I colori della letteratura - volume 3

Il primo Novecento – L'autore: Umberto Saba

 T2 

La scoperta dell’eros

Ernesto


Ernesto, protagonista del romanzo, lavora come impiegato in un magazzino di granaglie. Nel brano che segue, tratto dalle pagine iniziali dell’opera, egli intrattiene una conversazione con un operaio più anziano, che nel corso del racconto lo condurrà a un’inattesa esperienza sessuale. Le battute del dialogo sono in dialetto triestino.

«Cossa el gà? El sè stanco?».1
«No. Son rabiado».2
«Con chi?».
«Col paron. Con quel strozin.3 Un fiorin e mezo per caricar e scaricar due cari».4
5 «El gà ragion lei».
Questo dialogo (che riporto, come i seguenti, in dialetto; un dialetto un pò5
ammorbidito e con l’ortografia il più possibile italianizzata, nella speranza che il
lettore – se questo racconto avrà mai un lettore – possa tradurlo da sé) si svolgeva
a Trieste, negli ultimissimi anni dell’Ottocento. Gli interlocutori erano un uomo
10 – un bracciante avventizio6 – ed un ragazzo. L’uomo era seduto su un mucchio
di sacchi di farina, in un magazzino di Via …… Portava in testa un grande fazzoletto
rosso, che gli scendeva più giù delle spalle (questo per proteggere il collo
dallo strofinamento dei sacchi). Era un uomo giovane, sebbene apparisse – come
notava Ernesto – un pò stanco; ed il suo aspetto aveva qualcosa di lontanamente
15 zingaresco; ma di uno zingaresco molto attenuato, molto addomesticato. Ernesto
era un ragazzo di sedici anni, praticante di commercio in una ditta che comperava
farina dai grandi mulini dell’Ungheria, e la rivendeva ai fornai della città. Aveva
i capelli castani, riccioluti e leggeri, gli occhi color nocciola (come quelli di certi
cani barboni); camminava alquanto dinoccolato,7 con la grazia dell’adolescenza,
20 che si crede sgraziata, e si teme ridicola. In quel momento stava in piedi, appoggiato
alla porta aperta del magazzino, attendendo il ritorno del carro, che doveva
arrivare presto, con l’ultimo carico della giornata, e guardava l’uomo come se lo
vedesse per la prima volta, sebbene, per necessità di lavoro ed anche, un poco,
per simpatia, lo conoscesse e gli parlasse da mesi. L’uomo teneva la testa fra le
25 mani; in attitudine – come pensava Ernesto – affaticata; o – come diceva lui –
arrabbiata.
«El gà ragion lei», ripetè Ernesto, «el paron sè proprio un strozin; anca mi8 lo
odio (ma, a guardar bene il ragazzo, pareva improbabile che egli potesse davvero
odiare qualcuno) e quando el me manda in piaza a ciamar9 un omo, e che el me
30 disi quanto che el vol spender, me sento venir mal. La ciamo sempre lei; ma gò
vergogna de offrirghe cussì poco. Sè el lavor che fazo meno volentieri de tuti».10

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L’uomo si sciolse dalla sua posa concentrata e guardò con tenerezza Ernesto.
«So», disse, «che el sè bon.11 Se un giorno la diventerà, come che mi ghe auguro,
paron, no la traterà certo chi che lavorerà per lei come me trata mi el suo paron
35 de adesso. Un fiorin e mezo per tre cari»,12 riprese, «e due omini soli. El se la suga
(cava) con poco quel ladro: nol sa cossa che vol dir sfadigar, spezialmente adesso
che scominzia el caldo. Due fiorini per omo saria ancora poco. Se no la ghe fussi
lei, che ghe parlo cussì volentieri, no vederio l’ora che rivi el caro, per finir la giornada
e distirarme13 in t’un leto».
40 Era una giornata della primavera inoltrata, e la via era piena di sole. Ma, dentro
il magazzino, faceva fresco, un fresco umido, che odorava di farina.
«Perché nol se senta?»,14 disse – dopo un breve silenzio – l’uomo. «El se acomodi
qua (ed accennò un posto molto vicino al suo). Se la gà paura de sporcarse,
ghe distiro15 soto el mio sacheto (giacca)». E fece l’atto di prenderlo, perché,
45 nell’attesa del carro, si era già messo in maniche di camicia.
«No ghe sè bisogno», rispose Ernesto. «La farina no lassa sporco; basta una
spolverada e no se vedi più gnente. E pò ghe tegno poco16 che se vedi o no». Impedì
all’uomo di distendere, come voleva, la giacca, e sedette, con un sorriso, accanto a
lui. Anche l’uomo sorrise. Non pareva più né stanco, né arrabbiato.
50 «Dopo», disse, «se el permeti, ghe neterò mi».17 Stettero un poco in silenzio,
guardandosi.
«La sè un bon ragazo», ripetè l’uomo, «e anca», aggiunse, «bel. Cussì bel che sè
un piazer guardarla». […]
L’uomo posò una mano sul dorso di quella che il ragazzo teneva distesa sul
55 sacco. Appariva turbato. «Pecà!», disse; e parve sorpreso e contento che il ragazzo
non avesse ritirato la mano.
«Pecà de cossa?».
«De quel che ghe gò dito prima. Che no podemo esser amici, andar a spasso
insieme».
60 «Per la diferenza de età?».
«No».
«Perché la sè mal vestido? Ghe gò già dito che de ste robe no me importa gnente.
Anzi…».
L’uomo tacque a lungo. Pareva in conflitto con sé stesso: quasi volesse dire e
65 non dire qualcosa. Ernesto sentiva che la mano poggiata sulla sua tremava. Poi –
come chi arrischia il tutto per il tutto – disse all’improvviso, fissando bene il suo
interlocutore negli occhi, e con voce alterata: «Ma el sa cossa che vol dir per un
ragazo come lei diventar amico de un omo come mi? Perché, se nol lo sa ancora,
no son mi che voio insegnarghelo». Tacque di nuovo un momento; poi, visto che il
70 ragazzo era diventato rosso ed abbassava la testa, ma non ritirava la mano, aggiunse,
quasi aggressivo: «El lo sa?».
Ernesto sciolse dalla stretta, che si era fatta più forte, la mano divenuta un pò
molle e sudata, e la posò timidamente sulla gamba dell’uomo. Risalì adagio, fino
a sfiorargli appena, e come per caso, il sesso. Poi alzò la testa. Sorrise luminoso, e
75 guardò l’uomo arditamente in faccia.

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Questi sentì uno sbigottimento invaderlo. La saliva gli si era seccata in bocca, e
il cuore gli batteva a fargli male. Ma non seppe dire altro che un «El gà capì?» che
pareva rivolto più a sé stesso che al ragazzo.
Ci fu un lungo silenzio, che Ernesto interruppe per il primo.
80 «Gò capì», disse, «ma… dove?».
«Come dove?», rispose, trasognato, l’uomo. Ernesto pareva più sciolto di lui.
«Per far le robe che no se devi far», – disse, «no bisogna restar soli?».
«Certo», rispose l’uomo.
«E lei dove el volessi che restemo soli?», domandò, sottovoce, Ernesto, che aveva
85 già perso un poco della sua baldanza.
«Stasera in campagna. Conosso un logo…».
«La sera no posso», disse il ragazzo.
«Perché? El va a dormir presto?».
«Magari podessi! Pico (casco) del sono. Invece me toca andar alle scole serali».
[…]
90 «Parleremo dopo», disse l’uomo al ragazzo, in fretta e con voce roca. Si rimise
in testa il fazzoletto, di cui si era liberato durante il dialogo con Ernesto, e s’avviò
alla fatica che l’aspettava. Sotto, le gambe gli tremavano un poco.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

In questo brano il narratore racconta il primo approccio dell’uomo (come lo chiama, senza indicarne mai il nome, in tutto il romanzo) al giovane Ernesto, figura che ha diversi tratti in comune con Saba stesso, a partire dal difficile rapporto con la madre e dall’assenza del padre. L’uomo, attratto da Ernesto, gli rivolge dei complimenti (La sè un bon ragazo […] e anca […] cussì bel che sè un piazer guardarla, rr. 52-53). Per parte sua, Ernesto appare dapprima imbarazzato (il ragazzo era diventato rosso ed abbassava la testa, r. 70); poi, superata l’esitazione, mostra spavalderia e audacia (Sorrise luminoso, e guardò l’uomo arditamente in faccia, rr. 74-75), tanto da suggerire all’altro il modo migliore per incontrarsi da soli.

Negli anni in cui viene scritta quest’opera l’omosessualità è oggetto di forte disapprovazione sociale, al punto che l’autore non ha la certezza che il libro venga pubblicato (se questo racconto avrà mai un lettore, r. 8). In una lettera, egli si riferisce a Ernesto con queste parole: «Quello che ho scritto è così bello, così incantevolmente bello». La frase è stata così commentata dallo scrittore Alberto Moravia: «In queste parole noi pensiamo che bisogna leggere piuttosto l’esaltazione di chi è riuscito a vincere se stesso e a debellare con la verità un antico tabù, che l’autocompiacimento ingenuo di un artista. Se la frase viene modificata così “quello che ho scritto è così vero, così coraggiosamente vero” le parole di Saba diventano oltre che più commoventi anche più significative. Diventano, cioè, una chiave per capire il libro».

Le scelte stilistiche

Ambientato a Trieste, Ernesto è fortemente radicato nei luoghi e nell’epoca in cui si svolgono le vicende, e restituisce un ritratto realistico del mondo del lavoro e delle inquietudini politico-sociali che attraversano la città in quegli anni. Il ricorso al dialetto, soprattutto nei dialoghi, è coerente con un intento di resa fedele dell’atmosfera, sebbene non abbia soltanto una funzione realistica. Il realismo di Saba, infatti, non è di tipo mimetico o veristico; lo mostra la caratterizzazione di Ernesto, che per l’innocenza, la disponibilità e la libertà di cui dà prova – caratteristiche che risultano improbabili «in una città come Trieste alla fine dell’Ottocento e in un clima culturale fondamentalmente sessuofobico» (Gnerre) – rimane sostanzialmente fuori dalla Storia e dalla società.
Il dialetto è inoltre lo strumento grazie al quale Saba è riuscito a trattare argomenti considerati scabrosi e a superare il secolare tabù relativo alla rappresentazione letteraria dell’omosessualità. Esso assume quindi, in questo romanzo, non soltanto un forte sapore di autenticità, ma anche un profondo valore liberatorio.

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Come vengono descritti fisicamente i due protagonisti del dialogo, l’uomo ed Ernesto?


2 Quale aspetto tipico dell’adolescenza viene sottolineato nella descrizione del ragazzo?

ANALIZZARE

3 Da quali atteggiamenti si intuiscono l’emozione e l’agitazione dell’uomo?

INTERPRETARE

4 Da che cosa ti sembra che Ernesto sia spinto verso l’uomo? Motiva la tua risposta con opportuni riferimenti al brano.


I grandi temi di Saba

La concezione della poesia

• la «poesia onesta», intesa come impegno di sincerità e chiarezza interiore
• il recupero della tradizione lirica italiana: Dante, Petrarca, Leopardi
• l’aspirazione alla semplicità: adesione alla vita e rappresentazione realistica
• la predilezione per le parole comuni e le rime “facili”
• la distanza dalla “poesia pura” di derivazione simbolista e l’“antinovecentismo”

Autobiografismo e confessione

• letteratura come autocoscienza: la tensione verso la «chiarezza interiore»
• la psicanalisi come terapia e come strumento di conoscenza dell’animo umano
• l’esigenza di confessione “integrale” nel romanzo Ernesto

I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi