L'autore – Giacomo Leopardi

LABORATORIO verso l'esame

 TIPOLOGIA B  
 saggio breve  

ARGOMENTO

OTTIMISMO E PESSIMISMO IN LETTERATURA: DUE VISIONI DELLA VITA A CONFRONTO

Sviluppa l’argomento in forma di saggio breve utilizzando i documenti forniti. Nella tua argomentazione fai riferimento a ciò che hai studiato e alle tue conoscenze.

Documento 1

Per Dante (1265-1321), uomo del Medioevo, l’esistenza umana culmina nella vita eterna in Paradiso. Lì ogni anima è beata nell’unione con Dio e non desidera altro: il poeta ne discute in questo passo con l’anima di Piccarda Donati.


        Ma dimmi: voi che siete qui felici,
        disiderate voi più alto loco
        per più vedere e per più farvi amici?».

        Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco;
5     da indi mi rispuose tanto lieta,
        ch’arder parea d’amor nel primo foco:

        «Frate, la nostra volontà quïeta
        virtù di carità, che fa volerne
        sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.

10   Se disïassimo esser più superne,
        foran discordi li nostri disiri
        dal voler di colui che qui ne cerne;

        che vedrai non capere in questi giri,
        s’essere in carità è qui necesse,
15   e se la sua natura ben rimiri.

        Anzi è formale ad esto beato esse
        tenersi dentro a la divina voglia,
        per ch’una fansi nostre voglie stesse;

        sì che, come noi sem di soglia in soglia
20   per questo regno, a tutto il regno piace
        com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.

        E ’n la sua volontade è nostra pace:
        ell’è quel mare al qual tutto si move
        ciò ch’ella crïa o che natura face».


Paradiso, III, 64-87

Documento 2

Come spiega lo storico francese Georges Minois (n. 1946), nel Rinascimento l’ottimismo era legato all’idea della mitica età dell’oro.


Quando Erasmo1 annuncia l’imminente ritorno dell’età dell’oro, questa è già presente,
sotto differenti forme e in differenti luoghi, da circa mezzo secolo. È essa infatti
che fa da cornice al Rinascimento artistico del Quattrocento e, ben presto, dell’intera
Europa; è essa, inoltre, che costituisce la tela di fondo del pensiero umanista.
5 Sotto molti aspetti, ciò che chiamiamo Rinascimento non è che un ritorno dell’età
dell’oro. Un ritorno in forze, che caratterizza tutti gli ambiti della vita intellettuale e
artistica, e che corrisponde all’esplosione di un formidabile desiderio di felicità che
covava dal XIV secolo, in una cristianità malata, sofferente e prostrata da tanti mali.
La fine delle pesti e delle grandi carestie, la crescita economica e monetaria, la riscoperta
10 dei tesori intellettuali dell’Antichità, lo sviluppo delle corti principesche: tutto
ciò viene percepito dalle élites come una trasformazione radicale del contesto e della
qualità della vita, l’uscita da un lungo periodo di tenebre, in breve come il ritorno
dell’età dell’oro.


Georges Minois, La ricerca della felicità. Dall’età dell’oro ai giorni nostri, Dedalo, Bari 2010

 >> pag. 169 

Documento 3

Nell’operetta morale Dialogo di Malambruno e di Farfarello il mago Malambruno evoca il diavolo Farfarello per ottenere la felicità, ma riceve una risposta inattesa.


MALAMBRUNO Fammi felice per un momento di tempo.
FARFARELLO Non posso.
MALAMBRUNO Come non puoi?
FARFARELLO Ti giuro in coscienza che non posso.
5 MALAMBRUNO In coscienza di demonio da bene.
FARFARELLO Sì certo. Fa conto che vi sia de’ diavoli da bene come v’è degli uomini.
MALAMBRUNO Ma tu fa conto che io t’appicco qui per la coda a una di queste travi, se
tu non mi ubbidisci subito senza più parole.
FARFARELLO Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu
10 domandi.
MALAMBRUNO Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebù in persona.
FARFARELLO Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti
felice né te né altri della tua specie, più che abbia potuto io.
MALAMBRUNO Né anche per un momento solo?
15 FARFARELLO Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per
la millesima parte; quanto per tutta la vita.
MALAMBRUNO Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l’animo almeno
di liberarmi dall’infelicità?
FARFARELLO Se tu puoi fare di non amarti supremamente.
20 MALAMBRUNO Cotesto lo potrò dopo morto.
FARFARELLO Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe
prima qualunque altra cosa, che questa.
MALAMBRUNO Così è.
FARFARELLO Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace,
25 necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di
gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu
non possi fuggire per nessun verso di non essere infelice.


Giacomo Leopardi, Operette morali, 6

 >> pag. 170 

Documento 4

Il pensiero di Giacomo Leopardi non è mai statico e prevedibile, ma è sempre ricco di sfumature e di distinzioni.


La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi
la guarda superficialmente, e come molti l’accusano; ma di sua natura esclude la misantropia,
di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell’odio, non
sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbono
5 esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a’ loro simili,
sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente
o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia
fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se
non altro il lamento, a principio più alto, all’origine vera de’ mali de’ viventi. ec. ec.


Giacomo Leopardi, Zibaldone [4428]

Documento 5

In questa recensione di un volume di Arthur Schopenahauer (1788-1860), L’arte di essere felici esposta in 50 massime (Adelphi, Milano 1997) il poeta e giornalista Franco Marcoaldi (n. 1955) fornisce un ritratto insolito del filosofo tedesco.


L’uomo che considerava l’esistenza alla stregua di una valle di lacrime, stretta tra le
invalicabili pareti della noia e del dolore; lo scettico blu che con la falce della sua implacabile
prosa tagliava regolarmente l’erba sotto qualunque barlume di speranza,
ci viene a offrire niente meno che un trattato sulla felicità? Proprio così. E naturalmente
5 lo fa alla sua maniera; luciferino e persuasivo come sempre: certo, se stiamo
al suo gioco, e se seguiamo i suoi consigli. Primo tra tutti: usare sempre e soltanto la
ragione. Perché? Ma perché fantasticando su eventuali, future fortune, ci rendiamo
ancora più indigesta la realtà: il successivo disinganno, infatti, ci farà pagare cari tutti
quei castelli in aria che andavamo edificando. Quanto a coloro che passano il tempo
10 immaginando soltanto possibili disgrazie, le conseguenze saranno ancor più negative:
“In questo caso, la fantasia si può trasformare nel nostro carnefice domestico”.
Se al contrario affronteremo il nostro malessere e il nostro benessere attraverso una
riflessione quanto più possibile fredda e asciutta, scopriremo molte cose interessanti.
A partire da quella capitale: la felicità piena e positiva è impossibile, perché i piaceri
15 sono pie illusioni, vere e proprie chimere. Soltanto il dolore è un dato di fatto concreto.
Dunque, l’unica cosa sensata da fare, è cercare di contenerlo; di non alimentarlo
ulteriormente, soggiacendo alla tirannia del desiderio. […] Schopenhauer si mise
a raccogliere appunti, massime, sentenze e citazioni in vista della stesura del suo
trattatello sulla felicità; trattatello mai portato a compimento, ma che ora, grazie alla
20 perizia filologica di Franco Volpi, vede luce postuma. “Siamo nati tutti in Arcadia”,
attacca il filosofo di Danzica. “Tutti veniamo al mondo pieni di pretese di felicità e di
piaceri, e nutriamo la folle speranza di farle valere, fino a quando il destino ci afferra
bruscamente e ci mostra che nulla è nostro, mentre tutto è suo, poiché esso vanta un

 >> pag. 171 

diritto incontestabile non solo su tutti i nostri possedimenti e i nostri guadagni, ma
25 anche sulle nostre braccia e le nostre gambe, sui nostri occhi e le nostre orecchie”. Il
primo nemico da cui dovremmo guardarci, pertanto, è la volontà di affermazione.
D’altronde, “è impossibile un totale non volere”. E allora la vera saggezza consiste
nel riconoscere “la quantità indispensabile di volere se non si vuol cercare di raggiungere
l’ascetismo supremo, che è la morte per fame: tanto più il confine è stretto,
30 tanto più si è veri e liberi”. Già, ma come percorrere questa esile striscia di terra senza
cadere di sotto? In primo luogo abbassando la soglia delle attese. Poi individuando
con precisione ciò che siamo davvero capaci di fare, non essendoci niente di peggio
che invidiare qualcosa per cui non siamo tagliati: “Imitare le qualità e le caratteristiche
altrui è molto più vergognoso del portare abiti altrui, perché è il giudizio della
35 propria nullità espresso da se stessi”. Questa accresciuta consapevolezza, oltretutto,
ci costringerà a fare finalmente i conti col sempiterno equivoco secondo cui i nostri
dolori sarebbero causati da ragioni esterne. No, non è vero. Il mondo ci offre soltanto
degli appigli negativi a cui si agganciano i nostri preesistenti “cattivi umori”, che
altrimenti vivrebbero sparpagliati. La dimostrazione sta nel fatto che se abbiamo
40 una cattiva predisposizione d’animo, quand’anche una grande preoccupazione che
ci angosciava finisce per avere un esito felice, subito al suo posto ne subentra un’altra,
la quale evidentemente esisteva già prima. Gli mancava soltanto lo spazio d’azione
necessario. Tutto questo per dire che “chi trascorre la vita senza dolori fisici o psichici
eccessivi ha avuto la sorte più fortunata possibile; non colui al quale sono capitate
45 le gioie e i piaceri più grandi”. Vivere passabilmente: ecco il massimo a cui si può
ambire. Un po’ poco per chi va cercando la felicità? Certo che sì. Ma è meglio il poco
vero, o il tanto finto? Nietzsche diceva che in Schopenhauer aveva trovato finalmente
il maestro di vita, l’amico che “rasserena e allieta sempre; senza atteggiamenti tetri,
mani tremolanti, occhi acquosi, ma sicuramente e semplicemente, con coraggio e
50 vigore, con fare cavalleresco e duro”.


Franco Marcoaldi, Schopenhauer il pessimista che trovò la felicità, “La Repubblica”, 25 maggio 1997

Guida alla stesura

  • Dopo un’attenta lettura di tutti i documenti, fai una breve sintesi di ognuno: l’ottimismo di Dante è di matrice religiosa (doc. 1); l’ottimismo del Rinascimento è squisitamente laico (doc. 2); il pessimismo leopardiano è di tipo materialistico (doc. 3); il pessimismo non conduce necessariamente alla misantropia, ma può presupporre una solidarietà tra uomini (doc. 4); un uso accorto della ragione non comporta né ottimismo né pessimismo (doc. 5). Questo ti permetterà di avere un’idea complessiva.
  • Individua le parole chiave presenti in ogni documento e raggruppale in una serie di temi omogenei: posizioni ottimistiche (docc. 1-2); posizioni variamente pessimistiche (doc. 4); posizioni mediane (docc. 3, 5).
  • Individua i punti di contatto e quelli di divergenza fra i diversi temi. Mettili a confronto, spiegando come si sono sviluppati, modificati, e perché.
  • Ogni tua affermazione deve essere sempre argomentata.
  • Usa un linguaggio chiaro e preciso, e, dove necessario, tecnico.

Al cuore della letteratura - Giacomo Leopardi
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