L’esilio e la costruzione del “popolo eletto”
L’esilio babilonese durò relativamente poco e le condizioni di vita non furono terribili, ma fu un evento cruciale per la storia degli Ebrei. Senza più Stato, capitale, tempio, identità politica, sembravano destinati alla scomparsa, ma la classe dirigente d’Israele, non numerosa, relativamente colta, agiata, nell’esilio rinserrò le fila e reagì in modo originale adottando una soluzione non pessimistica e basata sulla speranza. Facendo leva sull’elaborazione ideologica dei ▶ profeti, intellettuali votati alla conservazione della memoria collettiva, profondamente nostalgici di un passato mitico, convinti costruttori di un’identità comune, si ricorse a una spiegazione teologica del disastro: la sconfitta altro non era che una punizione di Jahvè, il quale usava i nemici per raggiungere lo scopo di riportare il “suo” popolo alla corretta obbedienza. Il tracollo era l’occasione per la ▶ catarsi: la legge serviva per consolidare l’identità collettiva e la religione imponeva una pratica di comportamento organizzato, che ognuno doveva nel proprio intimo condividere. Questa scelta portò a due conseguenze importanti per la storia ebraica.
La prima conseguenza fu il crearsi di un’identità politico-religiosa del popolo ebraico, prima assente, incentrata sul culto di un solo dio, esclusivo e signore del mondo; si instaurarono cioè le basi del monoteismo. Fu una vera innovazione nella storia: al dominio politico e militare delle potenze territoriali si rispose con una professione di fede, che rendeva “diverso” tutto un popolo. Per consolidare questo passaggio furono individuate alcune pratiche del culto che rimarcassero la distinzione tra gli Ebrei e “gli altri”: il sabato (Šabbāt), la circoncisione, i precetti di purificazione, le prescrizioni alimentari. Si diede poi impulso alle sinagoghe come luoghi di incontro e di preghiera.
La seconda conseguenza fu un capovolgimento della visione storica del popolo ebraico: se Jahvè era il solo signore, il monarca legittimo, allora la storia degli Ebrei andava rivista e riletta sulla scorta del piano divino, magari non subito comprensibile, che guidava, anche mediante castighi e punizioni, il popolo di Israele verso il compimento del suo destino. Proprio a partire dall’idea dell’esistenza di questo piano stabilito dalla divinità si è diffusa la nozione di “popolo eletto”, riferita agli Ebrei, derivante dalla concezione ebraica secondo cui Dio avrebbe stipulato un patto con il popolo di Israele in virtù del quale lo avrebbe scelto come proprio popolo e condotto nella Terra promessa, dopo averlo riscattato dalla schiavitù. L’idea di elezione emerge da numerosi passi dell’Antico Testamento, nel quale non poco diffusa è l’idea della terra di Israele e del popolo degli Ebrei come “proprietà” di Dio, da lui investiti della missione di venerare la sua Parola. Lo stesso concetto di “Israele” assumeva nuovo significato, religioso e non più politico-territoriale. Proprio con lo scopo di rileggere il passato si diede avvio alla raccolta delle tradizioni orali e delle pochissime scritte, che vennero codificate nella Bibbia, testo cui si ispireranno le altre due religioni rivelate, la cristiana e la musulmana.
Quando, dopo l’intervento dei Persiani, gli Ebrei poterono far ritorno in patria (anche se comunità consistenti si fermarono in Egitto e a Babilonia), trovarono una situazione profondamente cambiata: gli spazi vuoti erano stati occupati da nuove popolazioni, spesso tribù cammelliere di origine semitica. Nei loro confronti, pur di comuni origini, il popolo di Israele accentuò quelle distinzioni che lo avevano “salvato” nell’esilio: purezza e integrità della lingua, particolarità di costumi, originalità della religione. Respinse come contaminazione per esempio i matrimoni con persone non ebree. La rappresentazione della diversità del popolo di Israele prese corpo anche con la ricostruzione del tempio di Gerusalemme (molto diverso, anche nelle funzioni, dal primo) e nella centralità del sacerdozio come punto di riferimento dell’unità nazionale. Era nato il giudaismo, o ebraismo.