3 - Una civiltà di abili navigatori

Unità 3 ACQUE E TERRA: EGITTO E PALESTINA >> Capitolo 6 – Ai margini degli imperi

3. Una civiltà di abili navigatori

L’assenza di un potere centrale fu uno dei principali elementi di debolezza delle città fenicie che, nel corso del II millennio a.C., favorì il loro assoggettamento agli Egizi e agli Ittiti. I centri fenici riconquistarono la libertà solo in seguito alle invasioni dei popoli del mare, intorno al 1200 a.C. La crisi degli imperi del Vicino Oriente seguita a queste invasioni creò le condizioni per l’affermazione di nuovi protagonisti negli scambi commerciali di lunga distanza, e i Fenici seppero sfruttare le loro conoscenze nel campo della navigazione per diventare i padroni incontrastati dei traffici via mare.
L’attività commerciale conobbe un maggiore sviluppo proprio quando le monarchie delle città entrarono in crisi, in quanto i mercanti, trovandosi a gestire i commerci senza più il rigido controllo dei palazzi reali, sperimentarono soluzioni innovative. Per primi essi abbandonarono la cautela di viaggiare lungo costa e affrontarono il mare aperto, sia di giorno sia di notte, orientandosi con il Sole e con le stelle. Questa strategia li rese più rapidi nella navigazione e li condusse fino alle coste del mar Nero, alle isole britanniche e in Africa equatoriale, superando lo stretto di Gibilterra.
I viaggi commerciali erano impostati su un ciclo triennale e raramente prevedevano soste intermedie. Le mete prevalenti erano le regioni minerarie di Spagna e Sardegna, oltre alla più vicina Cipro, che era la principale fonte di rame, e a zone più agricole come la Tunisia e la Sicilia. Per mantenere le dimensioni e la continuità di traffici tanto estesi essi potevano contare su una serie di condizioni favorevoli: una flotta numerosa ed efficiente, abili costruttori di navi, marinai competenti e motivati, magazzini in posizioni strategiche e centri di distribuzione, un apparato commerciale collaudato e infine un tessuto urbano che lavorava per lo sviluppo dei commerci marittimi.
Tra il IX e l’VIII secolo a.C., grazie ai commerci e alle attività marinare, la civiltà fenicia raggiunse la massima espansione attraverso la fondazione di basi commerciali lungo le coste del Mediterraneo.

Empori e colonie

I Fenici non avevano una forza militare paragonabile a quella dei grandi imperi del Vicino Oriente, e la loro espansione territoriale non aveva nulla a che fare con le conquiste dei popoli guerrieri. Il loro predominio era piuttosto commerciale, creato attraverso la fondazione degli empori, piccoli insediamenti con strutture e magazzini utili alle attività mercantili. Gli empori dipendevano direttamente dalla madrepatria, con la quale mantenevano contatti diretti e continui attraverso un costante flusso di merci, ma intrattenevano intensi scambi anche con le popolazioni locali.
Gli empori fenici incrementarono le loro attività mercantili e iniziarono a espandersi anche territorialmente: nacquero così numerose colonie, in particolare sulle coste dell’Africa settentrionale, della Spagna, della Sicilia e della Sardegna, che formarono una rete commerciale solida, capace di far viaggiare e scambiare prodotti in direzioni diverse. I Fenici esportavano bronzi lavorati, tra cui armi, vetri, avori intagliati, tessuti pregiati tinti con la porpora o ricamati. Da fonti ebraiche sappiamo che la città di Tiro ricavava dalle zone più vicine (Giuda, Israele) prodotti agricoli; dall’Arabia cavalli, muli, lana; dalle zone più lontane di Anatolia, Grecia, Assiria prodotti artigianali in bronzo e ferro lavorato e schiavi – commercio che aveva reso piuttosto odiosi i Fenici alle popolazioni con cui avevano contatti; dalla Spagna e dall’Arabia meridionale provenivano metalli (argento, stagno, oro) e prodotti esotici (spezie, ebano, avorio). Agli scambi via mare si aggiungevano inoltre quelli via terra con i mercati orientali, in un continuo proliferare di traffici e “clienti” favorito e alimentato dall’elevato prestigio delle merci esportate dai Fenici.

• SOTTO LA LENTE • TECNOLOGIA

Le tecniche di navigazione dei Fenici

L’abilità dei Fenici nella costruzione delle navi era riconosciuta anche dagli altri popoli antichi: i faraoni egizi, per esempio, affidavano a loro la costruzione delle proprie flotte mercantili.
Le navi da trasporto fenicie erano dotate di una vela quadrata, issata su un albero al centro dello scafo; la loro chiglia era larga e piatta, per consentire il carico di grandi quantità di merci. Le navi da guerra erano invece lunghe e affusolate, con una grande vela centrale. Erano inoltre predisposte per contenere doppie file di rematori che potevano incrementare la velocità dell’imbarcazione o supplire all’eventuale mancanza di vento.
I Fenici furono i primi, oltre a navigare in mare aperto, a compiere la circumnavigazione dell’Africa, come si deduce da una testimonianza dello storico greco Erodoto. Organizzata dal faraone Neco intorno al 600 a.C., la spedizione partì dal mar Rosso, proseguì per l’oceano Indiano e terminò tre anni dopo con il passaggio dallo stretto di Gibilterra e il ritorno attraverso il Mediterraneo.
«Essi raccontarono un particolare per me incredibile: che, nel compiere la circumnavigazione dell’Africa, avevano avuto il Sole sulla loro destra» (Erodoto, Storie, IV, 43). Questo estratto dalla narrazione dello storico dimostra che il viaggio fu realmente compiuto; al contrario di ciò che succede nell’emisfero nord della Terra, infatti, in quello australe il Sole appare alla destra di chi viaggia da est verso ovest. Si tratta di un’esperienza che non poteva essere immaginata in base alle ridotte conoscenze geografiche e astronomiche del tempo, e che dunque fu effettivamente sperimentata dai marinai fenici.

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L’organizzazione delle città fenicie

In seguito all’intenso sviluppo economico, nelle città vi furono diversi cambiamenti istituzionali: comparvero l’assemblea cittadina e la “ditta” commerciale. Per quanto ne sappiamo, le città fenicie, ognuna indipendente dall’altra, erano governate da un “re” con scarso potere, in quanto l’assenza di un territorio su cui esercitarlo aveva impedito il formarsi di vere monarchie. Di fatto le famiglie più importanti guidavano la politica delle città, ma senza un riconoscimento ufficiale; esso si ebbe grazie allo sviluppo dei commerci, che trasformò tali famiglie anche in centri di potere. Questa forma di organizzazione politica, che ben poco aveva a che fare con il modello delle monarchie tradizionali, con l’espansione coloniale venne conosciuta in tutto il Mediterraneo.

L’ascesa di Cartagine

L’espansione fenicia si interruppe nell’VIII secolo a.C. in seguito alla conquista assira delle città costiere. Ne rimasero relativamente indenni Arwad e Tiro, che sorgevano su isole, e Biblo, che aveva un piccolo entroterra: a dimostrazione che nell’antichità non era facile per gli imperi di terra conquistare e sottomettere Stati marittimi. Tuttavia a partire da questo periodo il commercio fenicio fu costretto a rinnovarsi sia per la crescente concorrenza esterna, sia per questioni interne, relative ai rapporti cittadini: l’arricchimento di alcune famiglie aveva dato origine a rivalità tra gruppi diversi, alcuni dei quali alleati dei conquistatori. D’altra parte gli Assiri, e poi i Babilonesi, non intendevano annettere le città ai loro territori, con il rischio di liquidarne l’attività commerciale, ma preferivano lasciare margini di autonomia e dirottare verso l’impero i frutti dell’intensa attività di scambio, preservandone le caratteristiche e le modalità.
Il commercio dunque non scomparve ma cambiò la propria natura, andando ad arricchire i conquistatori.
La conquista straniera favorì l’espatrio. Molti abitanti fenici, da tempo, si erano stabiliti presso gli empori e ora, dopo la conquista, trovarono conveniente stabilirsi definitivamente in quelle zone, che diventarono così vere colonie. Le colonie fenicie, anche per la concorrenza greca, vennero fondate in territori piuttosto lontani, in Sicilia (Mozia, Panormo, Solunto), a Malta e Pantelleria, in Tunisia (Cartagine e Utica), in Sardegna (Nora, Tharros) e nella Spagna del Sud (Cadice). La conquista assira spinse inoltre le colonie a svincolarsi dall’autorità e dal rapporto con la madrepatria e ad acquisire autonomia. Tra queste colonie quella che più rapidamente assunse un ruolo egemone all’interno del sistema di colonie fenicie, divenendo essa stessa madrepatria per altre colonie, fu Cartagine, fondata nell’814 a.C. dagli abitanti di Tiro sulle coste dell’attuale Tunisia.
A partire dal III secolo a.C., come vedremo, Cartagine si sarebbe scontrata con Roma per il predominio sul Mediterraneo. L’attività commerciale delle città della costa siro-palestinese però non decadde mai e anzi con l’arrivo dei Persiani vi fu una nuova fioritura, poiché la Persia faceva affidamento sulla flotta fenicia sia per motivi commerciali sia a scopo bellico.

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4. La cultura fenicia

Nell’espansione dei commerci marittimi i Fenici non si limitarono allo scambio commerciale: essi si trovarono al centro anche di scambi culturali tra popoli diversi e svolsero un ruolo di mediazione importante e originale nella composita area mediterranea. Per esempio, l’esportazione di prodotti artigianali contribuì alla diffusione di quella che gli storici chiamano la moda orientalizzante, che affascinò anche i Greci: eroi, animali fantastici, paesaggi, richiami mitologici furono elementi decorativi apprezzati e imitati in tutto il bacino del Mediterraneo. Nello stesso tempo, grazie alle colonie sulle coste orientali, in virtù degli scambi e dei commerci, arrivavano nuovi prodotti agroalimentari, con la conseguente diffusione di conoscenze agrarie (per esempio, impararono a coltivare nuove piante).
Oltre che sulla diffusione delle tecniche di navigazione, di cui i Fenici erano esperti, su altri due aspetti il loro apporto appare indiscutibile. In primo luogo alcune fonti attestano il ricorso all’oro come “prezzo” dello scambio ( Testimonianze della storia, p. 120), cioè una prima embrionale forma di monetazione, di cui i Greci in seguito faranno tesoro; in secondo luogo la diffusione di un nuovo alfabeto.

Un nuovo metodo per comunicare raffinato dai Fenici: l’alfabeto fonetico

I primi esempi di alfabeto fonetico (dal greco phoné, “voce”, “suono”) comparvero verso la metà del II millennio a.C. nella zona del monte Sinai (per questo sono chiamati protosinaitici); dal 1400 a.C. circa sono attestati anche nella città di Ugarit, presso il confine settentrionale dei territori fenici. Rispetto ai geroglifici egizi e all’alfabeto sillabico, il vantaggio dell’alfabeto fonetico consisteva nel fatto che, con un numero limitato di segni (di norma non superiore alla trentina), si potevano rappresentare per iscritto tutti i suoni di una lingua. Ogni parola poteva quindi essere scritta mettendo in sequenza pochi simboli grafici, corrispondenti ai suoni in essa contenuti.
Essendo molto più semplice dei precedenti sistemi di scrittura, l’alfabeto fonetico era più adatto agli scambi commerciali, che esigevano comunicazioni rapide, spesso tra genti di lingua diversa. Non a caso si affermò presso i Fenici, che sulle relazioni mercantili avevano costruito la loro ricchezza. Essi, una volta verificatane l’efficacia nelle comunicazioni commerciali, abbandonarono la scrittura sillabica utilizzata fino a quel momento. Attraverso le loro spedizioni, poi, si diffuse in tutto il mondo mediterraneo, dove subì successive modificazioni. L’alfabeto fenicio, per esempio, non esprimeva le vocali, ma solo i suoni consonantici: sarebbero stati i Greci, nel IX secolo a.C., a integrarlo con i segni grafici che indicano le vocali. Dal mondo greco, i segni dell’alfabeto fonetico si sarebbero poi diffusi anche a Roma e, attraverso la cultura latina, sarebbero diventati patrimonio culturale di tutta l’Europa.
La diffusione dell’alfabeto fonetico ebbe notevoli conseguenze sociali: essendo più facile da apprendere, un numero maggiore di individui poteva imparare a leggere e a scrivere, facoltà un tempo riservate esclusivamente alle classi sacerdotali o ai funzionari statali.


Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana