I colori della letteratura - volume 3

Il secondo Ottocento – L'opera: Myricae

 T9 

L’assiuolo

In campagna, di notte, quando il cielo presenta quel chiarore che preannuncia il sorgere della luna, si ode il canto di un assiuolo, un uccello notturno simile alla civetta. Il suo verso, ossessivo e lamentoso, si carica di inquietanti suggestioni, unendosi a tutti gli altri echi naturali in un indecifrabile ma sinistro messaggio di morte. La lirica, uno dei vertici del simbolismo pascoliano, viene pubblicata per la prima volta nel 1897 sulla rivista “Il Marzocco” e quindi inserita nello stesso anno nella quarta edizione di Myricae.


METRO Doppie quartine di novenari a rima alternata (ABAB, CDCD ecc.), tranne l’ultimo verso di ciascuna strofa, rappresentato dal monosillabo del verso dell’assiuolo (secondo altri, che vi vedono una dieresi, si tratterebbe invece di un bisillabo).

        Dov’era la luna? ché il cielo
        notava in un’alba di perla,
        ed ergersi il mandorlo e il melo
        parevano a meglio vederla.
5     Venivano soffi di lampi
        da un nero di nubi laggiù,
        veniva una voce dai campi:
        chiù…

        Le stelle lucevano rare
10   tra mezzo alla nebbia di latte:
        sentivo il cullare del mare,
        sentivo un fru fru tra le fratte;
        sentivo nel cuore un sussulto,
        com’eco d’un grido che fu.
15   Sonava lontano il singulto:
        chiù…

        Su tutte le lucide vette
        tremava un sospiro di vento;
        squassavano le cavallette
20   finissimi sistri d’argento
        (tintinni a invisibili porte
        che forse non s’aprono più?…);
        e c’era quel pianto di morte…
        chiù…

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Lo spettacolo della natura si carica progressivamente di valenze simboliche e risonanze misteriose: le immagini-illuminazioni comunicano infatti pian piano un senso di angoscia. La serena luminosità dei primi versi viene filtrata dalla sensibilità del poeta, il quale personifica gli elementi, che in tal modo finiscono per alludere a ricordi personali e a passati dolori. L’io lirico si manifesta a partire dal v. 11, quando l’anafora* del verbo sentivo svela il collegamento analogico tra la natura e l’anima del poeta.

 >> pag. 337 

Tale processo è visibile nella bipartizione delle strofe: ognuna di esse si apre con immagini di luce, per chiudersi con il verso enigmatico e ossessivo dell’assiuolo: in un climax* ascendente, questo, che è prima una semplice voce (v. 7), diventa poi un singulto (v. 15) e infine un pianto di morte (v. 23), come se dalla natura provenisse, sotto forma di onomatopea*, un lamento sul mistero della morte e sul destino di perdita e di abbandono che è proprio di tutti gli uomini.
Alla visione funebre di Pascoli alludono chiaramente i vv. 21-22: tintinni a invisibili porte / che forse non s’aprono più?… Il suono acuto emesso dalle cavallette viene paragonato a quello dei sistri, gli strumenti musicali utilizzati in antichi riti egizi legati ai culti dell’oltretomba. Il poeta si chiede se le voci della natura – quelle delle cavallette, appunto – permettano di accedere a un aldilà, varcando le invisibili porte che separano il regno dei vivi da quello dei defunti, e quindi regalare un’estrema consolazione al dolore. Ma la domanda, posta in inciso, introdotta da un forse e chiusa dai puntini di sospensione ha risposta solo nell’apparizione conclusiva dell’unica realtà certa: la morte.

Le scelte stilistiche

Il testo è uno degli esempi più significativi dell’antinaturalismo di Pascoli, essendo costruito su una diffusa allusività di suoni e richiami. L’indeterminatezza del quadro inizia già al primo verso, con una domanda che sottintende l’assenza o, meglio, l’attesa della luna non ancora apparsa all’orizzonte (Dov’era la luna?); prosegue con la successiva congiunzione ché (v. 1), la quale introduce una subordinata causale priva però di una reggente dichiarata (a senso va sottintesa una frase del tipo “la luna non si vedeva”); si estende poi per tutto il componimento attraverso visioni indistinte (laggiù, v. 6), echi remoti (com’eco d’un grido che fu, v. 14), singhiozzi che suonano lontano (v. 15) e i silenzi resi dai puntini di sospensione che chiudono ogni strofa.
A rendere l’indefinitezza dell’atmosfera sono anche alcuni sintagmi*: soffi di lampi (v. 5), che configura una sinestesia* per indicare i lampi senza tuono delle sere estive; un nero di nubi (v. 6), metonimia* che evidenzia il colore cupo di una parte del cielo attraverso un’espressione in cui la qualità (nero) prevale sulla sostanza materiale espressa dal sostantivo (nubi); la nebbia di latte (v. 10), che allude al chiarore opalescente del cielo; il cullare del mare (v. 11), che dice il suo mormorìo; un sospiro di vento (v. 18), che sembra animare la natura di sentimenti umani; e, ancora, i sistri d’argento del v. 20 e il pianto di morte del v. 23.

Vanno infine segnalate le frequenti allitterazioni*, le quali generano un simbolismo fonico basato su suoni che si richiamano diffusamente e caricano il testo di ulteriori significati: in f e r (fru fru tra le fratte, v. 12); in s (squassavano […] / finissimi sistri, vv. 19-20); in n (tintinni a invisibili, v. 21).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Sintetizza brevemente il contenuto della lirica.

ANALIZZARE

2 Ritrova nel testo le presenze percepite visivamente e quelle percepite acusticamente.

INTERPRETARE

3 In che modo avviene, in questa lirica, la corrispondenza tra i rumori della natura e il mondo umano?


4 Possiamo parlare di una sorta di umanizzazione della natura? Sulla base di quali elementi del testo?


I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi