Tra disperazione e orgoglio
Togliersi la vita appare spesso come la tragica via di fuga da una situazione insostenibile. È ciò che accade a Pier delle Vigne, come narrato nel canto XIII dell’Inferno di Dante (immagine a fianco). Egli si uccide per non sottostare all’ingiusto allontanamento da parte dell’imperatore Federico II, che aveva prestato orecchio ai calunniatori. Ma l’autore della Divina
Commedia è un poeta cristiano e come tale, pur comprendendo le ragioni del gesto estremo e pur riconoscendo l’altezza d’animo del personaggio, non può non condannarlo alla dannazione eterna: nella spettrale selva dei suicidi, appunto, con le anime dei colpevoli trasformate in alberi e arbusti. Lo stesso rigore non si esercita invece su Catone, il partigiano di Pompeo uccisosi a Utica, stoico campione delle virtù repubblicane di Roma, posto anzi a guardiano del Purgatorio: per Dante, più che il suicidio in sé in questo caso è importante la dimostrazione di libertà dell’eroe, che non sottomette sé stesso e le proprie idee al nemico.