Memoria e autobiografia

Il primo Novecento – L'autore: Eugenio Montale

Memoria e autobiografia

La riflessione sul vissuto personale percorre tutta l’opera poetica di Montale, dove il carico dei ricordi acquista via via un peso crescente. Negli Ossi di seppia il confronto diretto con una desolante condizione esistenziale, trasposta nel riarso paesaggio ligure, non impedisce alla memoria di riportare in superficie immagini di volti amati, come accade in Cigola la carrucola del pozzo (► T11, p. 872). Il ricordo, che deforma una realtà irrevocabile, è destinato a svanire rapidamente: già nel primo Montale è presente una visione del tempo come spietato agente distruttivo, destinata ad assumere in seguito un ruolo decisivo.
Nelle Occasioni il distacco temporale e spaziale dalla donna amata favorisce l’emergere di una ricca vena memoriale. Il poeta recupera i rari momenti di gioia, ormai lontani, e riconosce in essi le tracce di altre vite possibili, diverse, libere dall’inerzia del presente. I ricordi investono continuamente una quotidianità grigia, illuminandola con segnali e messaggi cifrati che soltanto il poeta riconosce: attimi in cui si profila la possibilità di un «varco», di un’evasione verso un altrove felice, prima che l’inesorabile trascorrere del tempo sommerga la speranza, lasciando il posto allo smarrimento e alla solitudine. Finisterre prosegue nella stessa direzione, proiettando questa oscillazione di stati d’animo sullo sfondo oscuro della guerra, rischiarato talvolta dalla comparsa della donna sotto forma di angelo visitatore.

Oltre al motivo amoroso, a suscitare i ricordi nei versi di Montale è l’esigenza di elaborare il lutto, processo che non cede mai alla tentazione del patetico. Gli affetti più intimi sopravvivono nella memoria di chi rimane e li conserva gelosamente. I defunti sono così sottratti all’oblio ma anche alla pace della morte. In Notizie dall’Amiata, componimento che chiude Le occasioni, i fantasmi di chi è mancato assediano la mente, dando vita a uno dei più intensi esempi di climax della nostra poesia novecentesca: «Oh il gocciolìo che scende a rilento / dalle casipole buie, il tempo fatto acqua, / il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento, / il vento che tarda, la morte, la morte che vive!».

Per Montale non c’è nulla di pacificante, e neppure di idillico o di nostalgico, nel recupero dei ricordi. Ciò vale anche per le ultime raccolte (da Satura in poi), nelle quali acquista uno spazio dominante la meditazione sul tempo, che continua a rappresentare un fattore ostile, associato allo scorrere dell’acqua: «I grandi fiumi sono l’immagine del tempo, / crudele e impersonale. Osservati da un ponte / dichiarano la loro nullità inesorabile» (L’Arno a Rovezzano).
A differenza di tanti poeti del Novecento, Montale non mitizza l’infanzia, trasformandola in una pura età dell’innocenza, ma la cristallizza in qualche flash improvviso, senza rinunciare all’ironia. È ciò che accade, per esempio, in Quel che resta (se resta), dove evoca la figura di una vecchia serva analfabeta, eludendo la commozione con uno scarto nel registro comico: «se entrasse ora nella mia stanza / avrebbe centotrent’anni e griderei di spavento». Frequentissimi sono invece i richiami alla Mosca, la compagna di una vita, morta nel 1963: il poeta riannoda il filo del dialogo con la moglie scomparsa narrando una serie di aneddoti domestici e quotidiani, nei quali la malinconia è spesso temperata dall’umorismo o comunque da un tono di dolce rievocazione.

I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi