I marchi di qualità

 4  LE REGOLE DEL MONDO ALIMENTARE >> 13. La filiera, le etichette e gli imballaggi

I marchi di qualità

Prima del Regolamento CE n. 510/2006, i singoli paesi aderenti all’Unione Europea avevano elaborato in modo indipendente marchi specifici per valorizzare e garantire l’identità dei prodotti di particolare pregio: per l’Italia si pensi alle sigle DOC e DOCG relative ai vini, che spesso ancora compaiono sulle etichette. Tali marchi vengono garantiti dagli organismi di certificazione (noti in Italia anche come Consorzi di Tutela), associazioni volontarie e senza scopo di lucro, istituite con l’obiettivo di promuovere e soprattutto difendere dalle imitazioni alcuni prodotti agroalimentari di qualità oppure alcune tradizioni gastronomiche tipiche di determinate realtà geografiche. Gli organismi di certificazione, le cui attività sono regolamentate dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali), hanno anche il compito di redigere i disciplinari di produzione dei prodotti che essi rappresentano, e di assicurare che tali disciplinari vengano rispettati dai produttori.

Oggi, con il Regolamento CE n. 510/2006, a livello europeo sono riconosciuti solo tre marchi di qualità, noti in Italia con le sigle DOP, IGP e STG.


DOP (DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA)

La Denominazione di Origine Protetta è un marchio molto prestigioso, concesso solo a prodotti caratterizzati da un legame forte ed esclusivo con il territorio di appartenenza. Un prodotto DOP deve soddisfare tre requisiti:

  • deve avere origine in una zona geografica specifica e ben delimitata, dalla quale trae la sua tipicità;
  • le sue caratteristiche devono dipendere strettamente da quella stessa zona, per motivi sia naturali (ambientali e organolettici) sia umani (lavorazioni tradizionali);
  • l’intero processo di produzione, trasformazione e/o elaborazione deve avvenire nella stessa zona di appartenenza.

Per esempio, nel caso dell’Asiago DOP il gusto tipico del formaggio dipende da alcune erbe aromatiche di cui si nutrono i bovini allevati in un circoscritto territorio montano del Veneto. Inoltre le caratteristiche del formaggio dipendono anche dalle tecniche di lavorazione tradizionali impiegate e dalla stagionatura nelle condizioni microclimatiche specifiche di quella zona. Le forme pronte sono infine marchiate a fuoco con il logo di proprietà del Consorzio di Tutela dell’Asiago DOP.

IGP (Indicazione Geografica Protetta)

I prodotti che si fregiano del marchio Indicazione Geografica Protetta sono caratterizzati da una dipendenza meno stringente dal territorio di appartenenza e da disciplinari di produzione più flessibili rispetto a quelli dei prodotti DOP. In sostanza, è sufficiente che una sola caratteristica del prodotto (e non tutte) dipenda da una specifica zona geografica, dunque dal punto di vista della filiera basta che o la produzione o la trasformazione o l’elaborazione o anche solo la fama del prodotto alimentare facciano capo alla zona geografica indicata.

L’unicità di un prodotto IGP dipende dunque da aspetti molto eterogenei legati alla cultura di un certo territorio, ma comunque apprezzabili: un metodo di lavorazione tradizionale (pasta di Gragnano, lardo di Colonnata, speck dell’Alto Adige); una tecnica di coltivazione o di allevamento particolare (scalogno di Romagna); una caratteristica organolettica specifica (carciofo di Paestum, ciliegia di Vignola, pesca di Verona, trote del Trentino); una precisa tradizione storica o culturale (zampone di Modena, sale integrale di Trapani).

Per esempio, il lardo di Colonnata IGP viene preparato secondo un’antica tradizione tipica di Colonnata, una frazione di Carrara, in Toscana, stagionando il lardo dentro conche del prezioso marmo locale; tuttavia il lardo può provenire da maiali allevati in altre regioni. Lo stesso vale per la bresaola della Valtellina, la mortadella Bologna e così via.

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STG (SPECIALITÀ TRADIZIONALE GARANTITA)

Il marchio Specialità Tradizionale Garantita viene attribuito a prodotti che non hanno nessun vincolo geografico, né per quanto riguarda le materie prime né per la lavorazione. Pertanto il marchio indica semplicemente che la lavorazione avviene secondo criteri artigianali.

Per esempio, la mozzarella STG può essere prodotta in qualsiasi Stato europeo, purché si segua il metodo di produzione tradizionale.

  FRANCIA SPAGNA REGNO UNITO GERMANIA
DOP AOP
Appellation d’Origine Protégée
DOP
Denominación de Origen Protegida
PDO
Protected Designation of Origin
g.U.
geschützte Ursprungsbezeichnung
IGP IGP
Indication Géographique Protégée
IGP
Indicación Geográfica Protegida
PGI
Protected Geographical Indication
g.g.A.
geschützte geographische Angabe
STG STG
Spécialité Traditionnelle Garantie
ETG
Especialidad Tradicional Garantizada
TSG
Traditional Speciality Guaranteed
g.t.S.
garantiert traditionelle Spezialität
Le sigle dei marchi di qualità in alcuni paesi europei.

I marchi dei vini

Con il Regolamento CE n. 491/2009, l’Unione Europea ha stabilito per i vini due grandi differenziazioni: i vini di origine geografica, suddivisi in DOP o IGP, e i vini senza origine geografica, in precedenza noti come vini varietali, d’annata e da tavola, privi di vincolo geografico e dunque di un disciplinare proprio.

In particolare, la nuova normativa semplifica il panorama delle sigle italiane usate in precedenza per identificare i vini a forte connotazione territoriale.

I vini appartenenti alla categoria DOP possono ancora presentarsi sul mercato distinti nelle denominazioni DOC (Denominazione di Origine Controllata) e DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), ma sono definitivamente abrogati precedenti marchi di qualità italiani del tipo VQPRD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate).

I vini IGP, invece, possono ancora essere commercializzati con la precedente sigla IGT (Identificazione Geografica Tipica).

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Cibo e marchio biologico

“Biologico” significa letteralmente “che si riferisce all’ambito degli esseri viventi”: fatta eccezione per il sale e l’acqua, quasi tutti gli alimenti sono di natura biologica. E, sotto certi aspetti, sono tali persino molti prodotti non alimentari come il petrolio e i suoi derivati.

Tuttavia, in ambito commerciale, sia pure in modo improprio, si definisce “biologico” il cibo che è “naturale” o “ecologico”, richiamando con questo aggettivo un insieme di pratiche di coltivazione e allevamento che rispettano la natura senza impoverirla, inquinarla o mutarla. In questa accezione, non possono essere considerati biologici tutti quei prodotti che hanno ingredienti geneticamente modificati (OGM) o contengono sostanze di origine sintetica, oppure che sono stati ottenuti spingendo al limite i cicli e i tempi della natura.

È bene chiarire fin da subito che gli unici prodotti totalmente biologici sono gli animali e le piante che crescono senza intervento dell’uomo, lontano dai luoghi contaminati in cui viviamo.

Quando si parla di metodi di produzione biologica si intende soprattutto un insieme di accorgimenti produttivi che vogliono contrapporsi alle produzioni guidate unicamente dalla logica del profitto, i cui danni alla qualità degli alimenti, alla salute umana, all’ambiente e alla società sono ampiamente noti e documentati.

È inevitabile, almeno attualmente, che i prodotti biologici risultino più costosi di quelli ottenuti con metodi di produzione classica, persino quando si tratta di alimenti “grezzi” che richiedono pochi trattamenti. Un esempio tipico è lo zucchero di canna biologico, decisamente più caro dello zucchero bianco, nonostante la raffinazione di quest’ultimo richieda maggiori risorse tecnologiche ed energetiche.

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LA PRODUZIONE DI ALIMENTI BIOLOGICI

Dal punto di vista produttivo, colture e allevamenti biologici si basano su alcune linee guida di carattere generale:

  • rotazione delle colture per limitare l’impoverimento dei terreni;
  • impiego molto ristretto di pesticidi e fertilizzanti sintetici in agricoltura, di antibiotici nell’allevamento degli animali, di additivi e coadiuvanti artificiali negli alimenti;
  • divieto dell’uso di organismi geneticamente modificati (OGM);
  • uso efficace delle risorse del luogo (per esempio, utilizzo del letame proveniente dalle stalle per fertilizzare i campi e le coltivazioni dei foraggi destinati al bestiame della stessa azienda agricola);
  • scelta di piante e animali endemici (cioè tipici del territorio), generalmente più resistenti alle malattie e adatti alle condizioni locali;
  • allevamento di animali a stabulazione libera, all’aperto, e nutriti con foraggio biologico;
  • pratiche di allevamento che tengano conto del benessere delle differenti specie di bestiame.

IL MARCHIO “BIO”

I consumatori possono riconoscere i prodotti biologici grazie alla presenza di uno specifico marchio sulle etichette: la cosiddetta eurofoglia stampigliata su fondo verde. Per certificare come biologici i propri prodotti e ricevere il relativo marchio da apporre sulle etichette, un’azienda deve rispettare le regole previste dai Regolamenti CE n. 834/2007 e n. 889/2008 e sottoporsi a verifiche periodiche da parte di un organismo di controllo che sia stato autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF). Il nome dell’organismo di controllo deve comparire sull’etichetta.

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