145 per fermo che non sia stata senza infinito accrescimento d’infelicità. Certo che
quelle genti salvatiche non sentono mai desiderio di finir la vita; né anco va loro
per la fantasia che la morte si possa desiderare: dove che gli uomini costumati
a questo modo nostro e, come diciamo, civili, la desiderano spessissime volte,
e alcune se la procacciano.39 Ora, se è lecito all’uomo incivilito, e vivere contro
150 natura, e contro natura essere così misero; perché non gli sarà lecito morire
contro natura? essendo che da questa infelicità nuova, che risulta a noi dall’alterazione
dello stato, non ci possiamo anco liberare altrimenti, che colla morte.
[…]
PLOTINO Così è veramente, Porfirio mio. Ma con tutto questo, lascia ch’io ti consigli,
ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo
155 disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. E dico a quella natura primitiva,
a quella madre nostra e dell’universo; la quale se bene non ha mostrato di
amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata assai meno inimica e malefica,
che non siamo stati noi coll’ingegno proprio, colla curiosità incessabile40
e smisurata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opinioni e dottrine
160 misere: e particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità con
occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque sia grande
l’alterazione nostra, e diminuita in noi la potenza della natura; pur questa non
è ridotta a nulla, né siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in ciascuno
gran parte dell’uomo antico. Il che, mal grado che n’abbia la stoltezza nostra,41
165 mai non potrà essere altrimenti. Ecco, questo che tu nomini error di computo;42
veramente errore, e non meno grande che palpabile; pur si commette di continuo;
e non dagli stupidi solamente e dagl’idioti, ma dagl’ingegnosi, dai dotti,
dai saggi; e si commetterà in eterno, se la natura, che ha prodotto questo nostro
genere, essa medesima, e non già il raziocinio e la propria mano degli uomini,
170 non lo spegne. E credi a me, che non è fastidio della vita, non disperazione, non
senso della nullità delle cose, della vanità delle cure, della solitudine dell’uomo;
non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai: benché queste
disposizioni dell’animo sieno ragionevolissime, e le lor contrarie irragionevoli.
Ma contuttociò, passato un poco di tempo; mutata leggermente la disposizione
175 del corpo; a poco a poco; e spesse volte in un subito, per cagioni menomissime43
e appena possibili a notare; rifassi44 il gusto alla vita, nasce or questa
or quella speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella loro apparenza, e
mostransi non indegne di qualche cura; non veramente all’intelletto; ma sì, per
modo di dire, al senso dell’animo. E ciò basta all’effetto di fare che la persona,
180 quantunque ben conoscente e persuasa della verità, nondimeno a mal grado
della ragione, e perseveri nella vita, e proceda in essa come fanno gli altri: perché
quel tal senso (si può dire), e non l’intelletto, è quello che ci governa.
Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro ragione l’accomodar l’animo alla vita:
certamente quello è un atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuolsi
185 elegger piuttosto di essere secondo ragione un mostro, che secondo natura
uomo. E perché anche non vorremo noi avere alcuna considerazione degli