Il dolore appartiene all’uomo al di là di ogni contingenza e lo costringe a vedersi così com’è realmente, senza sovrastrutture e abbellimenti, liberandolo da tutto ciò che è inessenziale e superfluo. Per esprimere questa verità è necessaria la rivelazione della poesia, a cui spetta la funzione di comprendere la sofferenza e offrire conforto: «La poesia», scrive l’autore in un saggio intitolato Dolore e poesia (1956), «è l’atto con il quale un uomo tende alla purezza, tende a amare, anche se la carne rimane debole, ciò che l’oltrepassa: l’Umana Perfezione».
Dinanzi all’esperienza della guerra, dentro il caos del mondo, nell’angoscia che pervade l’individuo soggetto alla costante minaccia della morte e del nulla, Ungaretti avvia così un’indagine conoscitiva che mette a nudo la coscienza umana. Diciamo “mette a nudo” perché il poeta è alla continua ricerca dell’innocenza perduta, ovvero di quello stato originario che permette all’io minacciato di riconoscersi come «una docile fibra dell’universo» (I fiumi ► T7, p. 761), legato cioè in una sorta di armonia istintiva con il prossimo e con il cosmo.