I capisaldi dell’HACCP: l’analisi dei rischi e il controllo dei punti critici

 4  LE REGOLE DEL MONDO ALIMENTARE >> 14. Il sistema HACCP

I capisaldi dell’HACCP: l’analisi dei rischi e il controllo dei punti critici

I capisaldi del sistema di autocontrollo HACCP sono contenuti nella sua stessa denominazione: analisi dei rischi e punti critici di controllo. Ma che cosa si intende esattamente per ”rischio” e ”punto critico”?

ANALISI DEI RISCHI

In campo alimentare, parlare di “rischio” significa riferirsi alla probabilità che si verifichi una situazione di pericolo, in questo caso una contaminazione (vedi Unità 10, La contaminazione degli alimenti). Per poter analizzare i rischi occorre dunque ricordare che gli elementi capaci di contaminare il cibo, rendendolo insicuro o pericoloso, possono essere di tipo fisico (come terriccio, oggetti, schegge, frammenti di vetro o di metallo), di tipo chimico (residui di sostanze chimiche più o meno dannose) oppure di tipo biologico (come virus, batteri patogeni e tossine). Inoltre, per una corretta analisi dei rischi occorre riepilogare le tre modalità con cui una contaminazione potrebbe verificarsi, e cioè: diretta (quando a trasmettere gli agenti contaminanti è una persona, per esempio un operatore del settore alimentare), indiretta (quando il responsabile della trasmissione dei contaminanti è un oggetto inanimato o un animale che veicola i patogeni nell’ambiente) o crociata (quando i contaminanti passano da un alimento a un altro).

La stima del rischio

Una volta messi a fuoco i potenziali pericoli, come si può stimare in modo attendibile la probabilità che davvero si verifichi un danno al consumatore, con tutte le sue conseguenze? Per rispondere a questa domanda occorre partire dalla definizione di rischio come prodotto tra la gravità del danno (quindi “quanto grave” potrà essere la contaminazione) e una stima della probabilità che tale danno si concretizzi.

Consideriamo per esempio una persona adulta che si appresta a consumare un piatto a base di pesce. La sua esperienza gli permetterà di valutare la salubrità del piatto ancor prima che inizi a mangiare. Il colore e l’odore, infatti, gli forniranno preziose informazioni preliminari. Ipotizziamo che il pesce preparato non sia stato correttamente conservato e che, se consumato, possa dare origine a un’intossicazione alimentare. Calcoliamo dunque il rischio, cioè la probabilità che questa intossicazione si verifichi. Attribuiamo il valore 3 alla gravità di una eventuale intossicazione (su una ipotetica scala da 1, cioè poco grave, a 5, cioè molto grave), e diamo alla probabilità che si verifichi il valore 2 (da 1, cioè poco probabile, a 5, cioè molto probabile). In questo caso, il rischio di subire un’intossicazione da parte di un adulto che si appresta a mangiare pesce contaminato sarà pari a 6, cioè 3 × 2.

Vediamo ora lo stesso esempio applicato a un bambino. La gravità dell’evento sarà ugualmente 3, ma la probabilità che si verifichi sarà decisamente più alta, in quanto il bambino non dispone dell’esperienza necessaria a “fiutare” il pericolo, come invece farebbe l’adulto. Possiamo quindi assegnare alla probabilità che questo evento si verifichi un valore doppio, ovvero pari a 4. Di conseguenza, se per l’adulto il rischio ha un valore pari a 6, per il bambino questo valore sale a 12 (3 × 4).


 
 
 LIVELLO DI GRAVITÀ
1 2 3 4 5
PROBABILITÀ  1 1 2 3 4 5
 2 2 4 6 8 10
 3 3 6 9 12 15
 4 4 8 12 16 20
 5 5 10 15 20 25

Rischio zero?

Quando si lavora nell’industria alimentare, la probabilità che un alimento provochi un effetto negativo sul consumatore non può mai essere ridotta a zero. Le variabili in gioco sono numerosissime e non riguardano solo la preparazione del cibo ma anche le condizioni di salute e i comportamenti del consumatore, che dovrebbe essere sempre sensibilizzato a diventare “co-protagonista” della sicurezza degli alimenti, per esempio conservandoli e cucinandoli correttamente.

Se arrivare al rischio zero è impossibile, si può – e si deve – lavorare lungo tutta la filiera produttiva per puntare al raggiungimento di un “rischio tollerabile”, cioè tanto ridotto da risultare accettabile.

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punti critici di controllo (CCP)

Il sistema HACCP dedica particolare attenzione ai punti critici di controllo (indicati anche con la sigla CCP), cioè a tutte quelle fasi di lavorazione particolarmente insidiose che possono essere controllate al fine di individuare ed eliminare l’insorgenza di pericoli. è indispensabile mantenere elevati standard igienici in ogni momento, dalla produzione alla distribuzione, fino al consumatore.

Tra i punti critici da controllare periodicamente figurano il ricevimento delle merci e il loro stoccaggio in magazzino, ma anche la conservazione e la cottura degli alimenti e lo smaltimento dei rifiuti. In particolare, sarà opportuno evitare di ricevere merci prive di etichettatura o di stoccarle in ambienti poco igienici, ai quali per esempio potrebbero avere accesso animali vettori di microrganismi patogeni.

Inoltre, tenere sotto controllo il ricevimento delle merci e il loro stoccaggio significa predisporre un controllo periodico delle etichette dei prodotti acquistati e una loro registrazione nell’elenco dei fornitori. Le merci dovranno sempre essere conservate in maniera opportuna, rispettando le temperature previste e tutta la normativa vigente. In questo contesto si inserisce la cottura, che dovrà avvenire a regola d’arte.

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