1 - Il processo di ominazione: verso la stazione eretta

Unità 1 LA TERRA E I PRIMI ESSERI UMANI >> Capitolo 1 – Le origini della specie umana

1. Il processo di ominazione: verso la stazione eretta

Quando pensiamo alle origini della nostra specie (Homo sapiens), non dobbiamo dimenticare che sono relativamente recenti, poiché non vanno oltre i 200 000 anni circa.
Secondo le teorie evoluzionistiche gli ominidi, cioè gli esseri umani e le scimmie antropomorfe come gorilla e scimpanzé, sono classificati nell’ordine dei primati e derivano da antenati comuni. È grazie a un lungo percorso evolutivo, definito processo di ominazione, che si differenziarono le diverse specie umane di cui, come vedremo, è sopravvissuta solo quella di Homo sapiens.

Gli australopitechi: la rivoluzione dello scheletro e l’andatura bipede

La caratteristica evolutiva che contraddistingueva gli australopitechi dagli altri primati era l’andatura bipede, che si rivelò fondamentale per vivere e riprodursi nelle mutate condizioni ambientali della Rift Valley. Tra i 6 e i 4 milioni di anni fa, infatti, essi riuscirono a sopravvivere, mentre le scimmie arboricole, incapaci di adattarsi al nuovo ambiente, interruppero la loro evoluzione e si fermarono allo stadio di quadrupedi.
Perché gli australopitechi e successivamente la specie Homo siano diventati in prevalenza bipedi, anche se in modo diverso, non è ancora stato chiarito. Sicuramente la nuova andatura fu il risultato di un processo assai complesso, perché camminare in posizione eretta richiede un difficile equilibrio posturale e la redistribuzione del peso. Si modificarono infatti l’ossatura e la muscolatura della gamba, così come la curvatura della colonna vertebrale; il baricentro del corpo si spostò all’indietro. Non solo: mutarono le proporzioni fra arti inferiori e superiori; cambiò forma anche la gabbia toracica e si modificò la respirazione, mentre il peso della testa si distribuì diversamente sul corpo; insomma, fu proprio una “rivoluzione dello scheletro”. Inoltre si perse l’uso del piede prensile, utilissimo per arrampicarsi e muoversi sugli alberi, molto meno per muoversi a terra.
Quando il clima divenne più secco e torrido, il manto forestale si diradò e aumentarono le radure con erba altissima che nascondeva i pericoli, indubbiamente alzarsi in piedi offrì innegabili vantaggi rispetto alla camminata sulle nocche dei primati perché, per esempio, era minore l’area del corpo esposta ai raggi solari e maggiore l’esposizione del corpo alla ventilazione. Inoltre, aiutava ad avvistare in anticipo il pericolo; permetteva di coprire più velocemente lo spazio tra una boscaglia e l’altra e consentiva l’uso delle mani, che divennero uno strumento formidabile anche per trasportare il cibo.

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Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione della specie

L’ipotesi che le specie viventi non rimangano sempre uguali a loro stesse, ma si evolvano nel tempo secondo specifiche modalità, fu formulata nel XIX secolo dal naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882). Nella sua celebre opera L’origine delle specie (1859), egli spiegò l’influenza che le trasformazioni dell’ambiente hanno sull’evoluzione degli esseri viventi basandosi sul principio della selezione naturale. Secondo questo principio, gli esseri viventi che hanno le caratteristiche migliori per adattarsi ai cambiamenti ambientali sono in grado di sopravvivere e riprodursi meglio degli altri, trasmettendo il proprio patrimonio genetico a una discendenza sempre più numerosa; i meno adatti, invece, perdono la “competizione”, ossia la “lotta per l’esistenza” cui sono costretti gli individui di uguale specie o di specie differenti causata dallo squilibrio tra l’elevato numero e la limitata disponibilità delle risorse naturali. Essi infatti non riescono a procurarsi le risorse necessarie e, soprattutto, si riproducono meno.
Come ha dimostrato lo studio della genetica a partire dalle teorie di Darwin sull’ereditarietà, questi cambiamenti adattativi sono possibili non solo in virtù della variabilità che caratterizza ogni specie (all’interno della quale sono presenti individui geneticamente differenti, più o meno in grado di adattarsi a nuove condizioni ambientali), ma anche grazie a mutazioni genetiche spontanee e accidentali che, una volta trasmesse alla prole, danno luogo a un’evoluzione della specie.
L’evoluzione è dunque strettamente correlata alle trasformazioni dell’ambiente, e riguarda sia i singoli individui sia le specie nel loro complesso. La competizione per la sopravvivenza può infatti avvenire all’interno di una stessa specie o tra specie diverse: quelle meno adatte a sopravvivere in condizioni ambientali mutate – in seguito, per esempio, a una glaciazione o ad altri rilevanti mutamenti climatici – sono destinate a estinguersi, come è avvenuto per i dinosauri circa 65 milioni di anni fa.

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La comparsa del genere Homo

In seguito a un nuovo cambiamento climatico, intorno a 2,5 milioni di anni fa comparvero le prime specie del genere Homo, che per circa un milione e mezzo di anni convissero con gli australopitechi. Come era già avvenuto con le scimmie arboricole, il cambiamento climatico rese l’ambiente inospitale per gli australopitechi, che si estinsero definitivamente intorno a un milione di anni fa, lasciando nella savana in continua espansione solo le specie del genere Homo, il cui cervello era molto più sviluppato: ciò contribuì a un miglioramento nel controllo degli arti e a una specializzazione e coordinazione dei diversi sensi. In virtù di questo vantaggio evolutivo, le specie del genere Homo furono in grado di:

  • passare a una dieta onnivora, con frequente ricorso alla carne. Fu una vera rivoluzione biologica che sconvolse il metabolismo umano, l’apparato digerente, l’apporto energetico e i comportamenti collettivi. L’adattamento richiese molto tempo ma determinò il distacco di Homo dagli ominidi;
  • sviluppare l’uso delle mani sia per compiti che richiedevano l’impiego di notevole forza fisica, sia per operazioni delicate che implicavano grande precisione, come per esempio costruire oggetti;
  • osservare la natura e imparare a sfruttarla a proprio vantaggio: l’uso del fuoco, la costruzione di ripari e l’impiego di una prima rudimentale tecnologia furono elementi di grande vantaggio nella competizione tra specie;
  • memorizzare esperienze, apprendere da esse ed elaborare le prime forme di comunicazione tra individui, che avrebbero determinato il successivo sviluppo del linguaggio e della cultura. Questa facoltà, insieme a una modifica dell’apparato di fonazione, favorì per esempio la pratica della caccia in gruppo.

Senza le glaciazioni la diffusione del genere Homo su tutto il pianeta non sarebbe potuta avvenire, o almeno non nelle modalità in cui si è effettivamente svolta. A causa di una temperatura più bassa di circa dieci gradi rispetto a quella odierna, durante l’ultima glaciazione, terminata 12-10 000 anni fa, il livello delle acque oceaniche divenne nettamente inferiore, perché gran parte dell’acqua restava imprigionata nei ghiacciai. Le terre emerse erano quindi più estese di quelle attuali e consentivano lo spostamento di animali e di uomini attraverso zone oggi separate dal mare. Ciò permise anche il passaggio dei primi uomini nel continente americano, raggiunto probabilmente attraverso lo stretto di Bering, che oggi separa l’Asia nordorientale e l’Alaska, ma che allora presentava un passaggio libero dalle acque oceaniche. Le migrazioni degli esseri umani raggiunsero terre sempre più lontane, e tra 100 000 e 14 000 anni fa interessarono gradualmente tutti i continenti eccetto l’Antartide.
Modellando più volte il territorio, le glaciazioni mutarono radicalmente la flora e la fauna. Nei periodi più freddi, l’estensione delle foreste diminuiva a causa del clima rigido e secco, lasciando spazio alla  steppa, alla  tundra e, in Africa, soprattutto alla  savana. La scarsità della vegetazione riduceva la possibilità di sopravvivenza di alcune specie animali (come elefanti e ippopotami) e ne favoriva altre più adatte alle mutate condizioni climatiche (come cavalli, bisonti, renne e mammut). Con il ritorno di climi più caldi e piovosi, invece, le foreste riconquistavano vasti territori; gli animali adatti agli ambienti freddi, come le renne, si ritiravano a nord, seguendo l’arretramento dei ghiacci, mentre altri si estinguevano, come i mammut e i rinoceronti lanosi al termine dell’ultima glaciazione.

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana