Il dolore personale e universale

Il primo Novecento – L'autore: Giuseppe Ungaretti

Il dolore personale e universale

La poesia di Ungaretti si collega alla consapevolezza del dramma esistenziale dell’uomo e alla riflessione sul senso tragico della vita condotta da uno dei poeti da lui più amati, Giacomo Leopardi. Sospesa tra la vanità degli accadimenti e l’ansia di eterno che la illumina, la dimensione dell’essere umano è vista in tutta la sua precarietà, lacerata dal lutto e oppressa dall’incombere della catastrofe, individuale e collettiva.

Non c’è dubbio che all’origine di questa visione della vita vi sia la conoscenza personale della sofferenza. Tuttavia il male del singolo si allarga sempre in Ungaretti a rappresentare metaforicamente una condizione valida per tutti gli uomini: condizione che nasce da un dato storico, ma finisce per trascenderlo. Così accade alle liriche ispirate dalla Grande guerra, che non costituiscono solo un atto di denuncia contro quella tragedia circoscritta, bensì una forma di meditazione che spazia dall’“io” al “noi”, secondo una prospettiva che ricorda la riflessione cosmica leopardiana.

Il dolore appartiene all’uomo al di là di ogni contingenza e lo costringe a vedersi così com’è realmente, senza sovrastrutture e abbellimenti, liberandolo da tutto ciò che è inessenziale e superfluo. Per esprimere questa verità è necessaria la rivelazione della poesia, a cui spetta la funzione di comprendere la sofferenza e offrire conforto: «La poesia», scrive l’autore in un saggio intitolato Dolore e poesia (1956), «è l’atto con il quale un uomo tende alla purezza, tende a amare, anche se la carne rimane debole, ciò che l’oltrepassa: l’Umana Perfezione».
Dinanzi all’esperienza della guerra, dentro il caos del mondo, nell’angoscia che pervade l’individuo soggetto alla costante minaccia della morte e del nulla, Ungaretti avvia così un’indagine conoscitiva che mette a nudo la coscienza umana. Diciamo “mette a nudo” perché il poeta è alla continua ricerca dell’innocenza perduta, ovvero di quello stato originario che permette all’io minacciato di riconoscersi come «una docile fibra dell’universo» (I fiumi ► T7, p. 761), legato cioè in una sorta di armonia istintiva con il prossimo e con il cosmo.

Quest’ansia di sublimazione, nella consapevolezza di un comune destino di dolore, è presente in tutta la poesia di Ungaretti, sin dalla sua prima raccolta, da quando cioè la dimensione tragica della desolazione si manifesta nella visione terribile della carne straziata dalla guerra. Proprio a contatto con la morte, però, l’anima può percepire la bellezza miracolosa della vita, l’armonia delle cose del mondo, la fraternità nella pena, la dolcezza del riposo. Il dolore, insomma, rende nudi e autentici: è proprio grazie a esso che l’io sente di poter recuperare un sentimento di profonda fratellanza con tutte le creature viventi.

Allo stesso tempo, provare dolore significa percepire il bisogno di liberarsene, immergendosi nell’infinito e accrescendo il desiderio di comprendere il mistero del mondo. Possiamo parlare, seguendo il critico Alberto Frattini, di una vera e propria «vocazione mistica», che si accentua nel secondo Ungaretti da Sentimento del tempo in poi. Ma è una vocazione indifferente alle pratiche esteriori e che si esprime nella preghiera come atto privato, coltiva la speranza della salvezza, ricerca la dolce immagine di un Dio che consola dalle miserie. Si esprime così l’esigenza di attingere l’assoluto e l’eterno, di cogliere quel miraggio dove si confondono il passato e il futuro, la bellezza e il mistero: se da una parte vi è l’“inferno” della realtà con le sue tragedie, dall’altra si può vedere il porto della quiete, un approdo alla pace dello spirito dove sbiadiscono le colpe, le miserie e le sventure.

I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi