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La città vecchia era, al tempo di Saba, la parte più antica di Trieste, costituita da vicoli poi scomparsi a seguito delle trasformazioni urbanistiche. La Trieste popolare è quella che il poeta più ama, in virtù del suo senso di comunione con l’umanità che la caratterizza («Esser uomo tra gli umani, / io non so più dolce cosa» scrive Saba in un’altra poesia,
Sesta fuga). È in questa parte della città che egli, nei suoi vagabondaggi, sembra talvolta dimenticare la sofferenza privata, proprio in virtù di tale sentimento di solidarietà fraterna. Il suo atteggiamento ha qualcosa di religioso (s’agita in esse, come in me, il Signore, v. 19), e infatti egli trova l’infinito / nell’umiltà (vv. 9-10): gli umili – vale a dire gli ultimi, gli emarginati, i reietti della società (il detrito / di un gran porto di mare, vv. 7-8, dove gli uomini sono accostati alle merci) – non sono oggetto di uno sguardo paternalistico, ma semmai di un amore di tipo evangelico. Dai Vangeli derivano anche alcune immagini-spia, come quella della prostituta (v. 11).
Così, in un ribaltamento completo degli stereotipi e dei pregiudizi borghesi, la via della città normalmente considerata più turpe (v. 22) – quella popolata dai frequentatori di osterie, dalle prostitute in cerca di clienti, dai vecchi malvissuti, dai marinai di passaggio – è il luogo dove il pensiero del poeta diventa più puro (vv. 21-22).