trenta e i quaranta tipi di pane, differenti per forma o ingredienti: il pane destinato ai ricchi, per esempio, era costituito di farina bianca, raffinata, mentre per le classi meno abbienti erano utilizzate farine integrali, quindi più scure e contenenti crusca, considerate meno pregiate. Uno dei primi metodi impiegati per la cottura prevedeva la realizzazione di cavità nel terreno, ricoperte di pietre, all’interno delle quali si metteva il pane. Un forno con la divisione tra la parte in cui bruciava il fuoco e quella in cui avveniva la cottura dell’alimento fu introdotto successivamente alla scoperta della lievitazione, da attribuirsi forse agli Ebrei o agli Egizi.
Pare infatti che questi ultimi, per ottenere la lievitazione, fossero soliti ricorrere all’aggiunta di una parte di pasta avanzata dal giorno prima, diventata acidula, in uso anche oggi (si tratta della cosiddetta pasta madre).
La birra era invece preparata con chicchi d’orzo che venivano macinati, impastati e successivamente cotti solo in superficie. Il risultato di questa prima lavorazione era una pagnotta cruda all’interno, lasciata poi macerare in acqua assieme a datteri o frutta, così che ne fosse aromatizzata e zuccherata: alla fine della fermentazione si otteneva un composto di consistenza semiliquida da filtrare prima di poter essere bevuta, altrimenti gustata come cibo più che come bevanda. La birra era considerata dal popolo fonte di vita, di salute (tanto da essere utilizzata anche come medicinale) e di prosperità. Gli Egizi coltivavano la vite, dunque producevano e consumavano anche il vino, allungato con acqua e dolcificato per attenuarne la gradazione alcolica, di solito molto elevata.

Una dieta variata
Gli alimenti di base dell’alimentazione egizia erano frumento e orzo che, insieme a grano e farro, erano considerati i grandi doni del Nilo.
Tuttavia la dieta egizia era più complessa e varia: si coltivavano cipolle, aglio, fagioli, zucche, olive, datteri, fichi, mandorle, uva. Uno dei piatti più apprezzati dai ricchi era il medames, consistente in fave secche lessate a lungo e insaporite con olio e aromi; in generale, le zuppe di verdure arricchite con pane e cipolla erano molto popolari. Meno frequente era invece il consumo di carne, che si limitava a pollame, uccelli, ovini, suini (allevati allo stato brado) ed escludeva quella dei bovini, che erano sfruttati per il lavoro agricolo. Diffuso era l’uso del pesce di fiume, di cui vi era abbondanza soprattutto quando le acque del Nilo si ritiravano e intere colonie di pesci rimanevano intrappolate nel limo.

La conservazione del cibo e... il ricorso al dentista
Il pesce e la carne erano però alimenti facilmente deperibili a causa del caldo e dell’umidità. Gli Egizi risolsero il problema della conservazione del cibo ricorrendo al succo di limone o, più spesso, alla salamoia, cioè la conservazione sotto sale.
Altro inconveniente era poi la diffusione della finissima sabbia del deserto, che spesso si mescolava con il pane, i cibi e le bevande: masticandola, i denti si usuravano prematuramente e non è un caso che molti dei papiri medici ritrovati riportino consigli contro il mal di denti.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana