I colori della letteratura - volume 3

Il secondo Ottocento – L'autore: Gabriele d’Annunzio

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Il ritratto dell’esteta

Il piacere, I, cap. 2


D’Annunzio apre il romanzo descrivendo le stanze di un elegante appartamento in Piazza di Spagna a Roma. Qui il giovane conte Andrea Sperelli attende l’amante che ha lasciato e che non vede ormai da tempo. Poi, con un lungo flash back, il narratore ripercorre la vita del protagonista: qui leggiamo la parte iniziale della digressione, in cui vengono descritte la formazione di Sperelli e l’educazione ricevuta dal padre.

Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge
miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica
nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion
familiare d’eletta1 cultura, d’eleganza e di arte.
5 A questa classe, ch’io chiamerei arcadica2 perché rese appunto il suo più alto
splendore nell’amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli. L’urbanità,3
l’atticismo,4 l’amore delle delicatezze, la predilezione per gli studii insoliti, la
curiosità estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa
degli Sperelli qualità ereditarie. […]
10 Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion
familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo,
il legittimo campione5 d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, ultimo
discendente d’una razza intelettuale.
Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di
15 studii varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò, fino a vent’anni, le lunghe
letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria
educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e constrizioni di
pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d’arte, il culto passionato
della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizii, l’avidità6 del piacere.
20 Questo padre, cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica,
sapeva largamente vivere; aveva una scienza profonda della vita voluttuaria7 e insieme
una certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico.8 Lo stesso suo
matrimonio era avvenuto in circostanze quasi tragiche, dopo una furiosa passione.
Quindi egli aveva turbata e travagliata in tutti i modi la pace coniugale. Finalmente
25 s’era diviso dalla moglie ed aveva sempre tenuto seco9 il figliuolo, viaggiando con
lui per tutta l’Europa.
L’educazione d’Andrea era dunque, per così dire, viva, cioè fatta non tanto su i
libri quanto in conspetto delle realità umane.10 Lo spirito di lui non era soltanto
corrotto dall’alta cultura ma anche dall’esperimento;11 e in lui la curiosità diveniva
30 più acuta come più si allargava la conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo di
sé;12 poiché la grande forza sensitiva,13 ond’egli era dotato, non si stancava mai

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di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansion di quella sua forza era la distruzione
in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva
ritegno a deprimere.14 Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva
35 delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva
rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre più d’intorno, inesorabilmente
se ben con lentezza.
Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare
la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto
40 sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui».
Anche, il padre ammoniva: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà,
fin nell’ebrezza.15 La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: – Habere, non haberi».16
Anche, diceva: «Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato.17 Bisogna
sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni
45 e con nuove imaginazioni».
Ma queste massime volontarie,18 che per l’ambiguità loro potevano anche essere
interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria,19
in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva20 era debolissima.
Un altro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell’animo di Andrea: il
50 seme del sofisma.21 «Il sofisma» diceva quell’incauto educatore «è in fondo ad ogni
piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque
ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della
vita sta nell’oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo
d’intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono
55 infatti i più squisiti goditori dell’antichità. I sofismi fioriscono in maggior numero
al secolo di Pericle, al secolo gaudioso».22
Un tal seme trovò nell’ingegno malsano del giovine un terreno propizio. A
poco a poco, in Andrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sé stesso
divenne un abito così aderente alla conscienza ch’egli giunse a non poter mai essere
60 interamente sincero e a non poter mai riprendere su sé stesso il libero dominio.
Dopo la morte immatura del padre, egli si trovò solo, a ventun anno, signore
d’una fortuna considerevole, distaccato dalla madre, in balia delle sue passioni e
de’ suoi gusti. Rimase quindici mesi in Inghilterra. La madre passò in seconde nozze,
con un amante antico. Ed egli venne a Roma, per predilezione.
65 Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi;
non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane,
delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo
Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe.
La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini23 l’attraeva assai
70 più della ruinata24 grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un

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palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caracci,25 come quello Farnese;
una galleria piena di Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese;
una villa, come quella d’Alessandro Albani,26 dove i bussi27 profondi, il granito
rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni,28 le statue della Grecia, le pitture del
75 Rinascimento, le memorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a un
qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un
albo29 di confessioni mondane, accanto alla domanda «Che vorreste voi essere?»
egli aveva scritto «Principe romano».

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Queste pagine possono essere considerate il manifesto dell’estetismo dannunziano. Il ritratto di Andrea Sperelli condensa infatti i segni particolari che compongono il carattere morale, psicologico e culturale dell’intellettuale votato all’arte e alla bellezza. La sua filosofia, che gli è stata insegnata dal padre, viene riassunta da d’Annunzio in una serie di moniti ed enunciati che hanno il valore di sentenze: Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte (rr. 38-39); Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza (rr. 41-42); Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato (r. 43). Ma come vengono assimilati dal giovane tali precetti?
Andrea ha certamente preso alla lettera la lezione ricevuta: dopo aver viaggiato in tutta Europa, alla morte del padre sceglie come propria residenza Roma, la città che ama di più, non per le sue vestigia antiche ma per gli sfarzosi palazzi rinascimentali e barocchi, dove egli intende vivere un’esistenza degna di un Principe romano (r. 78). Immune dalle meschinità del mondo e dalla degradazione generale causata dall’ascesa, sulla scena sociale, delle masse (il grigio diluvio democratico, r. 1) che inquina le belle cose e rare (r. 1), egli è stimolato dall’insaziabile ricerca del piacere (avidità del piacere, r. 19) e non si preoccupa dei conformismi borghesi (paradossale disprezzo de’ pregiudizii, r. 19). Per questi aspetti programmatici, si può dire che Andrea sia la maschera letteraria del suo creatore, anch’egli sprezzante della massa, raffinato adoratore della bellezza vista come una divinità, non toccato dalla morale comune, disposto a tutto pur di contaminare tra loro arte e vita.

Tuttavia, d’Annunzio è ben lontano dall’offrire un’immagine positiva del suo personaggio, ne vuole anzi prendere le distanze, indicando da subito limiti e contraddizioni della sua personalità. Sperelli è un esteta, ma più per la sua appartenenza alla nobiltà che per una scelta personale; la sua indole è priva di forza (natura involontaria, rr. 47-48) e la sua potenza volitiva si rivela debolissima (r. 48). Come affetto da una malattia dell’anima, che lo rende velleitario e impotente, egli non può dominare la realtà con l’intelletto e la volontà, né realizzare del tutto sé stesso, perché incapace di uscire dalla falsità sentimentale, dall’artificio e dalla finzione in cui è immerso. Il suo edonismo da dandy decadente risulta dunque superficiale e le sue passioni dilettantesche; è un personaggio narcisista, caratterialmente instabile e privo di veri ideali.
La sua figura incarna quindi quella di un esteta sconfitto, di un eroe non riuscito, di un inetto, incapace di agire e vivere da protagonista il proprio tempo. Il superuomo, dipinto da d’Annunzio nei romanzi successivi, è ancora lontano.

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Le scelte stilistiche

Come in tutta la produzione romanzesca dannunziana, in assenza di un articolato sviluppo narrativo, sono presenti numerose soluzioni liriche tese a nobilitare l’atmosfera del romanzo: le anafore* (Egli era…, Egli era…, Egli alternò…, Egli…, rr. 11, 14, 15; Anche…, Anche…, rr. 41, 43), le metafore* (Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato, r. 43), le allitterazioni* (profondi, parve prodigiosa, r. 15), le enumerazioni* (per esempio, dei gusti di Sperelli, rr. 65-78), perfino i troncamenti poetici delle parole (tradizion, ideal, riduzion ecc.) esprimono una ricerca di solennità, confermata anche dal ricorso a termini desueti (constrizioni, ruinata, realità, conspetto, conscienza ecc.) già antiquati al tempo di d’Annunzio. Anche per mezzo di queste modalità stilistiche, che rivelano l’influenza di un romanzo fondamentale della cultura decadente, Controcorrente di Huysmans (► p. 251), l’autore può soffermarsi su dettagli minuti e accurate descrizioni impressionistiche, con un gusto estetizzante del particolare e una prospettiva soggettiva ormai assai distanti dalla poetica naturalista e verista.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Dividi il testo in sequenze, dai un titolo a ciascuna di esse e riassumile brevemente.

ANALIZZARE

2 Elenca nella tabella gli aspetti della personalità di Andrea che implicitamente d’Annunzio esalta o condanna.


Elementi positivi
Elementi negativi

 
 

 
 

 
 

 
 

3 Individua i riferimenti artistici grazie ai quali l’autore può fare sfoggio della sua cultura.

INTERPRETARE

4 In che cosa consistono le contraddizioni di Andrea Sperelli?


5 Da quali espressioni si coglie il pensiero antidemocratico dell’autore?


6 Per quali motivi Sperelli preferisce la Roma barocca a quella classica?


7 Nel Piacere d’Annunzio sfrutta, sia a livello tematico sia su un piano descrittivo e stilistico, l’esperienza di cronista mondano accumulata tra i salotti e i ritrovi alla moda dell’aristocrazia romana. Quali elementi rivelano in questo brano la componente giornalistica della sua scrittura?

PRODURRE

8 Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte (rr. 38-39): la massima che il padre insegna ad Andrea nasce da una visione tipicamente decadente della vita. In quali autori del Decadentismo europeo si ritrova un’idea analoga? Scrivi sull’argomento un testo espositivo di circa 20 righe.


9 Sperelli ambisce a essere il prototipo dell’esteta raffinato. Riflettendo sui criteri e i valori che oggi vengono scelti da chi cerca di distinguersi dalla massa, scrivi anche tu, in un testo descrittivo di circa 20 righe, il ritratto di una persona (un attore, un cantante, un personaggio dello spettacolo ecc.) capace di incarnarli.


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Dal secondo Ottocento a oggi