La partecipazione al movimento romantico

Il primo Ottocento – L'autore: Alessandro Manzoni

La partecipazione al movimento romantico

Manzoni non prende parte direttamente alla polemica tra Classicisti e Romantici che si scatena a Milano nel 1816, quando sulla “Biblioteca italiana” compare l’articolo di Madame de Staël Sulla maniera e utilità delle traduzioni; frenato dal proprio carattere riservato, che lo induce a mantenersi nell’ombra, nel 1818 l’autore preferisce non partecipare in prima persona all’impresa del “Conciliatore” ( ► p. 243), la rivista fondata dai Romantici lombardi, a cui pure guarda con attenzione e simpatia.
Nella battaglia per una nuova cultura Manzoni condivide senza riserve il rifiuto di tutto quel corredo mitologico dal quale aveva ampiamente attinto in gioventù. Già negli Inni sacri, come si è visto, vi aveva rinunciato, senza per questo abbracciare la direzione individualista propria della lirica europea di stampo romantico. Diffidente nei confronti dell’orrido fantastico e degli abbandoni sentimentali (in un appunto afferma che «non si deve scrivere d’amore in modo da far consentire [istigare] l’animo di chi legge a questa passione»), Manzoni del Romanticismo accoglie innanzitutto le istanze liberali e nazionali, oltre che l’interesse per la Storia dei popoli.

Il rifiuto delle regole esclusivamente fondate sull’autorità degli antichi comporta in ambito teatrale la rinuncia alle unità drammatiche di tempo e di luogo nelle due tragedie, Il conte di Carmagnola e Adelchi. Secondo Manzoni il rispetto di tali unità è un errore tanto sul piano morale quanto su quello estetico, poiché costringe a rappresentare un’azione troppo concentrata, passioni troppo esuberanti, caratteri poco credibili, e quindi a scivolare nell’inverosimile, mentre lo scrittore milanese resta inflessibilmente fedele al «santo Vero», obiettivo già delineato nel carme per Carlo Imbonati e rivestito dopo la conversione di nuovi significati.

Queste idee sono esposte da Manzoni nella Prefazione al Conte di Carmagnola e nella Lettre à Monsieur Chauvet (1820), scritta in francese e indirizzata a un recensore della medesima tragedia. In essa l’autore bolla come «arbitrarie » le regole desunte dalla Poetica di Aristotele ( ► p. 247) e insiste sulla necessità di liberarsi definitivamente dei residui di mentalità tramontate da millenni: solo così potrà nascere una letteratura in grado di rispettare la realtà del proprio tempo, coinvolgere il pubblico e assolvere ai fini educativi che Manzoni ritiene irrinunciabili. Il soggetto delle opere va attinto dalla Storia, ma a completare l’accertamento dei fatti interviene la sensibilità dello scrittore, intento a rappresentare i sentimenti che si agitano nel cuore dei personaggi. “Vero storico” e “vero poetico” si amalgamano così in una sintesi superiore.
La lettera a Chauvet – al tempo stesso bilancio, manifesto di poetica e bussola per il cammino futuro – viene pubblicata solo nel 1823, quando le polemiche intorno al Romanticismo cominciano a spegnersi. Nello stesso anno Manzoni conclude il Fermo e Lucia, prima stesura dei Promessi sposi, e scrive al marchese d’Azeglio una lettera in cui condensa le sue idee in merito a una letteratura che «debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo».

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Lettera sul Romanticismo

Nel 1823 il marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, padre di Massimo (il quale più tardi diverrà genero di Manzoni, sposandone la primogenita Giulia), pubblica La Pentecoste sulla rivista “Amico d’Italia”, che invia allo scrittore milanese, accompagnata da una lettera in cui predice al Romanticismo vita breve. Di lì a poco Manzoni gli risponde privatamente con la missiva nota come Lettera sul Romanticismo, in cui espone le proprie idee in merito alle polemiche tra Classicisti e Romantici. La lettera viene stampata nel 1846, contro la volontà dell’autore, che nel 1870 la rivedrà e pubblicherà nelle sue Opere varie. Qui si riprende il testo della prima e più incisiva stesura.

[…] Mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si
possano ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico.1 Il principio,
di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo:
che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero
5 per soggetto e l’interessante per mezzo. Debba per conseguenza scegliere gli argomenti2
pei quali la massa dei lettori ha o avrà, a misura che diverrà più colta, una
disposizione di curiosità e di affezione, nata da rapporti reali, a preferenza degli
argomenti, pei quali una classe sola di lettori ha una affezione nata da abitudini
scolastiche, e la moltitudine una riverenza non sentita né ragionata, ma ricevuta
10 ciecamente. E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero
storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente
del bello: giacché e nell’uno e nell’altro ordine di cose, il falso può bensì dilettare,
ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero; è quindi
temporario3 e accidentale. Il diletto mentale non è prodotto che dall’assentimento4
15 ad una idea; l’interesse, dalla speranza di trovare in quella idea, contemplandola,
altri punti di assentimento, e di riposo: ora quando un nuovo e vivo lume ci fa
scoprire in quella idea il falso, e quindi l’impossibilità che la mente vi riposi e vi si
compiaccia, vi faccia scoperte, il diletto e l’interesse spariscono. Ma il vero storico e
il vero morale generano pure un diletto; e questo diletto è tanto più vivo e tanto più
20 stabile, quanto più la mente che gusta è avanzata nella cognizione del vero: questo
diletto adunque debbe la poesia e la letteratura proporsi di far nascere.
[…]
Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta5 nella mente, e nella quale io mi rallegro,
perché questo sistema,6 non solo in alcune parti, come ho accennato più
sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa.

 >> pag. 267 

25 Questa tendenza era ella nelle intenzioni di quelli che l’hanno proposto, e di
quelli che l’hanno approvato? Sarebbe leggerezza l’affermarlo di tutti; perché in
molti scritti di teorie romantiche, anzi nella maggior parte, le idee letterarie non
sono espressamente subordinate alla religione. Sarebbe temerità7 il negarlo, anche
d’un solo; perché in nessuno di quegli scritti, almeno dei letti da me, la religione è
30 esclusa. Non abbiamo né i dati, né il diritto, né il bisogno di fare un tal giudizio:
una tale intenzione, certo desiderabile, certo non indifferente, non è però necessaria
per farci dare la preferenza a quel sistema. Basta che in effetto abbia la tendenza
che si è detta. Ora, il sistema romantico, emancipando la letteratura dalle tradizioni
etniche, disobbligandola,8 per così dire, da una morale voluttuosa, superba,
35 feroce, circoscritta al tempo, e improvvida anche in questa sfera,9 antisociale dove
è patriottica, ed egoistica quando cessa d’essere ostile, tende certamente a render
meno difficile l’introdurre nella letteratura le idee e i sentimenti che dovrebbero
informare10 ogni discorso. E dall’altra parte, proponendo, anche in termini generalissimi,
il vero, l’utile, il buono, il ragionevole, concorre se non altro con le parole,
40 che non è poco, allo scopo della religione, non la contraddice almeno, nei termini.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La prima parte della Lettera sul Romanticismo, che abbiamo omesso, è dedicata a una serrata critica al vecchio repertorio del Classicismo, ormai in declino: «La mitologia non è morta certamente, ma la credo ferita mortalmente; tengo per fermo che Giove, Marte e Venere faranno la fine che hanno fatta Arlecchino, Brighella e Pantalone, che pure avevano molti e feroci, e taluni ingegnosi sostenitori». Manzoni critica il ricorso alla mitologia non solo per ragioni estetiche, ma anche perché lo ritiene dal punto di vista etico e religioso riprovevole. A suo parere «l’uso della favola è idolatria» e lo riconduce arbitrariamente ai tempi precedenti alla venuta di Cristo.

Il brano della Lettera qui riportato riassume i punti cruciali della poetica di Manzoni negli anni più attivi e fertili della sua carriera. In armonia tanto con l’eredità dell’Illuminismo milanese quanto con gli ideali cattolici maturati dopo la conversione, lo scrittore ritiene che la letteratura debba proporsi l’utile per iscopo (r. 4), ovvero svolgere una funzione civile e pedagogica, e non già ridursi a effimero passatempo. Al tempo stesso reputa necessario coinvolgere un pubblico più ampio della sola classe dei letterati, per mezzo di soggetti interessanti, senza temere di “sporcarsi le mani” con generi allora ritenuti squalificanti per i letterati d’élite, come il romanzo, al quale Manzoni si rivolge giusto in quegli anni, lavorando con impegno anche sul versante stilistico per rendere il suo lavoro accessibile a una vasta platea di lettori.

Ciononostante l’autore milanese non ammette infrazioni alla regola per cui le opere debbano avere il vero per soggetto (rr. 4-5). Come scrive a Chauvet, «il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, né elevarla», mentre il «vero» è «l’unica sorgente d’un diletto nobile e durevole». In altre parole, compito dello scrittore non è dare prova di immaginazione seducente, inventando dal nulla vicende inverosimili, ma attingere la propria materia dalla Storia, integrandola con il “vero poetico” che deriva dall’interpretazione della realtà alla luce del Vangelo. Solo così la letteratura potrà in definitiva rientrare fra le scienze morali.
Su questa via più tardi Manzoni si spingerà al punto di esprimere, nel discorso Del romanzo storico (1850), riserve sui componimenti «misti di storia e d’invenzione», e dunque implicitamente sul proprio romanzo. Coerentemente, nella versione rivista della Lettera sul Romanticismo che pubblicherà nel 1870 sottometterà al vero l’utile e l’interessante, riducendoli a meri corollari.

 >> pag. 268 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del brano seguente: Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta nella mente, e nella quale io mi rallegro, perché questo sistema, non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa (rr. 22-24).

ANALIZZARE

2 Spiega in che modo, per Manzoni, il sistema romantico prepara il terreno per introdurre in letteratura le idee religiose.

INTERPRETARE

3 Manzoni ritiene che la letteratura debba aprirsi a un nuovo pubblico. Chiarisci meglio questo punto, facendo riferimento al dibattito delle idee in epoca romantica.

PRODURRE

La tua esperienza

4 Da quale libro o altra opera artistica (per esempio film, canzone) ti è capitato di ricavare degli insegnamenti morali che ti siano stati utili nella vita reale? Raccontalo in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe.


Al cuore della letteratura - volume 4
Al cuore della letteratura - volume 4
Il primo Ottocento