Tra realtà e finzione: la dimensione scenica

Il primo Novecento – L'autore: Luigi Pirandello

PER APPROFONDIRE

Pirandello e il cinema

Tra odio e amore
Il rapporto di Pirandello con l’arte cinematografica è altalenante e ambiguo. L’entusiasmo espresso in alcune occasioni si capovolge per lo più in giudizi del tutto negativi, in cui il nuovo mezzo d’espressione è definito «sconcia contaminazione» e «ibrido giuoco». Come altri intellettuali, infatti, egli vede nel cinema un volgare surrogato del teatro, una brutta copia dell’originale. Eppure gli scrittori, in qualità di sceneggiatori o soggettisti, potevano trarre dal cinema notevoli vantaggi economici, e Pirandello, come gli altri, fu attratto dal miraggio di un facile guadagno.

Le prime pellicole pirandelliane
La sua collaborazione con l’industria cinematografica inizia negli anni Dieci. I capannoni di vetro della “Film Arte Italiana” sorgono proprio sotto le finestre della sua casa romana e allo scrittore capita di assistere alle riprese, suggerendo scene ed episodi, fino a proporre testi originali da trasferire sullo schermo. Il primo film tratto da un’opera di Pirandello (Lumìe di Sicilia) è del 1920, si intitola Il crollo ed è diretto da Mario Gargiulo; seguono le due versioni di Ma non è una cosa seria, rispettivamente di Augusto Camerini e Mario Camerini (1921 e 1936); del 1921 è Il viaggio, diretto da Gennaro Righelli, che sarà portato di nuovo sullo schermo dopo cinquant’anni da Vittorio De Sica, con Sophia Loren e Richard Burton (1973). Celebri le interpretazioni, che chiudono, nel 1926, la filmografia muta dell’opera pirandelliana, del Fu Mattia Pascal di Marcel L’Herbier e di Enrico IV di Amleto Palermi.
L’avvento del sonoro suscita notevoli perplessità in Pirandello, che preferisce il muto con le didascalie. Viste le difficoltà nell’armonizzare letteratura e cinema, egli pensa a un avvicinamento alla musica, immaginando un nuovo linguaggio, visivo e musicale, che chiama “cinemelografia”. Ma la sua idea non ha seguito e nel 1928 viene definitivamente accantonata: il cinema sonoro (parlato e non solo musicale) sta ormai percorrendo tutt’altre strade.

Progetti realizzati e mancati
Quando nel 1930 esce il primo film sonoro del cinema italiano, La canzone dell’amore, di Gennaro Righelli, sembra realizzarsi un vero e proprio paradosso pirandelliano: il soggetto è tratto, infatti, dalla sua novella In silenzio. Nel 1932 Pirandello segue personalmente a Hollywood le riprese di Come tu mi vuoi, diretto da George Fitzmaurice e interpretato da Greta Garbo, partecipando alla lavorazione con consigli e suggerimenti. L’anno seguente esce Acciaio, diretto da Walter Ruttmann, tratto da un soggetto (Giuoca, Pietro!) scritto da Pirandello appositamente per il cinema su richiesta di Benito Mussolini.
L’opera di Pirandello che più ha attirato l’interesse di registi e produttori è, però, Sei personaggi in cerca d’autore; per diversi anni lo scrittore cerca di realizzarne una versione cinematografica, ma morirà senza vederla sullo schermo. Nonostante ciò, l’elenco dei film ispirati alla sua opera, compresi quelli realizzati per la televisione, è cresciuto via via, di pari passo con la sua fama internazionale di scrittore.

Tra realtà e finzione: la dimensione scenica

A scrivere per il teatro Pirandello arriva dopo i quarantacinque anni: non presto, dunque, benché avesse colto già da tempo come il palcoscenico fosse il luogo adatto per concretizzare e rappresentare quel conflitto tra realtà e finzione, essere e apparire, persona e personaggio che è alla base della sua poetica.
La produzione drammatica si configura infatti come uno sbocco naturale dell’arte pirandelliana, che concepisce la vita alla stregua di una grande recita, in cui ognuno mette in scena un ruolo. Non a caso Pirandello organizza la raccolta delle sue opere teatrali sotto il titolo Maschere nude: un ossimoro per evidenziare come niente riesca a nascondere il groviglio di menzogne che regola la vita collettiva, neanche, appunto, quelle maschere che ognuno porta sul volto per tentare – invano – di coprire l’inganno.

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Pirandello realizza per fasi successive il superamento del dramma borghese ottocentesco, dagli esordi del teatro in lingua dialettale, ancora non del tutto slegati dai moduli veristi, alla stagione grottesca, dove trovano applicazione i princìpi umoristici, fino alla trilogia metateatrale.
Con Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930) – che compongono la trilogia – l’autore porta in scena il dramma nel dramma, come se il teatro riflettesse su sé stesso. Le figure realistiche delle rappresentazioni tradizionali vengono svuotate e superate: i protagonisti sono ora gli ingredienti stessi del teatro.

I personaggi vedono così la loro stessa vita diventare teatro; per questo Pirandello ricorre all’espressione «teatro nel teatro»: non solo per segnalare che l’azione si svolge «sul palcoscenico e nella sala, in un palco o nei corridoi o nel ridotto d’un teatro», ma anche perché vengono messi in scena tutti i «possibili conflitti» tra «personaggi e attori, autore e direttore-capocomico o regista, critici drammatici e spettatori alieni o interessati». Non si tratta più di semplici ammiccamenti che gli attori rivolgono al pubblico, né di commenti fuori scena che insinuano dubbi sulla tenuta della finzione rappresentata; Pirandello attraversa in modo sistematico e insistente la soglia invisibile che divide il palcoscenico dalla platea, tradizionalmente invalicabile.
A sipario alzato, senza luci speciali e scenografie, con macchinisti e operai sul palco e attori che si muovono in platea, la “magia” del teatro come artificio cade rovinosamente su sé stessa. L’intento provocatorio viene così pienamente centrato: allo sconcerto iniziale segue tra gli spettatori una riflessione profonda sul rapporto tra realtà e illusione.

Il «teatro nel teatro» denuncia l’impossibilità intrinseca di comunicare, di trasferire la propria visione del mondo agli altri, di condividere idee e giudizi, dispersi irrimediabilmente nella miriade di interpretazioni che «ciascuno a suo modo» può elaborare. È il dramma del relativismo, dal quale nascono equivoci e menzogne, delusioni e amarezze che segnano la radicale solitudine dell’individuo pirandelliano.
Nessuno può sfuggire alla condanna dell’incomunicabilità, che deriva in ultima analisi dal fondamentale contrasto tra «forma» e «vita»: la coscienza vorrebbe fissarsi in un assetto stabile, trovare in esso un senso e, su quello, costruire un sistema di certezze. Ma questo significa negare l’esistenza stessa, come mostra la condizione esistenziale dei Sei personaggi: prigionieri di una maschera (il Padre, la Figliastra, la Madre e così via), essi cercano disperatamente la «vita», che però non sopporta costrizioni, non sa nulla di maschere e ruoli, di valori e sentimenti.

I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi