4 - I testi

Il primo Novecento – L'opera: Il fu Mattia Pascal

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T6 Maledetto fu Copernico!
Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa
• la fine della centralità umana nel cosmo
• il tema del doppio
• l’inutilità della scrittura
T7 Lo strappo nel cielo di carta
Cap. 12
• il venir meno delle certezze
• la condizione dell’individuo moderno
T8 La filosofia del lanternino
Cap. 13
• lo status dell’essere umano nella natura
• la morte
• lo smarrimento esistenziale degli individui nel momento in cui vengono meno le grandi ideologie di un’epoca
• la limitatezza della conoscenza umana del mondo
• il relativismo
Analisi del testo
TIPOLOGIA A
Il ritorno del Fu Mattia Pascal
Cap. 18
• la non-esistenza del protagonista

 T6 

Maledetto fu Copernico!

Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa


Riportiamo per intero la Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa. Si tratta di un brano fondamentale per la corretta interpretazione dei capitoli successivi, rappresentandone la giustificazione teorica o, come dice il narratore, la scusa, che insinua perplessità e dubbi sul senso stesso della letteratura.

L’idea o piuttosto, il consiglio di scrivere mi è venuto dal mio reverendo amico don
Eligio Pellegrinotto,1 che al presente ha in custodia i libri della Boccamazza,2 e al
quale io affido il manoscritto appena sarà terminato, se mai sarà.
Lo scrivo qua, nella chiesetta sconsacrata, al lume che mi viene dalla lanterna
5 lassù, della cupola; qua, nell’abside riservata al bibliotecario e chiusa da una
bassa cancellata di legno a pilastrini, mentre don Eligio sbuffa sotto l’incarico
che si è eroicamente assunto di mettere un po’ d’ordine in questa vera babilonia
di libri. Temo che non ne verrà mai a capo. Nessuno prima di lui s’era curato
di sapere, almeno all’ingrosso, dando di sfuggita un’occhiata ai dorsi, che razza
10 di libri quel Monsignore avesse donato al Comune: si riteneva che tutti o quasi
dovessero trattare di materie religiose. Ora il Pellegrinotto ha scoperto, per
maggior sua consolazione, una varietà grandissima di materie nella biblioteca
di Monsignore; e siccome i libri furon presi di qua e di là nel magazzino e accozzati
così come venivano sotto mano, la confusione è indescrivibile. Si sono
15 strette per la vicinanza fra questi libri amicizie oltre ogni dire speciose: don
Eligio Pellegrinotto mi ha detto, ad esempio, che ha stentato non poco a staccare
da un trattato molto licenzioso Dell’arte di amar le donne libri tre di Anton

 >> pag. 616 

Muzio Porro, dell’anno 1571, una Vita e morte di Faustino Materucci, Benedettino
di Polirone, che taluni chiamano beato
, biografia edita a Mantova nel 1625. Per
20 l’umidità, le legature de’ due volumi si erano fraternamente appiccicate. Notare
che nel libro secondo di quel trattato licenzioso si discorre a lungo della vita e
delle avventure monacali.
Molti libri curiosi e piacevolissimi don Eligio Pellegrinotto, arrampicato tutto
il giorno su una scala da lampionajo,3 ha pescato negli scaffali della biblioteca.
25 Ogni qual volta ne trova uno, lo lancia dall’alto, con garbo, sul tavolone che sta in
mezzo; la chiesetta ne rintrona; un nugolo di polvere si leva, da cui due o tre ragni
scappano via spaventati: io accorro dall’abside, scavalcando la cancellata; do prima
col libro stesso la caccia ai ragni su pe’l tavolone polveroso; poi apro il libro e mi
metto a leggiucchiarlo.
30 Così, a poco a poco, ho fatto il gusto a siffatte letture. Ora don Eligio mi dice
che il mio libro dovrebbe esser condotto sul modello di questi ch’egli va scovando
nella biblioteca, aver cioè il loro particolar sapore. Io scrollo le spalle e gli rispondo
che non è fatica per me. E poi altro mi trattiene.
Tutto sudato e impolverato, don Eligio scende dalla scala e viene a prendere
35 una boccata d’aria nell’orticello che ha trovato modo di far sorgere qui dietro l’abside,
riparato giro giro da stecchi e spuntoni.
«Eh, mio reverendo amico», gli dico io, seduto sul murello, col mento appoggiato
al pomo del bastone, mentr’egli attende alle sue lattughe. «Non mi par più
tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo. In considerazione anche della
40 letteratura, come per tutto il resto, io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto
sia Copernico
!».
«Oh oh oh, che c’entra Copernico!», esclama don Eligio, levandosi su la vita,
col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia.
«C’entra, don Eligio. Perché, quando la Terra non girava…».
45 «E dàlli! Ma se ha sempre girato!».
«Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunque era come se non girasse. Per
tanti, anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e
sapete come m’ha risposto? ch’era una buona scusa per gli ubriachi. Del resto,
anche voi scusate, non potete mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole.4 Ma
50 lasciamo star questo. Io dico che quando la Terra non girava, e l’uomo, vestito da
greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto
si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una
narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano,
come voi m’avete insegnato, che la storia doveva esser fatta per raccontare
55 e non per provare?».5
«Non nego», risponde don Eligio, «ma è vero altresì che non si sono mai scritti
libri così minuti, anzi minuziosi in tutti i più riposti particolari, come dacché, a
vostro dire, la Terra s’è messa a girare».

 >> pag. 617 

«E va bene! Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora
60 contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Teresina si
moriva di fame… Lucrezia spasimava d’amore…
Oh, santo Dio! e che volete che me
n’importi? Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di
sole,6 su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché,
senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire
65 ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la
coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o
sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente.
Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione
dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo,
70 con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni; e che valore dunque volete che abbiano
le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali
calamità? Storie di vermucci ormai le nostre. Avete letto di quel piccolo disastro
delle Antille?7 Niente. La Terra, poverina, stanca di girare, come vuole quel canonico
polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo moto d’impazienza, e ha sbuffato un
75 po’ di fuoco per una delle tante sue bocche. Chi sa che cosa le aveva mosso quella
specie di bile. Forse la stupidità degli uomini che non sono stati mai così nojosi
come adesso. Basta. Parecchie migliaja di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi.
Chi ne parla più?».
Don Eligio Pellegrinotto mi fa però osservare che, per quanti sforzi facciamo
80 nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura
ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo. Per fortuna, l’uomo si distrae
facilmente.
Questo è vero. Il nostro Comune, in certe notti segnate nel calendario, non fa
accendere i lampioni, e spesso – se è nuvolo – ci lascia al bujo.
85 Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia
per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle
per offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri
di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo
capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove
90 fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie
incalcolabili.
Ebbene, in grazia di questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza
del mio caso, io parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile,
dando cioè soltanto quelle notizie che stimerò necessarie.
95 Alcune di esse, certo, non mi faranno molto onore; ma io mi trovo ora in una
condizione così eccezionale, che posso considerarmi come già fuori della vita, e
dunque senza obblighi e senza scrupoli di sorta.
Cominciamo.

 >> pag. 618 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La seconda premessa del romanzo segue alla lettera i princìpi fondamentali del codice umoristico, a partire dal titolo, Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa, dove il ricorso alle parentesi, ridimensionando il riferimento alla filosofia, suona autoironico, ma allo stesso tempo suggerisce il valore metaforico dell’opera. Con l’espediente delle parentesi, in altre parole, l’autore sottrae il capitolo alla severità del pensiero accademico, senza però rinunciare a proporre un’analisi appassionata della vita. Dietro i toni leggeri, infatti, emerge in modo chiaro l’esigenza di riflettere sull’atto stesso della scrittura e dell’arte.

La chiesa sconsacrata adibita a biblioteca di Miragno, piena di polvere e di topi, è lo scenario d’apertura del romanzo (cui fa da contraltare, in chiusura, quello del cimitero): la confusione e la promiscuità di libri di cui nessuno conosce il contenuto è la prima metafora su cui si è indotti a soffermarsi. Ricordando probabilmente una biblioteca di Agrigento che aveva frequentato da giovane, Pirandello costruisce un’immagine di desolante trascuratezza, nella quale tuttavia trova modo di introdurre il tema del doppio.
Tra le pile di libri accatastate, infatti, un volume di ars amatoria si trova per caso attaccato a una Vita e morte di un beato (Per l’umidità, le legature de’ due volumi si erano fraternamente appiccicate, rr. 19-20). Una descrizione così precisa è tutt’altro che casuale: come ha fatto notare Giancarlo Mazzacurati, i due libri si svelano «specularmente sdoppiati tra cielo e inferno, sublime e comico, come le vie dell’umorismo, capricciose, illogiche».

Dietro la celebre esclamazione di Mattia (io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto sia Copernico!, rr. 40-41) vi è un profondo rimpianto per la grandezza epica del mondo del passato, un mondo in cui l’essere umano, non ancora cosciente della sua insignificante piccolezza, riteneva di trovarsi al centro di un incrollabile sistema di certezze. Quando la Terra non girava… (r. 44), continua Mattia, ma è subito interrotto da don Eligio; il discorso lasciato in sospeso suggerisce una pluralità di confronti fra antico e moderno, volti però in definitiva a riconoscere l’inutilità della scrittura (di una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari, rr. 52-53) in un mondo smitizzato. L’effetto straniante è generato proprio da questa dichiarazione iniziale, cioè nella negazione ostentata dell’atto di narrare (Non mi par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo, rr. 38-39), del quale i lettori, paradossalmente, hanno però davanti la piena realizzazione, il romanzo compiuto. Il gioco sottile dell’affermazione-negazione lascia emergere impietosamente la contraddizione radicata nel pensiero della modernità: negare il senso di ciò che si sta facendo, mettendo in dubbio la realtà, è la sfida che Pirandello lancia alla narrativa del suo tempo.

Le scelte stilistiche

Il dialogo tra Mattia e don Eligio, costituito spesso da brevissime battute che si accavallano, è impostato sulla ricerca di uno stile nuovo con cui intraprendere la scrittura del romanzo. In un certo senso, è come se Pirandello ammettesse il lettore nel suo laboratorio, permettendogli di assistere alla formazione di un innovativo modo di narrare.
Ciò che risulta chiaro da subito è che cosa non deve essere un romanzo (Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola…, rr. 59-60): nella varietà di questi esordi, tratti dagli stili correnti della letteratura dell’Ottocento, emerge un repertorio di formule e di personaggi stereotipati, quelli del romanzo realistico, che Pirandello rifiuta programmaticamente.

 >> pag. 619 

L’autore non esibisce alcuna precisione documentaria né effetti patetici, ma una scrittura cosciente della propria precarietà, del relativismo delle percezioni, dell’incomunicabilità tra gli individui. Da qui deriva uno stile incerto e smarrito, proprio di un narratore poco convinto di voler raccontare i fatti ma ormai coinvolto in una storia che, solo per la sua stranezza, vale la pena di provare a ripercorrere (Ebbene, in grazia di questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza del mio caso, io parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile, dando cioè soltanto quelle notizie che stimerò necessarie, rr. 92-94).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Chi tenta, per primo, di mettere ordine nel caos della biblioteca Boccamazza?


2 Che cosa risponde Mattia quando don Eligio gli consiglia di scrivere le sue memorie?


3 Per fortuna, l’uomo si distrae facilmente (rr. 81-82): quali considerazioni seguono questa “sentenza” e in che modo servono a giustificare la stesura del romanzo?

ANALIZZARE

4 Descrivi brevemente come si presenta la chiesa sconsacrata adibita a biblioteca in cui lavora Mattia Pascal.

INTERPRETARE

5 In che modo, secondo Mattia, la rivoluzione copernicana arriva a svuotare di significato la letteratura?


6 Quando la Terra non girava…(r. 43): con queste parole inizia il lungo discorso con cui Mattia cerca di motivare il suo rifiuto di scrivere. Perché, però, alla fine cambia idea?

PRODURRE

La tua esperienza

7 Quale ritieni possa essere una novità scientifica in grado oggi di cambiare sensibilmente la vita quotidiana degli individui?


 T7 

Lo strappo nel cielo di carta

Cap. 12


Mattia Pascal, sotto il nome di Adriano Meis, alloggia a Roma, in casa di Anselmo Paleari. Alla bizzarra figura di questo filosofo-spiritista sono di frequente affidate riflessioni apparentemente poco chiare, piene di astrusi ragionamenti sui quali Mattia-Adriano ironizza con sarcasmo. Eppure, in brani come quello che segue, si trova il cuore filosofico del pensiero pirandelliano, come se il personaggio prestasse la sua voce all’autore.

«La tragedia d’Oreste1 in un teatrino di marionette!», venne ad annunziarmi il signor
Anselmo Paleari. «Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle
ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci,
signor Meis».
5 «La tragedia d’Oreste?».
«Già! D’après Sophocle,2 dice il manifestino. Sarà l’Elettra. Ora senta un po’, che
bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta
che rappresenta Oreste è per3 vendicare la morte del padre sopra Egisto e la
madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei».

 >> pag. 620 

10 «Non saprei», risposi, stringendomi ne le spalle.
«Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da
quel buco nel cielo».
«E perché?».
«Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli
15 con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a quello
strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe
cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto.4 Tutta la differenza,
signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un
buco nel cielo di carta».
20 E se ne andò, ciabattando.
Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar
così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l’opportunità di
essi rimanevano lassù, tra le nuvole, dimodoché difficilmente a chi lo ascoltava
riusciva di capirci qualche cosa.
25 L’immagine della marionetta d’Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase
tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto: «Beate le marionette», sospirai,
«su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità
angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere
bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione
30 e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro
statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato».

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Riprendendo con un’altra immagine metaforica i temi della Premessa seconda, Pirandello induce il lettore a riflettere sul crollo delle certezze sulle quali si era sostenuta la coscienza premoderna. L’umanità, vissuta per secoli entro un illusorio “teatro” – l’universo concepito secondo la concezione aristotelico-tolemaica, con la Terra immobile al suo centro –, scopre all’improvviso di essersi ingannata. Le rassicuranti volte celesti, ossia la fede, il sapere tradizionale, l’ordine sociale, erano in realtà soltanto un cielo di carta (r. 19) fragile e sottile, creduto vero ma in realtà solo immaginato. Quando il cielo si squarcia, mostrando un buco nero inquietante, la vita degli individui è travolta da ogni sorta di mali influssi (r. 16), che «entrano dal cielo copernicano dentro il teatro tolemaico» (Mazzacurati). L’essere umano è colto, per la prima volta, dalla vertigine dell’infinito, dalla percezione di un “oltre” sconosciuto, enigmatico e oscuro, dal quale provengono domande senza risposte.

Osservando lo strappo nel cielo di carta, la marionetta – cioè l’essere umano – si rende conto di aver recitato: di aver ostentato certezze che, sopravvenuto il dubbio, non sono più tali. L’individuo moderno, qui rappresentato dall’eroe della tragedia greca, rimane stordito da questo epocale cambiamento del punto di vista sul mondo (Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo, rr. 11-12). La sua individualità si sfalda insieme a tutta la realtà che lo circonda; egli diventa estraneo a sé stesso e, non riconoscendosi nel sistema di certezze in cui ha da sempre riposto la sua fiducia, perde anche l’immagine mentale del proprio io. Paralizzato dal turbamento, Oreste smette di recitare la sua parte: assediato dai dubbi e dallo sconcerto, non è più Oreste ma diviene Amleto, un eroe pieno di turbamenti, indeciso, privo di una compiuta immagine di sé e del mondo, un eroe che non sa più vivere perché si guarda vivere. La condizione dell’uomo moderno, sembra dire Paleari-Pirandello, è come quella di Amleto.

 >> pag. 621 

Le scelte stilistiche

L’immagine del teatrino di marionette, usata per condurre il discorso sulla condizione umana prima e dopo Copernico, è presentata attraverso un espediente stilistico tipico della narrativa pirandelliana: il dialogo serrato tra due personaggi. Alle brevi domande di Mattia (La tragedia d’Oreste?, r. 5; E perché?, r. 13), dettate da un’accondiscendenza solo di superficie (in realtà egli non nutre alcun interesse per le elucubrazioni del padrone di casa), Anselmo Paleari risponde con toni diretti e colloquiali (Ma è facilissimo, signor Meis!, r. 11; Mi lasci dire, r. 14).
La chiusa didascalica, con la quale il personaggio-filosofo, dopo aver fatto lezione, esce comicamente di scena (E se ne andò, ciabattando, r. 20), è invece un perfetto esempio di quella contaminazione tra linguaggio teatrale e narrazione che rappresenta la peculiarità stilistica dell’autore.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 In quale momento della tragedia di Oreste si ipotizza che avvenga lo strappo nel cielo di carta del teatrino (r. 9)?


2 Nella descrizione della scena della vendetta di Oreste viene introdotto un elemento umoristico: quale?

ANALIZZARE

3 Lo stile di Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro (rr. 2-3) è

  •   A   nominale.
  •     gergale.
  •     arcaico.
  •     letterario.

INTERPRETARE

4 Le marionette sono definite da Mattia Pascal beate (r. 26): perché? Rispondi utilizzando le parole del testo.


5 Le idee del signor Anselmo paiono agli occhi di Mattia nuvolose […] astrazioni (r. 21); egli le giudica secondo un punto di vista interno alla narrazione, disorientato in mezzo a peripezie esistenziali e intellettuali di cui ancora non conosce l’esito. Qual è invece la posizione dell’autore? Coincide con quella di Mattia?

PRODURRE

6 Il buco nel cielo di carta (r. 19) è metafora della frattura che separa il mondo delle certezze e dei sistemi coerenti da quello delle angosce esistenziali dell’uomo moderno. Narratore e autore sembrano ugualmente rimpiangere l’organica proporzione e la circolare perfezione del mondo antico. A tuo avviso tali sensazioni sono diffuse anche nel mondo attuale? Anche nella società di oggi vengono percepiti il “disagio” profondo della modernità e la mancanza di punti di riferimento? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe.


I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi