▶ La tracciabilità
Secondo un recente rapporto della FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura), il 70% delle nuove malattie emerse nel mondo negli ultimi decenni è di origine animale; in parte, queste patologie sono direttamente connesse con la produzione di sempre maggiori quantità di cibo di origine animale.
A rendere il quadro più complesso si aggiungono la grande mobilità umana e l’allungamento delle filiere alimentari, che sempre più spesso si estendono ben oltre i confini di un singolo Stato. La combinazione di tutti questi fattori trasforma talvolta in pandemie le malattie infettive veicolate dagli alimenti: basti pensare ai casi della “mucca pazza”, dell’influenza aviaria e della febbre suina, per citarne solo alcuni.
Per tutelare la salute dei cittadini da patologie simili, molti paesi stanno adottando misure di controllo che permettano di individuare velocemente l’origine del contagio, ripercorrendo a ritroso le filiere alimentari sospette.
Una normativa europea, il Regolamento CE n. 178/2002, impone alle aziende coinvolte nelle filiere alimentari di documentare sia la provenienza sia la destinazione delle loro merci. Inizialmente l’obbligo riguardava solo le filiere di carne, pesce e uova, ma progressivamente si è esteso a tutti i prodotti alimentari.
Vista in una prospettiva più ampia, questa normativa consente la tracciabilità del percorso di ogni ingrediente, dalla sua produzione fino al suo utilizzo per la preparazione di un alimento, e di ogni alimento finito fino al luogo in cui viene venduto. Lo scopo è far sì che tutto ciò che entra nella catena alimentare (mangimi, animali vivi destinati al consumo umano, alimenti, ingredienti, additivi…) conservi traccia della propria origine.
In questo modo, quando si scopre un prodotto non conforme ai requisiti sanitari o di legge è possibile risalire alla fonte del problema, rintracciare i produttori responsabili e ritirare dal mercato tutti i prodotti che potrebbero presentare le stesse criticità.