Il superomismo

Il secondo Ottocento – L'autore: Gabriele d’Annunzio

 T3 

O giovinezza!

Poema paradisiaco


La giovinezza è giunta al tramonto e il poeta sente, accanto al venir meno del turbine delle passioni, un bisogno di serenità e di riconciliazione con il mondo. Inserito nella sezione di chiusura (Epilogo) del Poema paradisiaco, questo sonetto ne esprime a pieno l’atmosfera di pace ed estenuata malinconia.


METRO Sonetto con schema di rime ABBA, ABBA, CDE, CDE.

        O Giovinezza, ahi me, la tua corona
        su la mia fronte già quasi è sfiorita.
        Premere sento il peso de la vita,
4     che fu sì lieve, su la fronte prona.

        Ma l’anima nel cor si fa più buona,
        come il frutto maturo. Umile e ardita,
        sa piegarsi e resistere; ferita,
8     non geme; assai comprende, assai perdona.

        Dileguan le tue brevi ultime aurore,
        o Giovinezza; tacciono le rive
11   poi che il tonante vortice dispare.

        Odo altro suono, vedo altro bagliore.
        Vedo in occhi fraterni ardere vive
14   lacrime, odo fraterni petti ansare.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il poeta sente che la giovinezza sfiorisce, ma le passioni e la spensieratezza che sta perdendo sono sostituite da un bene prezioso, acquistato con il maturare dell’età: la bontà d’animo. Ora il suo cuore, lontano dall’impetuoso tumulto dei piaceri sensuali, si acquieta, rifiutando inutili ribellioni (Umile, v. 6), resistendo alle ultime illusioni (ardita, v. 6), capace di soffrire in silenzio (ferita, / non geme, vv. 7-8). La tranquillità raggiunta gli permette così di prestare ascolto al prossimo e di comprendere, grazie a un nuovo sentimento di fratellanza, il dolore e l’infelicità degli altri uomini.

La dimensione portante del sonetto* e di tutto il Poema paradisiaco è costituita dal mito della rinascita dell’anima, non più orgogliosa ed egocentrica, ma buona e misericordiosa. D’Annunzio ostenta qui, con la consueta abilità camaleontica, sentimenti languidi e pietosi, offrendo ai poeti futuri un ricco campionario di lacrime e stanchezze a cui attingere ampiamente: poesie come questa saranno lette e assai apprezzate, dai Crepuscolari fino a Montale.

 >> pag. 377 

Le scelte stilistiche

L’estenuazione del poeta è resa anche a livello ritmico dall’andamento cantilenante, ottenuto mediante la sintassi frammentata e la ripetizione delle immagini e delle espressioni (assai, v. 8; altro, v. 12; odo, vv. 12 e 14; fraterni, vv. 13 e 14; l’apostrofe* o Giovinezza, vv. 1 e 10; l’epanalessi* di vedo, vv. 12 e 13). Il sonetto è giocato sul registro più adatto all’espressione di una dimessa senilità: all’esteta paganeggiante della giovinezza subentra qui l’umile filantropo che adotta il linguaggio semplice della quiete spirituale (da qui gli aggettivi e i verbi di ascendenza quasi francescana quali buona, umile, perdona, fraterni).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del sonetto.


2 In che modo d’Annunzio accoglie la fine della giovinezza?

ANALIZZARE

3 Il sonetto ha un andamento paratattico e presenta pochissime subordinate. Riconoscile e indicane il tipo.

INTERPRETARE

4 Perché il poeta chiama metaforicamente gli ardori delle passioni brevi ultime aurore (v. 9)?


Il superomismo

L’approdo superomistico di d’Annunzio è visibile compiutamente a partire dalla stesura dei romanzi pubblicati dopo Il piacere, negli anni Novanta. Tuttavia estetismo e superomismo sono, tanto nella sua poetica quanto nella sua ideologia, strettamente connessi tra loro: facce della stessa medaglia, aspetti complementari dell’ispirazione sensuale e dell’affermazione della vitalità pura come norma suprema che non deve obbedire a niente e a nessuno.
Per d’Annunzio il superuomo è infatti un individuo eccezionale al quale spettano il diritto e il dovere di opporsi all’insulsa realtà borghese, per realizzare il proprio dominio sulla realtà. «Il mondo», scrive nelle Vergini delle rocce, «è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi, da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare»: i pochi, i liberi, coloro che pensano e sentono rappresentano una nuova aristocrazia dello spirito che, attraverso il culto del bello e un’anima risoluta, potrà (e dovrà) imporsi sulla massa, in spregio alle comuni leggi del bene e del male.

Questa concezione antidemocratica è abbozzata già nelle sue prime opere, ma viene richiamata come una precisa visione dell’uomo e del mondo dopo la lettura delle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (► p. 36), a partire dal 1892.

L’assimilazione dannunziana del pensiero di Nietzsche è del tutto parziale e personale: il poeta accoglie l’esaltazione della volontà di potenza, il disprezzo per le masse, il culto della civiltà classica e la rivendicazione della componente “dionisiaca” e irrazionale dell’uomo (quella libera) a scapito di quella “apollinea” e ordinata (cioè razionale), mentre ignora la critica radicale delle ideologie e del progresso, che pure ne costituisce un aspetto centrale. L’interpretazione di d’Annunzio si appunta sugli elementi più aggressivi e vitalistici, insiste sulla polemica contro l’uguaglianza e sottolinea la concezione dell’uomo e dell’artista posti al di sopra delle norme morali.

 >> pag. 378 

In tal modo il pensiero di Nietzsche da “critico” diventa, nella lettura di d’Annunzio, “pratico”, ossia una sorta di morale dell’azione, che non comporta la distruzione di tutti i valori borghesi ma diventa una sorta di facile ideologia fatta di bei gesti, azioni eroiche, proclami e pulsioni antidemocratiche.

Ecco perché, a differenza del superuomo nietzschiano, quello dannunziano si impegna anche nella battaglia politica: è il caso soprattutto di Claudio Cantelmo, il protagonista delle Vergini delle rocce, il quale non si limita al culto del bello e dell’arte (come faceva Andrea Sperelli nel Piacere), ma aspira a combattere la corruzione, la volgarità delle masse e la degenerazione del sistema parlamentare.

L’esempio offerto da Cantelmo viene messo in pratica dallo stesso d’Annunzio, secondo il quale la volontà di potenza va estesa alla dimensione politica, in una tensione continua a superare i vincoli imposti dalla moderna società imborghesita. Come dimostrano le sue imprese, il sistema di idee di d’Annunzio è al di sopra di schemi, etichette e partiti: più che rispondere a un criterio oggettivo e a una coerente logica progettuale, esso risulta del tutto soggettivo e si risolve ancora una volta in un’autocelebrazione.
Non a caso il poeta è sempre alla ricerca di un’affermazione personale, di un palcoscenico da cui indicare alla collettività, con il piglio del capo carismatico, mete, ambizioni e battaglie. Un tentativo che riesce certamente al d’Annunzio intellettuale, non altrettanto a quello politico: l’isolamento nella casa-mausoleo-tomba del Vittoriale, esprime, in fondo, proprio il suo fallimento quale uomo d’azione, costretto a vivere in solitudine e ad accettare dal regime una venerata ma mesta “imbalsamazione”.

 T4 

Il manifesto del superuomo

Le vergini delle rocce


Il protagonista del romanzo, Claudio Cantelmo, esprime il proprio disgusto per la decadenza italiana, auspicando che presto un’aristocrazia di poeti e uomini superiori sovverta le regole della democrazia e i princìpi della società borghese, instaurando un regno consacrato alla bellezza e all’arte.

Chiedevano intanto i poeti, scoraggiati e smarriti, dopo aver esausta la dovizia1 delle
rime nell’evocare imagini d’altri tempi, nel piangere le loro illusioni morte e nel numerare
i colori delle foglie caduche; chiedevano, alcuni con ironia, altri pur senza:
«Qual può essere oggi il nostro officio?2 Dobbiamo noi esaltare in senarii doppii il
5 suffragio universale? Dobbiamo noi affrettar con l’ansia dei decasillabi3 la caduta dei
re, l’avvento delle repubbliche, l’accesso delle plebi al potere? Non è in Roma, come
già fu in Atene, un qualche demagogo Cleofonte fabbricante di lire?4 Noi potremmo,
per modesta mercede, con i suoi stessi strumenti accordati da lui, persuadere gli increduli
che nel gregge è la forza, il diritto, il pensiero, la saggezza, la luce…».

 >> pag. 379 

10 Ma nessuno tra loro, più generoso e più ardente, si levava a rispondere: «Difendete
la Bellezza! È questo il vostro unico officio. Difendete il sogno che è in voi!
Poiché oggi non più i mortali tributano onore e riverenza ai cantori alunni della
Musa5 che li predilige, come diceva Odisseo, difendetevi con tutte le armi, e pur con
le beffe se queste valgano meglio delle invettive. Attendete ad inacerbire6 con i più
15 acri veleni le punte del vostro scherno. Fate che i vostri sarcasmi abbiano tal virtù
corrosiva che giungano sino alla midolla e la distruggano. Bollate voi sino all’osso
le stupide fronti di coloro che vorrebbero mettere su ciascuna anima un marchio
esatto come su un utensile sociale e fare le teste umane tutte simili come le teste
dei chiodi sotto la percussione dei chiodajuoli.7 Le vostre risa frenetiche salgano
20 fino al cielo, quando udite gli stallieri della Gran Bestia8 vociferare nell’assemblea.
Proclamate e dimostrate per la gloria dell’Intelligenza che le loro dicerie non sono
men basse di quei suoni sconci con cui il villano manda fuori per la bocca il vento
dal suo stomaco rimpinzato di legumi.9 Proclamate e dimostrate che le loro mani,
a cui il vostro padre Dante darebbe l’epiteto medesimo ch’egli diede alle unghie
25 di Taide, sono atte a raccattar lo stabbio10 ma non degne di levarsi per sancire una
legge nell’assemblea. Difendete il Pensiero ch’essi minacciano, la Bellezza ch’essi
oltraggiano! Verrà un giorno in cui essi tenteranno di ardere i libri, di spezzare
le statue, di lacerare le tele. Difendete l’antica liberale11 opera dei vostri maestri
e quella futura dei vostri discepoli, contro la rabbia degli schiavi ubriachi.12 Non
30 disperate, essendo pochi. Voi possedete la suprema scienza e la suprema forza del
mondo: il Verbo.13 Un ordine di parole può vincere d’efficacia micidiale una formula
chimica.14 Opponete risolutamente la distruzione alla distruzione!».15

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Paladino di una nobiltà d’intelletto e di spirito, il superuomo Cantelmo si scaglia contro la società borghese, democratica, mercantile, che attenta alla bellezza, contaminando le glorie del passato, umiliando la nazione, profanando lo spirito sacro della stirpe italica.

Nel suo manifesto ideologico, Cantelmo-d’Annunzio non propone tuttavia un nostalgico sogno regressivo. Il suo programma di riscatto non intende muovere dal rimpianto del passato: la modernità non va respinta, ma liberata dal dominio del denaro e della merce che la borghesia vi ha instaurato. Quello del superuomo sarà dunque un messaggio concreto, rivolto, più che alla classe aristocratica, a una nuova avanguardia di spiriti privilegiati. Questi saranno soprattutto i poeti e gli intellettuali in genere, i quali dovranno difendere la bellezza e la sua espressione quasi religiosa (il Verbo, r. 31) senza isolarsi dal mondo, ma gettandosi nella mischia per contrastare la corruzione e la mediocrità imperanti.

 >> pag. 380 

D’Annunzio attribuisce dunque una funzione pratica e politica alla letteratura e un ruolo ambizioso agli artisti, posti idealmente a capo della collettività e dello Stato. Alla causa della riscossa, però, non serviranno tutti i poeti: quelli languidi e sentimentali, scoraggiati e smarriti (r. 1), potranno far compagnia ai cantori del suffragio universale (r. 5) e dell’accesso delle plebi al potere (r. 6). Sarà invece essenziale il contributo di quanti avranno la forza di combattere la Gran Bestia (r. 20) parlamentare, seguendo l’esempio di coraggio e forza civile offerto dal padre Dante (r. 24) e alimentando il sogno di un riscatto epocale.

Le scelte stilistiche

La prosa antologizzata ha evidentemente ben poco di romanzesco. Il monologo di Cantelmo ha l’aspetto, il tono e lo stile di un’orazione profetica, di un comizio, in cui un registro sublime e uno volgare si mescolano sapientemente per colpire e infiammare l’uditorio. D’Annunzio, insomma, sperimenta e affina qui gli strumenti di abile conoscitore degli umori della massa, blandita e stimolata dalla sua accesa arte oratoria, con la quale sedurrà le folle alle adunate della campagna interventista.

Il linguaggio del superuomo non può che essere “gridato” e aggressivo, come deve esserlo una violenta requisitoria. Poiché l’argomentazione conta fino a un certo punto, ciò che cattura l’attenzione è l’affermazione risoluta, la sentenza, la frase a effetto, l’ordine retorico: troviamo perciò metafore* e similitudini* con le quali si sbeffeggiano gli avversari (gli stallieri della Gran Bestia, r. 20; le loro dicerie non sono men basse di quei suoni sconci…, rr. 21-22), profezie apocalittiche (Verrà un giorno…, r. 27), interrogative retoriche, esclamazioni accorate, ripetizioni (Dobbiamo…, Dobbiamo…, rr. 4 e 5; Proclamate e dimostrate…, Proclamate e dimostrate…, rr. 21 e 23, ecc.) e apostrofi* (Difendete…, rr. 11, 26, 28; Bollate…, r. 16; Opponete…, r. 32), con cui il poeta tenta di coinvolgere gli “eletti” come lui nella comune battaglia di civiltà.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi l’atto d’accusa che Cantelmo rivolge al proprio tempo.


2 In che cosa consiste l’appello che il protagonista lancia ai poeti?

ANALIZZARE

3 Individua gli aggettivi che si riferiscono alla visione superomistica e quelli relativi al mondo borghese.

INTERPRETARE

4 Perché, secondo te, il testo è ricco di riferimenti alla civiltà classica?

PRODURRE

5 Come Andrea Sperelli, Claudio Cantelmo inneggia alla bellezza, essendo anch’egli un esteta. Tuttavia i due personaggi sono assai diversi tra loro. Confrontali in un testo espositivo di circa 20 righe.


6 E se il protagonista di Le vergini delle rocce, invece di invocare un potere autoritario, pronunciasse un comizio democratico? Prova a scrivere, con il medesimo slancio poetico, un testo argomentativo di circa 20 righe che assomigli a un’orazione, in cui difendi il valore e i princìpi della democrazia.


I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi