Al cuore della letteratura - volume 4

Il primo Ottocento – L'autore: Ugo Foscolo

 T6 

A Zacinto

Poesie, 9


In questo sonetto, scritto alla fine del 1802 e dedicato all’isola Zante (Zacinto), Foscolo presenta alcune delle sue tematiche più frequenti: l’esilio, la sepoltura non bagnata dalle lacrime dei cari, la funzione eternatrice della poesia. Aleggia sui versi l’atmosfera eterna e suggestiva del mito, nella quale il poeta e l’esule per eccellenza, Ulisse, si rispecchiano in una analoga malinconia. All’eroe omerico è stato però concesso il ritorno in patria, che invece a Foscolo è negato.


METRO Sonetto con schema di rime ABAB ABAB CDE CED.

        Né più mai toccherò le sacre sponde
        ove il mio corpo fanciulletto giacque,
        Zacinto mia, che te specchi nell’onde
4     del greco mar da cui vergine nacque

        Venere, e fea quelle isole feconde
        col suo primo sorriso, onde non tacque
        le tue limpide nubi e le tue fronde
8     l’inclito verso di colui che l’acque

        cantò fatali, ed il diverso esiglio
        per cui bello di fama e di sventura
11   baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

        Tu non altro che il canto avrai del figlio,
        o materna mia terra; a noi prescrisse
14   il fato illacrimata sepoltura.

 >> pag. 93 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

L’ispirazione del sonetto* è chiaramente autobiografica: la terra natale (Zacinto mia, v. 3; ove il mio corpo fanciulletto giacque, v. 2; materna mia terra, v. 13), l’esilio, la morte in un paese straniero, la sepoltura senza conforto costituiscono motivi centrali della poetica foscoliana. Tuttavia la condizione soggettiva non viene esibita direttamente, ma filtrata attraverso le immagini del mito e l’evocazione dei luoghi della classicità, che il poeta connette alla propria vicenda esistenziale in un gioco virtuosistico di rimandi e allusioni. Secondo una precisa cifra espressiva e una sua tipica, intima sensibilità, Foscolo intreccia passato e presente, mitologia ed esperienza personale, identificandosi profondamente nei valori e nelle suggestioni della civiltà greca. In tal modo, la sua origine greca riconduce alla nascita di Venere, emersa dalle acque del greco mar (v. 4); quindi, in un progressivo allargamento di pensiero, l’accenno alla dea comporta il passaggio successivo all’epos di Omero e di conseguenza al suo eroe immortale, Ulisse, del quale il poeta condivide la condizione errabonda di esule.

Però, a differenza dell’eroe omerico, al quale fu concesso di approdare nuovamente a Itaca, l’isola da cui era partito, Foscolo sente profeticamente che a lui il ritorno sarà per sempre negato: Né più mai toccherò le sacre sponde (v. 1). Mentre Ulisse simboleggia l’eroe classico, che trionfa dopo aver combattuto le avversità della sorte, il poeta incarna la malinconica negatività del personaggio romantico, destinato alla sconfitta storica. Quello di Foscolo rimarrà infatti un viaggio senza fine, emblema di una condizione perenne di smarrimento e sradicamento, che è conseguenza di uno spirito inquieto (la percezione dell’impossibilità di recuperare il luogo mitico della fanciullezza innocente, qui descritto con immagini idilliche e cariche di nostalgia: sacre sponde, v. 1; isole feconde, v. 5; le tue limpide nubi e le tue fronde, v. 7), a cui non sono estranee motivazioni politiche (la delusione napoleonica è già consumata).

Le scelte stilistiche

La rievocazione di Venere costituisce la base di un’architettura complessa, che si struttura per addizione progressiva di passaggi, tutti tenuti insieme da una concatenazione sintattica che supera la struttura delle strofe e che, senza soluzione di continuità, congiunge in un solo ampio periodo, scandito dagli enjambement*, le due quartine* e la prima terzina*. Il poeta parte dalla vicenda personale e familiare per arrivare al ritorno in patria di Ulisse: un ricongiungimento, questo, che viene sottolineato dalla collocazione delle parole più significative, Itaca e Ulisse (vale a dire la patria e l’eroe), nella posizione privilegiata della fine del verso (baciò la sua petrosa Itaca Ulisse, v. 11).

Foscolo, che, come detto, non può condividere il destino fortunato dell’eroe, si rispecchia tuttavia nel poeta che lo ha immortalato: il parallelismo tra Omero che cantò le imprese di Ulisse (v. 9) ed egli stesso che offre alla propria terra il dono del canto (v. 12) evidenzia un fato personale tragico perché su di esso grava la condanna dell’illacrimata sepoltura (v. 14), ma al tempo stesso glorioso dal momento che sarà reso immortale dall’arte. Il distacco dalla patria è una terribile lacerazione imposta all’uomo moderno, a cui non resta che la poesia per consolare una perdita irrimediabile.
Si afferma così un altro dei temi portanti dell’arte foscoliana: la fede nella poesia come forza capace di superare la finitezza del tempo umano e di rendere eterne le gesta degli eroi e la bellezza dei luoghi. Il riscatto dalla morte e dalle sventure esistenziali è così possibile grazie ai miti dell’Ellade, non riproposti in chiave ornamentale (come accadeva nella produzione di gran parte dei letterati neoclassici), ma rivissuti come emblemi di una suprema bellezza conservata da un’arte superiore, capace di rendere limpido e armonioso tutto ciò che su questa Terra è invece fugace e doloroso.

 >> pag. 94 

Un’ultima considerazione va fatta in merito alla studiata trama dei tempi verbali, che fissa l’ordine cronologico della Storia, divisa tra il passato della dimensione mitica e atemporale di un’infanzia universale e il futuro personale evocato profeticamente. All’eterno presente che cristallizza la descrizione dell’isola (Zacinto mia, che te specchi nell’onde, v. 3) si contrappongono i passati remoti con cui il poeta parla di sé (a noi prescrisse il fato, vv. 13-14), di Venere, di Omero e di Ulisse. Il tempo futuro riguarda invece unicamente il destino dell’io lirico e ricorre in due occasioni: entrambe sono di segno negativo e vengono significativamente poste in apertura (Né più mai toccherò, v. 1) e in chiusura (Tu non altro che il canto avrai, v. 12), a rimarcare una sorta di circolarità nella struttura del componimento, dalla nascita del poeta fino alla sua morte, che lo vedrà restituito finalmente alla terra ma senza la consolazione delle lacrime dei cari.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Svolgi la parafrasi del sonetto, prestando attenzione a ricostruire i periodi secondo l’ordine consueto, alterato dall’ampio uso che Foscolo fa dell’iperbato.

ANALIZZARE

2 I motivi dell’esilio e dell’arte poetica si intrecciano nel sonetto: individuali, trascrivendoli nella tabella.


Esilio
Arte poetica
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

3 Individua gli enjambement presenti nel testo.


4 Individua le due apostrofi a Zacinto e spiega i concetti che vi vengono espressi.


5 Si alternano, nel sonetto, immagini legate alle sfere dell’acqua e della terra: elencale nelle due colonne.


Acqua
Terra
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

6 Vergine nacque / Venere (vv. 4-5); non tacque […] l’inclito verso (vv. 6-8); l’acque / cantò fatali (vv. 8-9); baciò la sua petrosa Itaca Ulisse (v. 11). Quale figura retorica si trova in questi versi?

  •   A   Anafora.
  •     Iperbato.
  •     Anacoluto.
  •     Anastrofe.

INTERPRETARE

7 Che valore assume la forte negazione presente nell’incipit?


8 Rispetto alla negazione iniziale, quella finale del v. 12 svolge una funzione simile o differente? Perché?

PRODURRE

9 Il fato non consente a Foscolo di tornare in patria. Il suo può essere interpretato come il lamento di un migrante costretto a lasciare la propria terra. Ragiona sull’attualità di questa tragica condizione in un testo argomentativo di circa 30 righe.


10 A quasi due secoli di distanza si ricorderà del sonetto foscoliano il poeta Umberto Saba (1883-1957) nel comporre Ulisse: quali analogie e differenze cogli tra le due liriche?


Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore
.


 >> pag. 95 

 T7 

In morte del fratello Giovanni

Poesie, 10


L’8 dicembre 1801 il ventenne Giovanni Dionigi Foscolo, tenente dell’esercito cisalpino, si suicida, forse per un debito di gioco. Nel 1803 il poeta, prendendo a modello i versi di Catullo, trae spunto dall’evocazione della sua tomba per esprimere motivi insieme soggettivi e universali (l’esilio, la caduta delle speranze, gli affetti familiari, la sventura).


METRO Sonetto con schema di rime ABAB ABAB CDC DCD.

        Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
        di gente in gente, me vedrai seduto
        su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
4     il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

        La Madre or sol suo dì tardo traendo
        parla di me col tuo cenere muto,
        ma io deluse a voi le palme tendo
8     e sol da lunge i miei tetti saluto.

 >> pag. 96 

        Sento gli avversi numi, e le secrete
        cure che al viver tuo furon tempesta,
11   e prego anch’io nel tuo porto quïete.

        Questo di tanta speme oggi mi resta!
        Straniere genti, almen le ossa rendete
14   allora al petto della madre mesta.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il poeta fa riferimento alla grande tradizione dei componimenti funebri, e in particolare a un esempio classico, il carme 101 del liber di Catullo, ma, mentre in esso l’autore latino esprime almeno la consolazione di poter fare visita alla tomba del fratello, Foscolo non ha tale possibilità, poiché l’esilio glielo nega.
Più in generale, qui Foscolo adatta il modello alla propria situazione emotiva: nella trama dei versi catulliani irrompono infatti i temi del destino nemico (gli avversi numi, v. 9), dell’assedio perenne delle preoccupazioni (le secrete / cure, vv. 9-10) e dell’attesa spasmodica della pace (quïete, v. 11), nel confronto sconsolato tra le speranze tramontate e il presente, ormai privo di illusioni, confortato soltanto dalla prospettiva futura della morte (Questo di tanta speme oggi mi resta!, v. 12).

Il senso ultimo del sonetto* sta proprio in questo desiderio di riposo eterno, che il suicidio del fratello ha suscitato nell’autore. Come nel componimento Alla sera, la morte è promessa di pace dopo un’esistenza dolorosa. Il poeta tuttavia non spera in un ricongiungimento di anime in un aldilà di tipo cristiano: le sue convinzioni materialistiche glielo impediscono. Può aspirare soltanto a che la propria salma stia accanto ai suoi cari (sia chi non c’è più sia chi è ancora sulla Terra), in modo da garantire il dialogo pietoso che unisce i vivi e i morti, grazie a quella «corrispondenza d’amorosi sensi» auspicata nei Sepolcri.
La preghiera di un gesto di pietà, che permetta alle sue spoglie di essere riconsegnate dopo la morte al petto materno, esprime così il desiderio estremo del poeta di tornare in patria e poter contare su una forma di sopravvivenza ideale, grazie al compianto affettuoso della madre: in quanto confortata dal suo pianto, la tomba costituisce per lui un luogo di vita, dove è possibile ricomporre quel legame familiare che l’esistenza e la Storia hanno tragicamente reciso.

 >> pag. 97 

Le scelte stilistiche

Comuni ai due fratelli sono dunque l’esperienza del dolore (le secrete cure, vv. 9-10) e la speranza di morte, in una costante identificazione emotiva e biografica che alcuni parallelismi interni si incaricano di fissare sul piano stilistico: i due esempi di sineddoche* cenere muto (v. 6) e ossa (v. 13), che si riferiscono rispettivamente a Giovanni e al poeta nella loro relazione con la figura materna; il chiasmo* (viver tuo – tuo porto, vv. 10-11), che sottolinea l’identificazione tra le condizioni dei due fratelli; l’antitesi* tra le sofferenze della vita e la quiete della morte espressa dalle contrapposizioni cure-quïete (vv. 10-11) e viver-porto (vv. 10-11) e condivisa da entrambi (anch’io, v. 11). Del resto, tutto il componimento vede una transizione continua dal piano soggettivo dell’io poetico a quello del fratello, come si coglie dall’alternarsi degli aggettivi possessivi di prima e seconda persona: tua pietra, fratel mio, tuoi gentili anni, tuo cenere muto, miei tetti, viver tuo, tuo porto.

Appartiene invece solo al poeta la condizione della fuga continua – come si evince dalla frequenza dei verbi di movimento (andrò, v. 1; fuggendo, v. 1; tendo, v. 7) e dal campo semantico legato all’esilio (di gente in gente, v. 2, Straniere genti, v. 13) – e dell’insuperabile solitudine, sottolineata dal v. 8 (e sol da lunge i miei tetti): mentre la madre e il fratello hanno ricomposto il nucleo degli affetti grazie alla vicinanza e alla possibilità di coltivare l’illusione sentimentale del colloquio, il poeta è lontano, distante dal petto della madre (v. 14) e dalla terra di origine (i miei tetti, v. 8).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del sonetto.


2 Quali immagini richiamano il tema dell’esilio? Rintracciale nel testo.


3 In che modo è raffigurata la madre del poeta?


4 Illustra il significato letterale dell’apostrofe finale.

ANALIZZARE

5 Nella prima terzina è presente una metafora: quale?


6 Elenca i termini aulici e latineggianti presenti nel componimento.


7 L’espressione deluse […] palme (v. 7) costituisce una

  •   A   similitudine.
  •     metonimia.
  •     anastrofe.
  •     ipallage.

INTERPRETARE

8 La morte non viene mai nominata direttamente, ma sempre evocata attraverso immagini e metafore. Rintracciale nel testo e spiegane il significato.


9 La parola Madre (v. 5) è scritta con l’iniziale maiuscola. Per quale motivo?

PRODURRE

10 Confronta la lirica foscoliana con il carme 101 di Catullo (di cui riportiamo la traduzione di Luca Canali), evidenziando analogie e differenze tra i due componimenti in un testo espositivo di circa 20 righe.


Venuto fra tante distese di genti e di acque,
giungo, o fratello, alle tue spoglie sventurate
per rendere l’omaggio supremo dovuto alla morte
e dire vane parole al tuo cenere muto,
poiché la fortuna mi tolse la tua umana presenza,
povero fratello a me ingiustamente rapito.
Ma l’offerta, secondo l’antico costume dei padri,
come l’ultimo triste saluto rivolto alla tomba,
accoglila aspersa di molto pianto fraterno,
e ancora, o fratello, salute in eterno e addio
.


Al cuore della letteratura - volume 4
Al cuore della letteratura - volume 4
Il primo Ottocento