Il primo Ottocento – L'opera

Dei Sepolcri

Il fluire ininterrotto del tempo, la nostalgia per la Grecia, la venerazione dei grandi personaggi del passato, la funzione consolatrice e civilizzatrice della bellezza e delle arti, gli affetti familiari sono i temi fondamentali della poetica foscoliana, che trovano espressione nei sonetti e vengono poi diversamente rielaborati nei Sepolcri, il capolavoro dell’autore. Scritto nel 1806 e pubblicato l’anno successivo, in esso si celebra il particolare valore del culto dei morti, sia per l’individuo sia per la società.
Nella concezione materialistica del poeta, che nega la possibilità di una sopravvivenza dell’anima dopo la morte, la tomba rappresenta l’unico luogo in cui può ancora avvenire un colloquio tra vivi e defunti. L’importanza data al sepolcro non deve essere intesa come un atteggiamento di sterile nostalgia verso chi non c’è più: la memoria dei morti, infatti, soprattutto se hanno condotto una vita eroica, deve spingere gli uomini all’azione, spronando i virtuosi alla virtù morale e civile. Allo stesso tempo, le grandi personalità della Storia, che non erano state riconosciute come tali durante la vita, possono ottenere, attraverso il ricordo, la gloria meritata.
A questo contribuisce anche la poesia, assumendo il compito di conservare la memoria degli eroi una volta che le loro tombe siano state distrutte dal passare del tempo.

1 L’occasione e la composizione

Nella primavera del 1806 Ugo Foscolo, di ritorno dalla Francia, soggiorna in Veneto, dove ritrova alcuni amici fra cui Ippolito Pindemonte. Con loro il poeta discute, nel salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi, di un decreto francese di imminente estensione all’Italia, l’editto di Saint-Cloud, emanato da Napoleone Bonaparte nel 1804. Esso deliberava che, per motivi igienici, i morti dovessero essere seppelliti fuori dalle mura cittadine e, allo stesso tempo, al fine di evitare tra i defunti differenze per motivi di censo, stabiliva l’abolizione dei monumenti funebri e istituiva un controllo governativo sul contenuto delle iscrizioni sulle lapidi.

 >> pag. 115 

L’editto suscita immediatamente numerosi dibattiti e aspre polemiche, che d’altra parte intercettano un interesse, assai diffuso all’epoca presso l’opinione pubblica, per i culti funebri e per le eterne domande sulla morte e sull’immortalità dell’anima: basti pensare alla voga letteraria, prettamente inglese ma rapidamente estesasi a tutta l’Europa, della poesia notturna e sepolcrale► p. 160), praticata tra i primi dai poeti inglesi Edward Young (1683-1765) e Thomas Gray (1716-1771), autori, rispettivamente, dei Pensieri notturni (1742-1745) e dell’Elegia scritta in un cimitero di campagna (1750).

La discussione sull’editto pone inizialmente Pindemonte e Foscolo su posizioni opposte. Il primo, cattolico, crede nel valore spirituale e religioso della sepoltura, mentre il secondo, in base alle sue convinzioni materialistiche, nega il significato delle tombe: se la morte annulla completamente l’essere umano, nessun conforto può venirgli dalla sepoltura.
Qualche mese dopo, però, Foscolo rivede profondamente il proprio punto di vista e riflette ulteriormente sul tema, scrivendo i versi che saranno rielaborati alla fine del 1806 e infine pubblicati nell’aprile dell’anno successivo.

«Io aveva già», scrive Foscolo alla contessa Teotochi Albrizzi in una lettera del 6 settembre del 1806, «una Epistola sui Sepolcri da stamparsi lindamente: io la intitolo al Cavaliere ricordandomi de’ suoi lamenti e de’ vostri; e per fare ammenda del mio sdegno un po’ troppo politico». Il «Cavaliere» con cui Foscolo vorrebbe scusarsi è proprio Ippolito Pindemonte che, nella primavera del 1806, stava portando a termine un poemetto in ottave intitolato I cimiteri. Pindemonte però, saputa l’intenzione dell’amico di scrivere sullo stesso tema, rinuncia all’impresa e interrompe la stesura della propria opera: «Compiuto quasi io avea il primo canto dei Cimiteri», annoterà più tardi, «quando seppi che uno scrittore non ordinario, Ugo Foscolo, stava per pubblicare alcuni suoi versi a me indirizzati sopra i Sepolcri. L’argomento mio, che nuovo più non pareami, cominciò allora a spiacermi; ed io abbandonai il mio lavoro».

2 Un componimento civile

Dei Sepolcri, poema in endecasillabi sciolti (l’autore lo definisce un “carme”), viene pubblicato a Brescia nell’aprile 1807 in forma di epistola poetica indirizzata a Pindemonte, come ideale continuazione delle conversazioni veneziane. Si può dire che si tratta, sotto molti aspetti, di una palinodia, cioè di una ritrattazione: Foscolo infatti sconfessa le posizioni precedenti, per sostenere la funzione positiva delle tombe come luoghi di memoria privata e personale, ma soprattutto civile e politica.

Le reazioni suscitate dalla pubblicazione sono tutt’altro che entusiastiche. Di «oscurità», sia stilistica sia concettuale, parlano due letterati di grande prestigio quali Saverio Bettinelli e Pietro Giordani: quest’ultimo bolla il carme come un «fumoso enigma». Lo stesso Pindemonte, pur con l’elegante espediente della preterizione, esprime qualche riserva: «Io non vi dirò, ch’esser potevate forse men dotto e antico, e un po’ più chiaro e moderno».
Le riserve maggiori vengono espresse però dall’abate francese Aimé Guillon, che nel giugno del 1807 dalle colonne del “Giornale italiano” critica aspramente il linguaggio usato da Foscolo, l’eccesso di erudizione e le idee propugnate.

 >> pag. 116 

Rispondendo alle accuse del recensore francese in una Lettera a Monsieur Guillon sulla sua incompetenza a giudicare i poeti italiani (giugno 1807), Foscolo spiega l’intento della propria opera, le sue caratteristiche strutturali e i presupposti filosofici a cui si è mantenuto fedele.
In primo luogo l’autore rivendica l’originalità del suo lavoro all’interno del filone sepolcrale: mentre i poeti inglesi «meditarono sui sepolcri da cristiani» ed ebbero «per scopo la rassegnazione alla morte e il conforto di un’altra vita», egli ha voluto affrontare il tema della sepoltura prescindendo dagli aspetti religiosi e considerando unicamente quelli civili, con l’obiettivo di «animare l’emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi». Lo scopo che egli si è prefissato è quello di «predicare non la resurrezione de’ corpi, ma delle virtù».
Proprio la complessità di tale proposito ha richiesto l’elaborazione di un percorso nello spazio e nel tempo per individuare l’origine delle leggi e delle tradizioni grazie alle quali è nata e si è sviluppata la civiltà.

Da ciò deriva la particolare costruzione del discorso poetico, che si articola per blocchi logici e nuclei concettuali incentrati ciascuno su un diverso momento della civiltà umana e tenuti insieme da un’articolata “tessitura”. Questa trama – che assembla e intreccia tra loro le singole unità conferendo coerenza alla struttura del carme – si fonda su ispirazioni e suggestioni di tipo analogico, che Foscolo chiama «transizioni»: vere e proprie «cerniere del ragionamento» (Palumbo), esse sono fulminee associazioni di idee che nascono dalle immagini, accostate ad arte senza un necessario passaggio logico intermedio. Il transito da una sequenza all’altra del testo è affidato unicamente alle «particelle», ovvero alle congiunzioni, agli avverbi e alle locuzioni che scandiscono il progredire del discorso per stadi successivi, attraverso antitesi o parallelismi: in tal modo, grazie alla continua combinazione degli argomenti e alla mobilità dei diversi scenari, il lettore, nelle intenzioni di Foscolo, dovrebbe sfuggire alla noia, seguendo la ricchezza dei repentini spostamenti della trattazione nel tempo e nello spazio.

3 I temi

L’autore distingue in un apposito «sommario» quattro parti, a loro volta articolate in una serie di sezioni minori. Foscolo definisce questo lo «scheletro» del componimento, entro il quale è possibile riconoscere i passaggi fondamentali dell’argomentazione: la prima parte si sofferma sul conflitto tra morte e vita e sull’illusione della tomba, capace di offrire ai cari dell’estinto la concreta consolazione della memoria; la seconda illustra la storia e la differenziazione dei culti funebri; nella terza si parla della funzione civile e culturale delle tombe dei grandi uomini; nell’ultima parte si spiega come la morte porti giustizia nel mondo e come la poesia possa rendere eterni i valori di una civiltà, per quanto questa sia destinata a scomparire.

 >> pag. 117 

Tutto l’edificio dell’opera poggia comunque sul significato simbolico e psicologico che la sepoltura assume per i vivi, i quali grazie alle tombe riescono a superare la disperazione provocata dal fatto che la morte sia una totale annientatrice. Ogni cosa si consuma con essa, ma la costruzione, la presenza, la contemplazione della tomba garantiscono la continuità degli affetti tra vivi e morti, e l’illusione soggettiva che l’eredità morale degli esseri umani resista alla forza cieca e inarrestabile della natura.

D’altra parte Foscolo non rinuncia alla propria visione del mondo. La sua cultura materialistica e meccanicistica lo porta a negare ogni speranza religiosa: per lui la morte divora anche l’anima, e il tempo, mediante l’oblio che esso porta con sé, condanna ogni cosa vivente alla cancellazione e al nulla.
Derivate dal pensiero dell’Illuminismo, tali convinzioni sono rafforzate dallo studio di pensatori greci come Democrito ed Epicuro, ma anche e soprattutto dalla lettura del poeta latino Lucrezio, autore del poema De rerum natura (La natura delle cose): secondo questi autori, la realtà è fatta esclusivamente di materia e una forza meccanica indipendente da qualunque volontà superiore aggrega e disgrega atomi e corpi, in un processo continuo privo di finalità trascendenti.

Tuttavia, la forza della ragione trova in Foscolo un contrappeso ideale nella potenza del sentimento: concetto, quest’ultimo, tipicamente romantico. L’esigenza di eternità, insoddisfatta sul piano razionale, è appagabile su quello emotivo: alle motivazioni della scienza, valide nell’ambito naturale, è possibile contrapporre le ragioni del cuore, valide invece nell’ambito storico e umano.
È in questo rapporto dialettico che si fa spazio la fede nelle illusioni. Per “illusioni” Foscolo intende valori come gli affetti familiari, l’amore, la patria, l’eroismo, la stessa poesia, ideali capaci di dare un senso profondo all’esistenza, superando di gran lunga la ristrettezza dei suoi limiti effettivi. Se l’essenza della vita umana si rivela mortale, fragile, votata a una rapida consunzione, l’uomo può salvarsi dal nichilismo confidando ancora nel sistema di tradizioni e norme collettive elaborate dall’uomo nel corso della Storia, che conferiscono all’esistenza significato e continuità.

 >> pag. 118 

Se l’anima è destinata al «nulla eterno», qualcosa dell’essere umano e della sua individualità può tuttavia sopravvivere: il suo ricordo, il suo esempio, la sua immagine ideale alimentano la memoria nella dimensione privata e, allo stesso tempo, la estendono all’intera comunità su un piano etico e civile. La sepoltura può diventare un simbolo e un modello grazie al quale si trasmette l’insegnamento dei grandi uomini di ogni nazione, stimolo e ispirazione per i contemporanei e per i posteri a seguirne l’esempio e imitarne le gesta.

La delusione e il pessimismo che avevano spinto Jacopo Ortis al suicidio vengono così temperati dalla prospettiva di un riscatto morale, per il singolo e per la nazione. La situazione politica è certo disperata, ma il ricordo di un passato nobile ed eroico, trasmesso e vivificato dalle tombe dei grandi, può rappresentare un’ancora di salvezza e un motivo di speranza.
Se il culto della patria e il desiderio di redenzione politica e civile dall’oppressione possono contare sul sostegno di quelle memorie, a queste la poesia, custode e maestra di valori umani, garantisce una vita perenne. Essa infatti ha la stessa funzione educativa dei sepolcri ma, mentre questi possono essere distrutti dal tempo e non lasciare più traccia, la poesia «vince di mille secoli il silenzio», dando voce alla virtù del passato, rendendo eterni gli esempi e i princìpi su cui si fonda la società.

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T11 L’illusione del sepolcro
Prima parte,
vv. 1-90
• iniziale approccio razionalistico al valore delle sepolture
• passaggio a una concezione sentimentale e positiva delle tombe
• le tombe conservano nei vivi l’illusione della presenza dei defunti
• critica all’editto di Saint-Cloud
• importanza di riconoscere le tombe dei grandi
T12 La storia dei culti funebri
Seconda parte,
vv. 91-150
• dimensione e valore collettivo delle tombe
• richiamo ai valori civili di ciascun popolo
• culto dei defunti come atto costitutivo della civiltà
• esempio del culto dei morti medievale, considerato negativo
• culto delle necropoli antiche e di quelle inglesi, considerato positivo
• le tombe nell’Italia contemporanea come opulenta esibizione di potere
• dichiarazione di Foscolo della propria indipendenza intellettuale
T13 Le «urne de’ forti»
Terza parte,
vv. 151-212
• esempi di tombe dei “grandi”
• concezione aristocratica della Storia: sono i grandi a far muovere gli eventi
• ideale antitirannico e libertario
• richiamo ai caduti di Maratona
T14 Poesia e civiltà
Quarta parte,
vv. 213-295
• valore ideale della poesia
• la poesia trascende i limiti temporali delle cose e rende immortali i luoghi e le persone
• Omero, Elettra, Cassandra come esempi dell’eternità creata dalla poesia
• la poesia dispensatrice di giustizia

Al cuore della letteratura - volume 4
Al cuore della letteratura - volume 4
Il primo Ottocento